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Walter e l’emergenza dem

Walter Veltroni – (c) Molly Bezz – 2008

di Andrea Ermano

Uno dei vizi del partito, secondo il suo segretario nazionale Walter Veltroni, “è quello di pensare di dover sempre ricominciare da capo con i programmi e l’identità”. Va bene il rinnovamento, ma non il nuovismo a tutti i costi. E rinnovamento significa oggi che i capisaldi di un'azione sinceramente democratica vanno inquadrati nel contesto di “un nuovo internazionalismo” impegnato nella costruzione di sedi e regole “per un nuovo governo globale”, del quale già parecchio tempo fa parlò Enrico Berlinguer “con grande spirito anticipatore”.

Questo richiamo allo spirito di Berlinguer in rapporto al governo del mondo non è né ovvio né scontato. Un uomo di cultura avrebbe potuto evocare Diogene di Sinope, Immanuel Kant o, al limite, Albert Camus. Ma Veltroni è il capo di un grande partito politico e si presenta dinanzi alla sua Direzione nazionale chiedendo per sé i poteri speciali che si chiedono in una situazione d'emergenza.

Tutto ciò lascia trasparire il senso totalmente nuovo della continuità politico-organizzativa del suo partito, il Pci-Pds-Ds-Pd, con la struttura del Bottegone che si appresta “ancora una volta per la prima volta” a rinserrarsi dentro la cinta muraria del centralismo democratico. Finché non passa 'a nuttata.

Il Pci-Pds-Ds-Pd lancia per bocca del suo segretario questa sfida all'establishment nazionale: la spallata non incontrerà stavolta un'organizzazione debole e liquida, come fu per postuma ammissione dello stesso Bettino Craxi, l'ultimo Psi, frammentatissimo in interessi minuti, dove i visitors assesorili paralizzavano di fatto ogni autonomia. No, questa volta il Gattopardo dovrà misurarsi con un partito vero, nel quale ancora abitano molti vecchi quadri di formazione comunista. Che faranno quadrato intorno al loro segretario nazionale.

E questi, una volta superata la tempesta mediatico-giudiziaria, punterà la prora verso un unico grande obiettivo: rafforzare il profilo maggioritario del partito e di assumere, nel periodo medio-lungo, il governo del Paese. Obiettivo grande e bello: per il conseguimento del quale molto, se non tutto, dipende dalla capacità del Pci-Pds-Ds-Pd di mobilitare il popolo riformista di centro-sinistra, su un progetto credibile.

La prima pietra di paragone d'ogni credibilità politica sta ovviamente nella collocazione in Europa, luogo primario in cui il nostro Paese può concorrere all'edificazione di quelle sedi e regole per un nuovo governo globale cui Veltroni si è appellato in Direzione riallacciandosi a Berlinguer.

Identità e alleanze costituiscono i “due punti fermi” indicati da Veltroni a proposito del “nostro ruolo in Europa”. Il Pci-Pds-Ds-Pd deve coltivare su scala continentale “l'autonomia dell’identità democratica”, un'identità “irriducibile alle attuali famiglie politiche europee”. Ma questa identità, ha aggiunto Veltroni, deve intendersi al servizio di una “trasformazione del quadro politico europeo, per il quale intendiamo batterci e attorno al quale intendiamo costruire una rete di alleanze in Europa, a cominciare dalla famiglia socialista”.

Neanche questo richiamo alla “famiglia socialista” in rapporto alla politica europea delle alleanze può apparirci ovvio e scontato, soprattutto perché tutti in Direzione si sono dichiarati d'accordo con il segretario nazionale, inclusi coloro i quali aborrivano fino a poco tempo fa ogni approdo nel PSE.

Dunque, in sostanza, il Pci-Pds-Ds-Pd accetterà la proimazia continentale eurosocialista, ma la rivenderà in Italia in confezioni identitarie dall'aspetto vagamente anti-craxiano, per non oltraggiar troppo il comune sentire italico.

L'internazionalismo cosmopolita, la famiglia socialista europea e il profilo maggioritario di un grande partito che si candida al governo del Paese configurano un disegno complessivamente chiaro e ben delineato, ancorché inevitabilmente striato di buonismi e doppiezze.

Ma in politica la giusta linea strategica generale non è tutto. In rapporto alla credibilità del progetto veltroniano c'è un'altra pietra di paragone che interpella il gruppo dirigente del Pci-Pds-Ds-Pd sul piano strettamente personale. È tutto da vedere cioè se il Partito del Segretario riuscirà per davvero a tagliare i legami pericolosi con l'affarismo, il malaffare e anche, come ha denunciato lo scrittore Roberto Saviano, con la criminalità organizzata in almeno due regioni.

Infine, c'è una terza pietra di paragone: i nodi di contenuto. Emanuele Macaluso notava alcuni giorni or sono che il Partito di Veltroni, per sopravvivere, dovrebbe affrontare con spirito di verità i propri dilemmi politici interni (welfare, laicità, giustizia, federalismo, ecc.), ma sembra che questi nodi non possano essere sciolti senza sciogliere il partito medesimo. Basteranno a Veltroni i poteri eccezionali di Alto commissario democratico per restituire alla sua formazione politica la necessaria credibilità sulla via di una ambivalenza necessaria perché dettata dalla storia e dalla costellazione fattuale?

In una delle sue ultime lettere il presidente Mao scrisse alla moglie Ciang Cing, gran fautrice della Rivoluzione Culturale, queste parole: “Ho cercato di arrivare al culmine della Rivoluzione, senza riuscirci. Ma forse tu arriverai in cima. Altrimenti precipiterai in un abisso senza fondo. Il tuo corpo sarà fatto a pezzi. Le tue ossa spezzate”.

Dopodiché l'Italia obiettivamente non è la Cina, il Pci-Pds-Ds-Pd non è il Psi e Veltroni non è Mao né Ciang Cing né Craxi, né Berlinguer. La vicenda che si dipana sotto i nostri occhi rappresenta effettivamente una sfida al tempo stesso “antica e nuovissima”. Nessuno sa come andrà a finire. Ognuno dovrà mettersi una mano sulla coscienza. E pace in terra agli uomini di buona volontà.

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