Crisi e recessione

Ci aspettano mesi difficili, ma anche occasioni per cambiare e riformare

di Davide Giacalone

I giornali raccontano la catastrofe economica, ma poi sono pieni di pagine pubblicitarie che tentano di venderti beni costosi. La televisione trasmette la crisi, ma poi mette in onda un’Italia intenta a telefonarsi e profumarsi. C’è chi non arriva alla fine del mese e chi non trova posto al ristorante. La cassa integrazione ordinaria cresce del 253%, rispetto al novembre dell’anno scorso, ma al ponte dell’Immacolata gli sciatori di Cervinia sono aumentati del 40% e gli skipass dolomitici del 20%. Ciascuno vede solo la propria realtà e giudica gli altri o propagandisti menagramo o incoscienti profittatori. Abbiamo problemi seri, o basta cantare che ci passa?

Le cose che ho messo in fila sono tutte vere, e le une non escludono le altre. La tipologia della crisi allarga la distanza fra chi sta bene e chi boccheggia. Anche fra gli stessi salariati, c’è chi, come i dipendenti pubblici, ha visto crescere la propria retribuzione più dell’inflazione, guadagnando potere d’acquisto reale, ed oggi può cogliere il vantaggio di una (al momento) parziale deflazione, mentre altri, come i lavoratori a tempo determinato impegnati nei settori più aperti alla concorrenza, perderanno del tutto il posto di lavoro. Una fetta consistente d’italiani potrà continuare nei consumi affluenti, ma si dovrà vedere per quanto tempo ed in cambio di cosa. Per esempio: chi è andato a sciare a Cervinia quest’anno poteva essere, un anno fa, in giro per il mondo.

Il compito del governo, però, non è quello di guardare nei ristoranti (ce ne sono anche vuoti) e nelle agenzie di viaggio (dove diminuiscono gli arrivi), per dedurne circa l’umore collettivo, ma di stabilire quali interessi vanno difesi ora che la produzione di ricchezza diminuisce ulteriormente. Il nostro mercato del lavoro è troppo poco elastico, e questa è una buona ragione per concentrare gli aiuti dove l’elasticità c’è, per esempio nei contratti a tempo determinato. Si aiutino le banche, ma non per mantenerle nell’attuale conflitto d’interessi. E si punti sulla formazione, non per dare più soldi ad una scuola che non funziona, ma per dare più cultura a chi dovrà produrre ricchezza. Ci aspettano mesi difficili, ma anche occasioni per cambiare e riformare. Non gettiamo via le seconde per volere negare i primi, che ci godremo comunque.

Pubblicato su Libero di giovedì 11 dicembre

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