Italia che cambia o Italia che non cambia?
Ritorna la (virtuale) resa dei conti tra consorterie di potere
di Elio Di Caprio
Forse il prossimo saggio-strenna natalizio di Bruno Vespa non sarà dedicato al- l’Italia che cambia, ma all’Italia che non cambia mai o che fa fatica a cambiare, almeno a giudicare dai comportamenti dei suoi leaders politici ancora abbarbicati alle vecchie logiche e consuetudini di potere. Solito ritardo delle classi dirigenti rispetto alla società civile o incapacità di guida in tempi di grandi cambiamenti? Vedremo se nel saggio dell’anno prossimo Bruno Vespa potrà almeno citare l’avvio delle riforme promesse da Berlusconi in campagna elettorale sulla riduzione del numero dei parlamentari e sull’abolizione delle province.
Con gli esempi che ci vengono quotidianamente offerti dai principali esponenti di maggioranza ed opposizione sembra sempre più difficile che i ceti emergenti e quelli che dovranno fare i conti con le conseguenze della crisi economica riescano a trovare una decente rappresentanza al di là e al di fuori delle solite consorterie di potere che vogliono continuare a dettare le regole del gioco. Sono consorterie e gruppi di pressione sempre pronti a tornare alla ribalta al momento opportuno per ostacolare o piegare ai propri interessi ogni possibile cambiamento, ora arrivano persino a ripescare la questione morale per regolare vecchi e nuovi conti. Tutto cambia e nulla cambia come spesso è successo nella storia italiana? E’ vero che qualcosa in apparenza è cambiato con la nuova legislatura, anche se in Italia siamo ben lontani- nonostante le suggestioni declamatorie di Berlusconi- da un “dream team”, da un governo che fa sognare come quello che Obama si appresta a formare negli USA. Siamo passati dall’attenzione mediatica ai novanta anni di Rita Levi Montalcini a quella per le trentenni catapultate al potere, da Mara Carfagna a Giorgia Meloni, ma trattasi pur sempre di un ricambio generazionale fatto a strappi, più di immagine che reale e comunque forzato dalle logiche partitocratriche di sempre.
Tutto dipende dalle segreterie di partito che hanno assunto come non mai un potere quasi assoluto, fanno e disfano- con qualche incidente di percorso come dimostra il caso Villari- esercitano un controllo ferreo sulla schiera degli eletti che sono stati imposti come candidati al corpo elettorale, nominano chi vogliono a loro piacimento, investono sulla fedeltà più che sulla capacità.
E’ un’Italia che ancora si crogiola sui problemi mai risolti, dal conflitto di interessi allo strapotere dei giudici, alla questione morale che riaffiora di tanto in tanto per regolare i conti della sinistra ( o di quello che era la sinistra) con un passato che non passa. Ancora ex socialisti riciclati contro ex comunisti riciclati per dimostrare che il lungimirante Craxi aveva ragione nell’accusare i comunisti di corruzione e di finanziamenti illeciti e perciò non a caso ora la questione morale riesplode- vedi Napoli e dintorni- e riguarda soprattutto il Partito Democratico. Ex comunisti contro ex socialisti per riaffermare la superiorità morale di una classe di partito, quella del PD, che si sta estenuando in interminabili giochi di potere e di sotto governo.
Dimenticano entrambi l’ambiguità della famiglia di origine degli anni ’90 quando i socialisti condividevano il potere centrale con la DC e quello amministrativo e sindacale con i comunisti. Anche da ciò è derivata la grande ambiguità della falsa rivoluzione di Tangentopoli che colpì tutti i partiti dell’arco costituzionale tranne i comunisti… Né Di Pietro, né Berlusconi facevano parte di quella famiglia e nulla sapevano dei suoi contrasti interni quasi secolari. Eppure tocca a loro cogliere l’eredità dei vecchi malumori e delle divisioni del passato, sono loro ed erigersi ora a improbabili capi-popolo di una contesa fuori tempo tra moralisti e antimoralisti, giustizialisti e antigiustizialisti, quando invece diventa sempre più arduo addebitare ad un singolo partito la responsabilità accumulata negli anni del malcostume che fa ancora figurare il nostro Paese ai primi posti nel mondo. Di Pietro contro Berlusconi( o Italia dei Valori contro il PDL) come già venti anni fa Berlinguer contro Craxi (o il PCI contro il PSI)? E’ questo paradossale ritorno al passato che non convince nel format propagandistico che ci viene ancora una volta propinato dal PDL e dal PD nella gara a chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Non c’è chi non veda l’assurdità di una contrapposizione che avvantaggia, stando ai sondaggi, l’ex magistrato Antonio Di Pietro nella gara a dimostrare di essere ancora più a sinistra di Veltroni solo perché sulla questione morale, in casa propria e altrui, non intende fare sconti a nessuno.
Se vogliamo sta proprio qui l’immoralità dell’uso politico e strumentale della questione morale che viene sfoderata a singhiozzo- sempre con l’aiuto delle tante Procure- per colpire l’avversario. E così che le rese dei conti virtuali non finiscono mai nell’Italia che non cambia, le varie consorterie vanno a turno sotto processo (mediatico più che reale), ma poi tutto si ferma e tutto ricomincia come prima. E’ un’amara lezione che abbiamo già imparato. (Terza Repubblica)