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Obama vince, ma guai a credere al presidente «amico» della pace

di Giovanni Sarubbi

La speranza di un cambiamento è solo nelle mani di un movimento della pace che non si pieghi alle logiche del potere militare-industriale

DUNQUE Barack Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti. Le previsioni della vigilia sono state tutte rispettate. Il primo presidente afro-americano ha raccolto la stragrande maggioranza del voto popolare e ha ottenuto una maggioranza schiacciante sia al Congresso che al Senato. Tutto il potere è dunque ora nelle mani del partito democratico, almeno così sembra.
L’Associazione CODEPINK, che in questi anni si è battuta contro la guerra in Iraq e in Afghanistan, dando vita alle clamorose contestazioni nei confronti di Bush e della Condoliza Rice e a imponenti manifestazioni per la pace, ha inviato un messaggio in cui afferma: “La vittoria di Obama è una vittoria per il movimento per la pace. E’ un messaggio per la classe dirigente politica che essere contro la guerra è la posizione vincente. La guerra è quindi oltre”. Nello stesso messaggio il movimento per la pace americano enuncia quelle che sono state le parole d’ordine su cui si è mobilitato a favore di Obama. Così testualmente scrive: “Che cosa vogliamo da Obama e da una Amministrazione democratica che controlla il Congresso? Vogliamo la fine dell’occupazione dell’Iraq e risarcimenti per i suoi cittadini. Noi non vogliamo che le truppe dall’Iraq siano spedite direttamente a un altro fronte di guerra perdente in Afghanistan. Vogliamo una soluzione negoziata in Afghanistan. Vogliamo una soluzione diplomatica al conflitto con l’Iran. Vogliamo il ripristino delle nostre libertà civili e la tutela del nostro ambiente. Vogliamo soldi per tirare fuori i proprietari di case che si trovano nella mani degli usurai. Vogliamo un NUOVO “New Deal” per l’America: posti di lavoro, l’alloggio, l’assistenza sanitaria universale, l’istruzione, strade, mezzi di trasporto pubblici …. Noi vogliamo un governo che metta le esigenze delle persone davanti agli utili delle banche e delle imprese”. Il messaggio si conclude con un appello che la dice lunga sui reali rapporti di forza esistenti oggi negli USA ma che è al tempo stesso un segno di speranza: “Riusciremo a ottenere tutte queste cose? Non senza continuare la nostra aggressiva, vibrante e talvolta rumorosa agitazione”. I pacifisti americani fanno cioè un appello a non disarmare il movimento per la pace e a continuare l’iniziativa per ottenere che dalle parole si passi ai fatti concreti. Nessun presidente “amico” deve riuscire a fermare il movimento per la pace.
Quale politica farà realmente Obama? Noi, lo diciamo apertamente, non siamo molto ottimisti. L’accordo che Obama ha fatto poco prima delle elezioni con il presidente Bush sul salvataggio delle banche non ci sembra che vada nella direzione richiesta dal movimento pacifista. Fino a quando gli usurai della finanza americana continueranno a dettare le loro leggi non ci saranno speranze per i cinquanta milioni di poveri americani e per il miliardo di affamati del resto del mondo. Per dare da mangiare a tutti, gli ingordi vanno ridotti all’impotenza.
Così come la scelta dell’ex Segretario di Stato Colin Powel, quello delle bugie dette all’ONU per giustificare l’aggressione all’Iraq, di appoggiare Obama, che gli ha promesso un posto nella sua amministrazione, non dicono nulla di buono sulla reale volontà di Obama di farla finita con la guerra e con un sistema militare industriale che negli USA controlla circa il 40% del PIL, cioè praticamente la gran parte dell’economia americana.
Obama non è Martin Luther King. Il fatto che abbia il suo stesso colore della pelle non ci garantisce identità di idee, quelle idee che portarono Martin Luther King alla morte. Anche un presidente nero può dichiarare guerra, o continuare quelle in corso magari con altre forme. Così come non crediamo ci sia molta differenza fra continuare una guerra da soli (applicando la cosiddetta politica della unilateralità di Bush) o farla con l’appoggio della comunità internazionale (con la cosiddetta politica della multilateralità tanto cara al nostro PD). Sempre guerra è con l’aggravante che la multilateralità coinvolge molti più paesi.
Il fatto poi che Obama sia descritto come il nuovo Kennedy non ci dice nulla di buono. Di Kennedy noi ricordiamo soprattutto, oltre al suo omicidio e ai suoi bei discorsi, il fatto che egli fu il presidente che iniziò la guerra in Vietnam, continuata poi dai suoi successori democratici, così come un altro democratico, Clinton, nel 1999 con la guerra in Kossovo è stato in realtà l’iniziatore di quella guerra infinita che ha trovato in Bush il più strenuo sostenitore e realizzatore.
Vedremo dunque nei prossimi due mesi cosa concretamente succederà e quali saranno i passi concreti che Obama compirà e quali saranno i ministri del suo nuovo governo. Non è neppure escluso che da qui a Gennaio, mese nel quale Obama si insedierà ufficialmente come nuovo presidente, possa succedere qualcosa che ipotechi pesantemente le sue decisioni. C’è chi paventa qualche colpo di coda dell’amministrazione Bush, in particolare nei confronti dell’Iran.
L’unica cosa che ci sentiamo di condividere è l’appello a non smobilitare il movimento per la pace fatta dall’associazione CODEPINK: è questa l’unica speranza che abbiamo, quella di non demordere, non delegare al presidente “amico” le decisioni che riguardano il destino dell’umanità. Quella dei “presidenti amici” è una tragica realtà che abbiamo sperimentato anche noi in Italia con l’ultimo governo Prodi, ma è una esperienza che molti paesi hanno vissuto negli ultimi anni. Nessuna delega, nessuna speranza è possibile se non è fondata sulla mobilitazione popolare nonviolenta che, come scrive Codepink, deve essere “ aggressiva, vibrante e talvolta rumorosa”. Una nonviolenza, quella dei pacifisti americani, molto diversa da quella che sembra essere prevalente in Italia che più realisticamente potrebbe definirsi “paralisi nonviolenta”. Certo qui da noi è molto forte sia l’uso di picchiatori fascisti contro i movimenti, sia l’uso di provocatori infiltrati nei movimenti da parte degli organi dello Stato, come ha affermato il Senatore Cossiga in una sua recente intervista, e come hanno dimostrato le immagini dei recenti scontri avvenuti a Roma in occasione delle manifestazioni contro il decreto Gelmini. Ma proprio per questo occorre che il movimento nonviolento, se vuole essere tale, esca dalle sue diatribe interne e metta in campo qualcosa di concreto per dare una speranza all’umanità. (ildialogo.org)

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