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Rai: al peggio non c’è mai fine

Un Paese di vecchi inchiodato al passato

Si è riaperta la danza delle nomine interne per la corsa alla stanza degli affari
Davide Giacalone

Siamo sempre di più un Paese vecchio, pieno di vecchi che non se ne vanno mai, pronti a farci rivivere all’infinito i loro immutabili conflitti. Un Paese inchiodato al passato, che ce la mette tutta per soffocare ogni abusiva allusione al futuro. Già l’idea di portare alla commissione parlamentare di vigilanza chi è stato presidente della Rai è di quelle che dimostrano l’inesistenza di anticorpi politici, di agenti civili. E festeggiamo anche, perché s’è sventato l’abominio di piazzarci Orlando Cascio. Al peggio, com’è noto, non c’è fine. Però ci mettiamo chi ha ottantacinque anni, è parlamentare da tre legislature, senza che neanche gli addetti ai lavori se ne siano accorti, e porta come progetto futuro il proprio lontano passato. E’ una lapide sulla politica. Un invito all’espatrio per chi non sia ancora in grado d’accedere all’ospizio del potere.

Negli Stati Uniti Clinton scriveva le memorie a cinquantacinque anni. Da noi fino a venti sei un adolescente. Dai venti ai quaranta fai in tempo a finire gli studi, con calma, e mettere su una famiglia facendoti mantenere dalla pensione del nonno. Tra i quaranta ed i sessanta, se sei intraprendente, puoi scrivere le memorie e raccontare gli anni gloriosi delle lotte studentesche, che non hanno portato ad alcun miglioramento della scuola, ma hanno propiziato del sesso fantasioso. Dopo i sessanta, ed a patto che i più anziani si decidano a crepare, puoi debuttare nel mondo del potere. Dove, una volta insediato, ti circonderai di mediocri baciaterga, talché non cerchino di soffiarti il posto.

Di affrontare i problemi veri, non se ne parla. Il tema che ci ha agitato per settimane ha, in fondo, una soluzione semplice: si sbaracca e vende la Rai, che non è un servizio pubblico da decenni, e si chiude la commissione di vigilanza, utile solo a spartirsi ballerine e giornalisti, con pari impegno culturale. Invece si converge sul passato, e lo si illustra con foto di venti o trenta anni fa, dove sempre gli stessi si mostrano con immutabile saccenteria. Si ripristina il dialogo, per avviare la danza delle nomine interne, riaprendo l’unica cosa che interessa: la stanza degli affari. Zavoli dirà parole sagge, ponderate, che arrivano dall’esperienza e dal passato, per approdare alla riva cui sono destinate: l’inutilità. (Terza Repubblica)

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