Il narratore che qui riproproniamo è Ettore Cella-Dezza (1913-2004). Grande uomo di teatro, cinema e televisione, amico di Brecht, Silone, Strehler e Maria Callas, fu tra i fondatori della televisione svizzera, promosse la diffusione di Brecht in Italia e di Pirandello in Germania, ma anche collaboratore per tutta la vita dell'ADL, di cui il padre Enrico Dezza fu redattore a più riprese nella prima metà del secolo scorso. Cella-Dezza ricostruisce nel quarto capitolo del romanzo “Nonna Adele” (che qui riproduciamo a puntate) alcune scene di vita familiare e d'emigrazione negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale. In queste pagine i bambini di famiglia “pendono dalle labbra della nonna” nella quale essi hanno scoperto doti di grande narratrice non solo per ciò che concerne le fiabe e la poesia cavalleresca, ma anche in rapporto a “storie vere”. – SECONDA PARTE
di Ettore Cella-Dezza
Ricordo ancora il tempo in cui furoreggiava l’epos selvaggio della rocca e del castello dove il poeta Matteo Maria Boiardo conte di Scandiano aveva combattuto la sua lotta di successione per ottenere giustizia. Una volta il Boiardo, volendo raggiungere i suoi nobili amici a Ferrara, onde sfuggire ai tanti nemici in loco senza che questi potessero avvedersene, fece scavare un passaggio sotterraneo congiungente la rocca al convento dei cappuccini che si trovava un bel po’ fuori paese. In tal modo, così raccontava nonna Adele, il conte-poeta non poté più esser colto di sorpresa dalla famiglia avversaria che lo osteggiava con ogni mezzo. Storie traboccanti di suspense che amavamo più di ogni altra. Nonna Adele ci raccontava del Boiardo come se l’avesse conosciuto di persona.
D’altronde era un fatto che la nonna da giovane frequentasse il caffè Boiardo sulla piazza di Scandiano insieme a sua sorella. Tutto ciò che usciva dalla sua bocca ci appariva ancor più vero della realtà:
Tristano e Isotta dalla bionda trezza,
Ginevra e Lancillotto del Re Brando;
ma sopra tutti il franco conte Orlando.
Nonna Adele non poteva non aver conosciuto personalmente Angelica, il Circasso Sacripante, Agricane, re di Tartaria. Ma poi anche Agramante, Mandricardo, figlio di Agricane, Rodomonte, re di Sarza. E Marsilio, re di Spagna. Senza dimenticar Ranaldo né il fratel d’Angelica, il feroce Argalia…
Che lotte! Che forsennati assalti! Quante frecce fatate, assedi, cavalier cristiani e saraceni! Quanti duelli tra Orlando e il cugino Ranaldo! Gl’incantesimi, le magie, i viaggi favolosi, la straripante schiera di personaggi ed episodi! Le fonti magiche che fanno innamorare i protagonisti, o disamorare, tra ardimento guerriero, eroismi completamente fini a se stessi e nobil gentilezze…
Nonna Adele narrava della rocca e del suo eccelso poeta, ma anche del passaggio sotterraneo e delle rime… Più tardi, quando fummo in grado di leggere, ci donò i poemi del Boiardo e dell’Ariosto, L’Orlando innamorato e L’Orlando furioso: e allora capimmo la fonte di tanta meraviglia di “cavallier” monaci e pagani, di draghi e ippogrifi, di spade incantate e magiche illusioni… Attingeva al poema inconcluso di un grande che un altro grande volle completare.
Un giorno, molto tempo prima, nell’apice di un racconto in cui i cavalieri disputavano circa le prigioni nelle quali volevasi rinchiudere la bella Angelica, io interruppi: «Anche mio papà, anche mio papà è stato in prigione! Anche lui è un cavaliere! Oppure è un brigante!». Mi sentivo indicibilmente fiero di questa straordinaria scoperta. La nonna, invece, rimase completamente confusa. Ricordo perfettamente il suo spavento negli occhi. Ma gli altri bambini vollero sapere, insistendo molto, perché mai lo zio Enrico, che sembrava una persona così ammodo, sarebbe stato un cavaliere se non addirittura un brigante.
Insistemmo tutti un bel po’ affinché nonna Adele ci raccontasse di queste avventure. Lei però recalcitrava. Prima cosa, voleva sapere donde avessi appreso una simile notizia. Perché, in secondo luogo, quella era una storia “molto grave”, alla quale non le piaceva pensare “proprio per niente”. Poi, però, udendo che io l’avevo saputo dalla vicina del piano di sopra, la nonna ci ripensò e le parve opportuno rivelarci quel che era successo veramente, affinché l’apprendessimo da una persona di famiglia, senza “sofisticazioni”.
«Mio figlio Enrico, cioè tuo padre, Ettorino, non è mai stato né brigante né cavaliere, personaggi che non ci sono più. Ma come tutti i Dezza è sempre stato una persona onesta, un galantuomo dall’animo leale. Quindi sì, quel che una volta veniva definito un “prode paladino”, questo può dirsi oggi tuo padre. Però ci sono persone che per nobiltà e rettitudine, per bontà ed onestà, devono pagare un caro prezzo!».
Tutto questo proemio ci appariva abbastanza incomprensibile ed astruso. Incalzammo la nonna affinché ci dicesse della galera.
«Tu, Ettorino, eri molto piccolo. Abitavi con mamma e papà alla Josefstrasse, dove c’era il secondo negozio, nel quinto distretto. Ma forse non ti ricordi neanche più…».
«Sì che me lo ricordo, invece! Lì davanti avevamo il negozio, dietro c’era il retrobottega, poi il soggiorno, la camera da letto, sempre calda perché nella cantina sotto c’era il forno del panettiere col negozio proprio accanto al nostro. E mi ricordo anche della cucina: dietro verso il cortile sulla sinistra!».
«Sì, era proprio così!» confermò Ettorone. «Me lo ricordo anch’io benissimo, perché dalla finestra della cucina si poteva saltare sul carro pel mercato, e da lì con un altro salto arrivavi sul cortile».
«Anzi, davanti alla finestra della cucina» riprese la nonna «i carri dovevano essere due. Io lo so bene, anche se in quel momento non mi trovavo in Svizzera, lo so perché così mi hanno raccontato».
«Sì, sì. Noi ce ne stavamo sempre lì a giocare. E su ognuno dei due carri c’era l’insegna della ditta: Fratelli Dezza. Vini & commestibili». La più grande, Laura, che sempre sapeva tutto meglio degli altri volle aggiungere: «Sulla tabella c’erano anche gli indirizzi dei due negozi: Badenerstrasse e Josefstrasse».
«Voi, a quanto vedo, rammentate esattamente sia la casa che i dintorni» constatò la nonna. «Ebbene, una mattina, prestissimo, era ancora notte fonda, qualcuno suonò alla porta».
«Briganti feroci?».
«No, non erano briganti, era la polizia segreta».
«Che cosa significa polizia segreta?».
«Poliziotti che per non farsi riconoscere…».
«…si erano travestiti!».
«No, vestivano “in borghese”, portavano dei vestiti normali, senza divisa, sembravano comuni cittadini».
«Che carogne! Ma erano o non erano poliziotti?». – (2/4 – Continua)