Crisi finanziaria internazionale, great crunch, recessione, crack delle borse, ecco il lessico aggressivo del giornalismo mediatico e non, che quotidianamente continua a diffondere panico e confusione nell’opinione comune da più di tre settimane. Ma che cosa significa oggi vivere con l’ansia da crisi onnivora?
Basta guardare al quadro internazionale, per rendersi conto, subito, che la crisi strutturale e congiunturale che ha colpito il sistema finanziario mondiale è molto preoccupante. Un esempio per tutti è rappresentato dal caso della vicenda dell’Islanda: l’effetto domino della crisi dei subprime, che già ha messo ko le borse e le banche mondiali, rischia ora di travolgere una per una le economie più fragili dei paesi emergenti.
E’ chiaro che in un contesto così poco rassicurante anche il destino dell’economia italiana risenta di un clima torbido. “Ci saremmo aspettati qualcosa in più, dei messaggi più cauti e più vicini alla verità. Continua invece l’altalena tra l’ottimismo istituzionale del Cavaliere continuamente contraddetto dalla realtà, gli ammonimenti di Draghi che si allinea a cose fatte al pessimismo del Ministro dell’Economia, il tentativo di Tremonti di accreditarsi come l’uomo indispensabile a governare le grandezze economiche per tirarci fuori da marasma con meno danni possibili, ha commentato Elio di Caprio.
Stiamo correndo due grossi rischi, rincara Enrico Cisnetto. “Il primo riguarda un clamoroso misunderstanding relativo al concetto di politica industriale. Di essa c’è grande bisogno e ciò significa da parte della Politica assumersi la responsabilità di dare un indirizzo strategico allo sviluppo del Paese, individuando le linee guida lungo le quali far camminare l’economia. No allo Stato padrone –specie se a scopo di salvataggio – sì allo Stato decisore, che sceglie sia il quadro strategico entro il quale l’economia è opportuno che si muova, sia le regole che sovrintendono il funzionamento del libero mercato. Il secondo pericolo riguarda invece un’eccessiva concentrazione di potere in capo al Governo”.
Il bipolarismo malato non può essere abolito facilmente. È ancora lì e rende vischiosi i rapporti politici. Servirebbe un governo molto solido, in grado di far sentire e imporre l’agenda delle riforme.
“Altro che il federalismo all’italiana. Contro il declino, la “crescita sottozero” e l’insostenibilità del debito pubblico, bisogna puntare su: la semplificazione istituzionale, il rafforzamento dei meccanismi decisionali, la fine del localismo e della logica dei veti, una strategia d’integrazione europea, un grande piano di investimenti per rilanciare lo sviluppo. Questo è il “la” del tema oggetto della tavola rotonda “C’È LA RECESSIONE E IO NON HO NIENTE DA METTERMI” organizzato da Società Aperta il 4 novembre a Roma e di cui trovate l’invito in allegato.