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Ancora montagne russe per le Borse

Ancora montagne russe per le Borse. Mentre la campagna elettorale americana volge al termine, con il candidato Obama che, almeno secondo i sondaggi, sembra pronto a entrare nella storia come primo presidente di colore, l’attenzione dei cittadini è tutta per i mercati. Che non sembrano convinti delle misure d’emergenza varate negli Stati Uniti e in Europa. Diminuita la preoccupazione per le banche, quello per cui si teme è ora il “contagio” dall’economia finanziaria a quella reale dei consumi e della produzione. Comunque vada a finire, è chiaro che i prossimi anni ci riserveranno un vero cambio di paradigma, economico e politico, rispetto al sistema dei rapporti internazionali per come l’abbiamo visto finora. A dar retta agli “apocalittici” come Nouriel Roubini, ci sarà un vero stravolgimento dei rapporti di forza, con gli Stati Uniti che perderanno in parte il loro ruolo di potenza egemone. Ma quello che è certo è che cambierà anche il ruolo stesso della politica rispetto all’economia. La “mano invisibile” di smithiana memoria ha dimostrato di essere un po’ troppo disinvolta, e pare che l’unico soggetto in cui si possa riporre una qualche fiducia è tornato ad essere lo Stato. Siamo tutti keynesiani, dunque? Certo, l’attribuzione del Nobel al neo-keynesiano Paul Krugman sembrerebbe una conferma di questo trend. E anche in Italia si rafforza la schiera di chi, come lo stesso ministro Tremonti, vede con favore un ritorno della centralità della politica in un momento di grave difficoltà come questo. Attenzione però, avverte Davide Giacalone: “ Lo Stato non può tornare nel mercato produttivo italiano, perché non ne è mai uscito. Né possiamo cominciare ad aiutare le imprese, perché non abbiamo mai smesso. Tutto questo ha una storia nobile, che ci ha portato uno sviluppo impetuoso. Ma ha anche una versione ignobile, perché quel sistema è stato poi piegato alle peggiori logiche della partitocrazia, divenendo la protezione d’interessi che con lo sviluppo e la produzione non avevano nulla a che vedere”. Ma attenzione anche, ricorda Enrico Cisnetto, a non cadere nell’equivoco secondo cui il pericolo-recessione per l’Italia deriverebbe dalla crisi finanziaria. Della recessione in arrivo “si sapeva già da mesi – scrive Cisnetto – e si tratta di un risultato ‘coerente’ con un percorso che dura da almeno un quindicennio, periodo in cui abbiamo accumulato un ‘buco’ di crescita di 15 punti di pil rispetto ai paesi di Eurolandia e di 35 con gli Stati Uniti. Con questi formidabili svantaggi competitivi, è chiaro quale sarà l’impatto sul sistema-Italia di un’ulteriore contrazione della produzione”. Con l’aggravarsi della crisi finanziaria mondiale e a fronte del dubbio dell’adeguatezza delle risposte dei Governi europei il dibattito sulle potenzialità e i rischi derivanti dall’adozione del nuovo Trattato di Lisbona diviene ancora più drammatico. Tre le domande fondamentali: Lisbona consente all’Europa di essere più forte nel contesto internazionale? Lisbona consente all’Europa e ai suoi Stati membri di difendersi dagli effetti delle crisi economiche e finanziarie? Lisbona consente ai cittadini europei di verificare le politiche decise a Bruxelles? Questi i punti che verranno affrontati nel convegno Europa, democrazia e moneta che si terrà a Roma la prossima settimana.

Altro tema caldo della settimana, il rischio di scalate ostili in arrivo dall’estero. Se ne sono accorti il numero uno della Consob, Lamberto Cardia, e il premier Berlusconi. L’authority, insieme a Palazzo Chigi, starebbe dunque studiando misure per aumentare le “difese immunitarie” delle nostre imprese quotate, modificando la legislazione sull’Opa. Attenzione però – avverte Angelo De Mattia – a non esagerare nel senso opposto: “In un mercato che, per quanto riguarda le società non finanziarie, ha visto l’ultima grande Opa nel 1999 su Telecom, è opportuno riflettere prima di adottare misure che potrebbero ulteriormente ‘ingessare’ il mercato. La tutela degli azionisti di minoranza e la messa in causa dei vincoli societari spesso affetti da conflitti di interessi non sono, certo, obiettivi liberistici, e non sono incoerenti con l’economia sociale di mercato”.(Terza Repubblica)

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