LA DIDATTICA DELLA STORIA

Proposte al Ministero della Pubblica Istruzione per tramandare la memoria…

Dall’8 Settembre 1943 al 1945, prima del 25 Aprile, sono state deportate dall’Italia, secondo dati purtroppo incerti, non verificabili per l’assenza di un preciso ed attendibile censimento, circa 40.000 persone tra bambini, donne e uomini, di cui circa solo 10.000 sono stati deportati per motivi razziali (in base ai dati della ricercatrice del Cedec di Milano Picciotto Fargion che appaiono nella pubblicazione dal titolo “Il Libro della Memoria”). Dunque, una rilevante rimanenza (30.000 prigionieri) catturata per motivi politici, dove nel “politico” rientrano diverse categorie di persone, antifascisti, partigiani armati, o partecipanti a scioperi, dissidenti rispetto al sistema vigente, ostaggi e persone catturate durante un rastrellamento che anche attualmente non conoscono le motivazioni dell’arresto. Dai racconti si evince un discorso di connivenza e collaborazionismo della Guardia Nazionale Repubblichina con il nazifascismo (aspetti ricavabili da fonti primarie).
Quindi dalle testimonianze si ricavano diversi elementi utili al fine della ricostruzione storica, come tutta quella gamma di sentimenti e stati d’animo collegati alla separazione dal proprio territorio, dal nucleo famigliare, dalla cerchia dei compagni, si risale al “transport” in carri merci dove i deportati erano stipati e condotti a Fossoli, a Bolzano e nei lager d’oltralpe, come Dachau, Flossenburg, Ravensbruck, Mauthausen e, da questi campi principali, nei sottocampi come Gusen 1, Gusen 2, Ebensee, dove soprattutto i deportati morivano attraverso una condizione esistenziale, apparentemente privilegiata, che nell’etica comune, secondo la normale scala di valori umana attribuisce dignità all’individuo: l’etica del lavoro, che, al contrario, in quel contesto diventava schiavismo, i cui ritmi, per le condizioni precarie, la mancanza d’igiene, la scarsissima alimentazione e le vessazioni a cui erano sottoposti i prigionieri, portava alla inesorabile morte per stenti.
Il 5 Maggio del 1945, con la liberazione di Mauthausen, gli italiani reduci ammontavano a 4500 unità circa.
Dalle testimonianze si evince la mappatura dei sottocampi, le tipologie di lavoro, i nomi delle ditte che commissionavano il lavoro, il tipo di produzione, prevalentemente a carattere bellico, i percorsi di sopravvivenza (in che modo i testimoni sono riusciti a salvarsi).
Da un censimento della Gazzetta Ufficiale tedesca risulta che più di 1600 erano i campi di sterminio installati in Europa. In Italia i campi nazifascisti erano quelli di Fossoli, di Bolzano, la Risiera di San Saba a Trieste e Borgo San Dalmazzo a Cuneo. Il fenomeno concentrazionario è considerato uno dei punti di rottura, di crisi nella storia dell’umanità: dopo “il Lager” l’evoluzione, la storia dell’uomo è cambiata, per il fantasma di una prospettiva storica di regressione degradante.
Gli Italiani sono stati gli ultimi a rientrare in patria, anche con mezzi di fortuna, dopo mesi di attesa estenuante nei lager. Da tale situazione si ricava una forte denuncia nei confronti delle istituzioni sociali e politiche del tempo, eccetto l’Opera Pontificia che ha organizzato la fase difficoltosa del rientro in patria, la quale presentava il rilevante problema, il dramma dell’accoglienza, della re-integrazione nel Paese d’origine e il reinserimento nella società (ricostruirsi una famiglia, ritrovare il lavoro…), dove risultava molto carente anche l’assistenza sanitaria (soprattutto per la riabilitazione da malattie infettive e dell’apparato respiratorio). Lo Stato Italiano ha riconosciuto un vitalizio, per giunta scarso, esiguo, agli ex deportati solo negli anni ’80.
L’A.N.E.D. ha coniato un motto “diamo un futuro alla memoria” attraverso un percorso di responsabilizzazione e di trasmissione della conoscenza rivolto ai giovani. Attualmente dei quattro campi nazisti installati in Italia ( a Fossoli, Bolzano, Trieste, Cuneo) è rimasto ben poco: solo lapidi, baracche manomesse e fatiscenti, muri di recinzione, brandelli di binari costituiscono i reperti superstiti, sopravvissuti all’incuria, al degrado del tempo…ed oltre a tale condizione degradata dell’esistente, il relativo abuso della speculazione edilizia. Non esiste responsabilità per la conservazione e la valorizzazione del bene storico, del reperto testimoniante il passato, l’accaduto. I sopravvissuti sono ormai anziani e molti non hanno mai confidato ad altri la propria esperienza, anche perché dopo il ’45, pochi credevano agli eventi accaduti prima della liberazione.
I testimoni vanno scomparendo ed i segni del passato non risultano sufficientemente tutelati: occorre recuperare la memoria storica, per ricostruire il rapporto tra gli eventi, per dare voce alla storia. “I segni del tempo” all’interno di un percorso didattico possono fornire alle scuole una serie di elementi storici al fine di conoscere e valorizzare il territorio in cui vivono, da cui recuperare le testimonianze del passato, per riconoscersi in esso ed identificarvisi.
Al decreto Berlinguer relativo alla storia del ‘900 non è seguito un movimento di ricerca soprattutto a livello scolastico ed il conseguente e naturale riscontro da parte della società civile. All’interno del mondo della scuola non si presta sufficiente attenzione al ‘900 ed alle modalità tramite cui comunicare gli eventi storici. In Italia è difficile trovare materiale storico, di guida per i viaggi-studio nei lager. Non si è fatto nulla per fornire strumenti operativi e materiale di studio al docente. L’IRRSAE potrebbe proporre agli insegnanti una serie di momenti di formazione finalizzati alla realizzazione di unità didattiche entro un’ampia scansione, toccando i seguenti punti e argomenti:
 l’uso didattico delle fonti orali nelle scuole (dove il testimone è fonte diretta)
 cultura materiale (come visitare dal punto di vista educativo e didattico uno spazio lager, come è organizzato, finalità della collocazione geografica ecc…)
 la didattica museale (nelle nuove architetture, sorte sul preesistente, si riscontra la presenza di musei relativi alla deportazione)
 progetto per costruire un percorso di visita guidata.
 Progetto per l’elaborazione di percorsi urbani, in ambito territoriale locale (territori cittadini) finalizzati al riconoscimento, all’individuazione dei segni del tempo, della storia, per analizzare e interpretare i luoghi di dedicazione, la toponomastica, testimonianti un passato gravido di significati, contenuti e valori necessari per vivere ed apprezzare l’attualità della democrazia.

La vita dei partigiani e di tutti i deportati nei lager è stata resa sacra, “sacrificata” per ideali di libertà, di uguaglianza, per realizzare la possibilità di vivere in uno stato in cui i diritti inviolabili della persona non vengano calpestati dall’istituzione, dal regime dittatoriale che si pone come giudice censore della libera opinione dell’“altro”, del pensiero dell’individuo.
L’A.N.E.D. sottolinea che il richiamo all’antifascismo di tali iniziative non presenta nulla di retorico. Tale richiamo, “…per non dimenticare”, cesserà di costituire un’esigenza politica primaria solo quando tutte le forze politiche daranno prova di convenire sull’attuazione di un’unica e vera concezione della democrazia, priva di subdole pretese revisioniste e, addirittura, negazioniste. Il mondo contemporaneo, in cui si moltiplicano i focolai del conflitto, dimostra un’assoluta esigenza di movimenti antifascisti, motivo di disapprovazione contro guerre e varie forme di discriminazione razziale, politica e religiosa.

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