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Grazie ai nemici Greci

di Crescenzio Sangiglio

Vi sono eventi che, malgrado il trascorrere degli anni e tutte le esperienze venute successivamente a sovrapporsi, rimangono impressi nella memoria, in parte o interamente, a qualsiasi età della propria vita.
Nella storia personale del sottoscritto uno di questi avvenimenti è stata certamente la guerra italo-ellenica del 1940-41, a cominciare dal giorno della sua dichiarazione, il 28 ottobre 1940.
Chi scrive queste righe aveva all’epoca da poco cominciato a frequentare la prima classe delle elementari. I ricordi però di quel giorno e di quelli che sono seguiti lungo parecchi anni sono rimasti impressi nella memoria in modo direi indelebile, tanto sono risultati impressionanti e, per alcuni versi, anche traumatizzanti i fatti che si sono succeduti non solo nella prima settimana dopo il 29 ottobre 1940, ma anche molto dopo.
Ricordo che la sera del 28 ottobre mio padre, funzionario del consolato d’Italia a Salonicco, e mia madre avevano a casa, ospiti a cena, alcuni loro amici greci, tra i quali un generale dell’esercito.
Chiaramente, data la mia età, il fatto che alle dieci di sera italiani e greci riuniti in festoso banchetto fossero amici e sei ore dopo si fossero tramutati in nemici, non poteva in alcun modo passarmi per il cervello. Solo pochi anni più tardi, ancora comunque giovanetto, riflettendo su tutta quella avventura in cui era stata coinvolta la mia famiglia, ebbi per la prima volta la sensazione (non ancora la certezza) dell’assurdità di quella (e di ogni) guerra, un’assurdità che tuttavia nel nostro caso non condusse per forza, come sicuramente accadde in ambito ufficiale, allo stravolgimento dei sentimenti e quindi anche, con più o meno evidente sincerità, alla trasformazione dell’amicizia e simpatia in inimicizia e avversione.
I miei genitori, anche a causa del lavoro di mio padre, avevano una notevole cerchia di amici italiani e soprattutto greci, non solo ortodossi, ma anche israeliti (per i quali, qualche anno più tardi, i rapporti con gli italiani legati al carro tedesco assunsero, come è noto, altre, più drammatiche valenze).
Il periodo 1940-1946 fu un periodo di emozioni e commozioni molto intense che ebbero influssi non solo sulla pratica quotidianità, sul vivere di tutti i giorni gomito a gomito con la popolazione locale, ma altresì sul modo di discernere le cose e gli uomini e soprattutto sui valori dei sentimenti correlato ad esiti storico-politici che fattori umani, invisibili all’uomo comune e da lui irraggiungibili e quindi non influenzabili, imponevano solo per “superiore” volontà e interessi che con tale uomo nulla avevano a che fare. Altri fanno la guerra e altri ne pagano le conseguenze, come accade sempre.
Ä– così pertanto che fummo tra quelli – non so se pochi o molti – cui il fatto bellico tra due nazioni non si trasferì anche nelle relazioni interpersonali e interumane alterandone i contenuti e inserendole in direzioni opposte e divergenti, una escludente l’altra.
Gli amici greci rimasero in prevalenza tali ed io, sia pure dopo tanto tempo, non posso che essere loro grato. Non ricordo se, dopo il 28 ottobre, o piuttosto dopo l’aprile del 1941 (il 30 ottobre fummo espulsi con una valigia in mano e giungemmo a Roma attraverso una peripezia lungo la Bulgaria, Romania, Serbia, Ungheria e Austria!), quando ritornammo a Salonicco vi sia stata diminuzione dei contatti fra i miei genitori e i loro amici greci d’anteguerra, fatta eccezione per i militari, trasferiti altrove e poi persi di vista. E proprio nell’ambito di questi rapporti di amicizia rimasti vivi ci furono non pochi interventi di cura e protezione della nostra casa rimasta vuota durante quasi sei mesi di allontanamento da Salonicco.
Non so se si sia trattato di un caso fortunato, il nostro. A me risulta che il complesso di relazioni amichevoli tra gli italiani rimasti nel 1940, cioè non espulsi definitivamente (come poi accadde nel gennaio del 1947) e la gente locale non ebbe sensibilmente a soffrire menomazioni dovute ad astio per l’aggressione italiana.
Col senno del poi sono tentato di pensare che, anche allora, il detto “una faccia una razza” abbia trovato larga applicazione da parte ellenica, ponendosi come una specie di cuscino di sicurezza che attutì i possibili e delle volte inevitabili attriti fra le due parti in causa. Certo, non sono mancate le eccezioni. Ma non è normale pure questo?
Anche dopo il 1940, anno del duro impatto con una inattesa realtà, e fino al 1946, attraverso anni difficili e sanguinosi in cui povertà e sofferenza coinvolse in egual misura e, perché no?, riunì greci e italiani in tutta la Grecia, i sentimenti degli amici locali non ebbi mai l’impressione che fossero venuti meno, se si eccettua qualche caso di intolleranza e di offesa dovuti a incontrollabile, subcosciente fanatismo.
In sostanza, e se debbo basarmi sui ricordi che riguardano la mia famiglia e i suoi conoscenti e amici greci, e altresì i conoscenti italiani legati da amicizia con i nostri amici greci, è certo che gli anni ’40-’46 misero davvero a dura prova la fedeltà della loro reciproca amicizia. E per quanto io ne sappia, rammemorando il comportamento e le reazioni dei miei genitori e degli altri “grandi” all’epoca, questa fedeltà molto raramente deve essere stata tradita.
Se poi ciò sia vero relativamente alla cerchia delle nostre relazioni sociali senza costituire eccezione, non posso che estendere tale situazione alla maggior parte della società italiana e greca dell’epoca nhelle quali prevalse sempre un profondo sentimento di umanità.

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