Alitalia, follia italiana

Non c’è metafora più calzante come quella del mito della Fenice per descrivere l’epilogo di una delle più originali vicende di “follia all’italiana” cui abbiamo assistito in questa settimana con il caso Alitalia. Peccato però che il ritorno della fenice, risorta dalla cenere, nella nuova veste Cai , non annunci affatto un periodo di ricchezza. Attenti a non cantare troppo presto vittoria, ammonisce Enrico Cisnetto, il caso Alitalia suggerisce prudenza: anche di fronte alla “resa” di piloti e assistenti di volo, ci sarebbe comunque il rischio di un referendum tra i lavoratori, che visto l’andazzo delle assemblee (compresa quella di ieri a Fiumicino, dove lo slogan più gettonato era il propositivo “no, no, no”) e delle manifestazioni (quel “meglio falliti che con i banditi” rimarrà una macchia incancellabile nella storia del movimento sindacale) potrebbe non avere necessariamente un esito positivo”. Al momento, poi, non è ancora chiaro se si arriverà ad un accordo per salvare la compagnia di bandiera. Quello che è certo però – continua Cisnetto – è che il “caso” Alitalia al di là di tutto rappresenta un po’ il peggio del peggio del sistema politico italiano. Un caso che ricorda da vicino quello dell’articolo 18 (ma anche quello dei tassisti o degli autotrasportatori, o ancora delle grandi opere e del nucleare). Si tratta insomma della famigerata sindrome “nimby”, che in Italia ha attecchito con radici di dimensioni e struttura inesistenti altrove. Così oggi, ciò che colpisce nella lunga e straziante agonia della compagnia aerea, è proprio quest’aspetto: una sparuta minoranza di soggetti – fondamentalmente i 2.480 piloti – che riesce a mettere in crisi un accordo sul quale si erano già impegnate le più importanti sigle sindacali e che rappresenta il dossier più importante su cui il premier si è giocato tutto in campagna elettorale, e su cui si gioca oggi la credibilità (anche a livello internazionale). Insomma la lezione che arriva dal caso Alitalia – conclude Cisnetto – è dunque questa: che non è sufficiente vincere le elezioni per poter governare questo Paese. Che l’alternanza in versione obbligata, con maggioranza e opposizione che ormai regolarmente si succedono al governo da anni non riesce a produrre una classe politica in grado di sintonizzarsi con le richieste profonde del Paese. In particolare, la politica non è in grado di far fronte a un corporativismo e a un sistema castale che si va rafforzando sempre più, parallelamente al declino sempre più accentuato del Paese. Non basta dunque (stra)vincere le elezioni ottenendo la più solida maggioranza parlamentare del Dopoguerra. Perché anche così non si ottiene il controllo reale del Paese. Quello che serve per superare queste resistenze neanche tanto sotterranee, è un governo di unità nazionale che sappia dare risposte concrete alle esigenze di modernizzazione del Paese. Sempre di “Alitalia” si è occupato Elio di Caprio nel suo articolo. La telenovela della compagnia di bandiera che ha appassionato i talk show di prima e seconda serata per tutta la settimana, il cui intendo era quello di fare chiarezza su un problema complesso, come si direbbe da sinistra, semplificato dal decisionismo interessato di Silvio Berlusconi, si è conclusa tra mille contraddizioni. D’altronde c’era pure da aspettarselo. “Si possono pure criticare ed a ragione i “format” della politica spettacolo di Berlusconi e di questa destra ora al potere, ma l”alternativa è il vuoto della sinistra”.(Terza Repubblica)

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