Copyright 2008
by Roberto Saviano
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of Roberto Santachiara
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I RESPONSABILI hanno dei nomi. Hanno dei volti. Hanno persino un'anima. O
forse no. Giuseppe Setola, Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo, Giovanni
Letizia, Emilio di Caterino, Pietro Vargas stanno portando avanti una
strategia militare violentissima. Sono autorizzati dal boss latitante Michele
Zagaria e si nascondono intorno a Lago Patria. Tra di loro si sentiranno
combattenti solitari, guerrieri che cercano di farla pagare a tutti, ultimi
vendicatori di una delle più sventurate e feroci terre d'Europa. Se la
racconteranno così.
Ma Giuseppe Setola, Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo, Giovanni Letizia,
Emilio di Caterino e Pietro Vargas sono vigliacchi, in realtà: assassini
senza alcun tipo di abilità militare. Per ammazzare svuotano caricatori
all'impazzata, per caricarsi si strafanno di cocaina e si gonfiano di Fernet
Branca e vodka. Sparano a persone disarmate, colte all'improvviso o prese
alle spalle. Non si sono mai confrontati con altri uomini armati. Dinnanzi a
questi tremerebbero, e invece si sentono forti e sicuri uccidendo inermi,
spesso anziani o ragazzi giovani. Ingannandoli e prendendoli alle spalle.
E io mi chiedo: nella vostra terra, nella nostra terra sono ormai mesi e mesi
che un manipolo di killer si aggira indisturbato massacrando soprattutto
persone innocenti. Cinque, sei persone, sempre le stesse. Com'è possibile? Mi
chiedo: ma questa terra come si vede, come si rappresenta a se stessa, come
si immagina? Come ve la immaginate voi la vostra terra, il vostro paese? Come
vi sentite quando andate al lavoro, passeggiate, fate l'amore? Vi ponete il
problema, o vi basta dire, “così è sempre stato e sempre sarà così”?
Davvero vi basta credere che nulla di ciò che accade dipende dal vostro
impegno o dalla vostra indignazione? Che in fondo tutti hanno di che campare
e quindi tanto vale vivere la propria vita quotidiana e nient'altro. Vi
bastano queste risposte per farvi andare avanti? Vi basta dire “non faccio
niente di male, sono una persona onesta” per farvi sentire innocenti?
Lasciarvi passare le notizie sulla pelle e sull'anima. Tanto è sempre stato
così, o no? O delegare ad associazioni, chiesa, militanti, giornalisti e
altri il compito di denunciare vi rende tranquilli? Di una tranquillità che
vi fa andare a letto magari non felici ma in pace? Vi basta veramente?
Questo gruppo di fuoco ha ucciso soprattutto innocenti. In qualsiasi altro
paese la libertà d'azione di un simile branco di assassini avrebbe generato
dibattiti, scontri politici, riflessioni. Invece qui si tratta solo di
crimini connaturati a un territorio considerato una delle province del buco
del culo d'Italia. E quindi gli inquirenti, i carabinieri e poliziotti, i
quattro cronisti che seguono le vicende, restano soli. Neanche chi nel resto
del paese legge un giornale, sa che questi killer usano sempre la stessa
strategia: si fingono poliziotti. Hanno lampeggiante e paletta, dicono di
essere della Dia o di dover fare un controllo di documenti. Ricorrono a un
trucco da due soldi per ammazzare con più facilità. E vivono come bestie: tra
masserie di bufale, case di periferia, garage.
Hanno ucciso sedici persone. La mattanza comincia il 2 maggio verso le sei
del mattino in una masseria di bufale a Cancello Arnone. Ammazzano il padre
del pentito Domenico Bidognetti, cugino ed ex fedelissimo di Cicciotto e'
mezzanotte.
Umberto Bidognetti aveva 69 anni e in genere era accompagnato pure dal figlio
di Mimì, che giusto quella mattina non era riuscito a tirarsi su dal letto
per aiutare il nonno. Il 15 maggio uccidono a Baia Verde, frazione di Castel
Volturno, il sessantacinquenne Domenico Noviello, titolare di una scuola
guida. Domenico Noviello si era opposto al racket otto anni prima. Era stato
sotto scorta, ma poi il ciclo di protezione era finito. Non sapeva di essere
nel mirino, non se l'aspettava. Gli scaricano addosso 20 colpi mentre con la
sua Panda sta andando a fare una sosta al bar prima di aprire l'autoscuola.
La sua esecuzione era anche un messaggio alla Polizia che stava per celebrare
la sua festa proprio a Casal di Principe, tre giorni dopo, e ancor più una
chiara dichiarazione: può passare quasi un decennio ma i Casalesi non
dimenticano.
Prima ancora, il 13 maggio, distruggono con un incendio la fabbrica di
materassi di Pietro Russo a Santa Maria Capua Vetere. È l'unico dei loro
bersagli ad avere una scorta. Perché è stato l'unico che, con Tano Grasso,
tentò di organizzare un fronte contro il racket in terra casalese. Poi, il 30
maggio, a Villaricca colpiscono alla pancia Francesca Carrino, una ragazza,
venticinque anni, nipote di Anna Carrino, la ex compagna di Francesco
Bidognetti, pentita. Era in casa con la madre e con la nonna, ma era stata
lei ad aprire la porta ai killer che si spacciavano per agenti della Dia.
Non passa nemmeno un giorno che a Casal di Principe, mentre dopo pranzo sta
per andare al “Roxy bar”, uccidono Michele Orsi, imprenditore dei rifiuti
vicino al clan che, arrestato l'anno prima, aveva cominciato a collaborare
con la magistratura svelando gli intrighi rifiuti-politica-camorra. È un
omicidio eccellente che fa clamore, solleva polemiche, fa alzare la voce ai
rappresentanti dello Stato. Ma non fa fermare i killer.
L'11 luglio uccidono al Lido “La Fiorente” di Varcaturo Raffaele Granata, 70
anni, gestore dello stabilimento balneare e padre del sindaco di Calvizzano.
Anche lui paga per non avere anni prima ceduto alle volontà del clan. Il 4
agosto massacrano a Castel Volturno Ziber Dani e Arthur Kazani che stavano
seduti ai tavoli all'aperto del “Bar Kubana” e, probabilmente, il 21 agosto
Ramis Doda, venticinque anni, davanti al “Bar Freedom” di San Marcellino. Le
vittime sono albanesi che arrotondavano con lo spaccio, ma avevano il
permesso di soggiorno e lavoravano nei cantieri come muratori e imbianchini.
Poi il 18 agosto aprono un fuoco indiscriminato contro la villetta di Teddy
Egonwman, presidente dei nigeriani in Campania, che si batte da anni contro
la prostituzione delle sue connazionali, ferendo gravemente lui, sua moglie
Alice e altri tre amici.
Tornano a San Marcellino il 12 settembre per uccidere Antonio Ciardullo ed
Ernesto Fabozzi, massacrati mentre stavano facendo manutenzione ai camion
della ditta di trasporti di cui il primo era titolare. Anche lui non aveva
obbedito, e chi gli era accanto è stato ucciso perché testimone.
Infine, il 18 settembre, trivellano prima Antonio Celiento, titolare di una
sala giochi a Baia Verde, e un quarto d'ora dopo aprono un fuoco di 130
proiettili di pistole e kalashnikov contro gli africani riuniti dentro e
davanti la sartoria “Ob Ob Exotic Fashion” di Castel Volturno. Muoiono Samuel
Kwaku, 26 anni, e Alaj Ababa, del Togo; Cristopher Adams e Alex Geemes, 28
anni, liberiani; Kwame Yulius Francis, 31 anni, e Eric Yeboah, 25, ghanesi,
mentre viene ricoverato con ferite gravi Joseph Ayimbora, 34 anni, anche lui
del Ghana. Solo uno o due di loro avevano forse a che fare con la droga, gli
altri erano lì per caso, lavoravano duro nei cantieri o dove capitava, e pure
nella sartoria.
Sedici vittime in meno di sei mesi. Qualsiasi paese democratico con una
situazione del genere avrebbe vacillato. Qui da noi, nonostante tutto,
neanche se n'è parlato. Neanche si era a conoscenza da Roma in su di questa
scia di sangue e di questo terrorismo, che non parla arabo, che non ha stelle
a cinque punte, ma comanda e domina senza contrasto.
Ammazzano chiunque si opponga. Ammazzano chiunque capiti sotto tiro, senza
riguardi per nessuno. La lista dei morti potrebbe essere più lunga, molto più
lunga. E per tutti questi mesi nessuno ha informato l'opinione pubblica che
girava questa “paranza di fuoco”. Paranza, come le barche che escono a
pescare insieme in alto mare. Nessuno ne ha rivelato i nomi sino a quando non
hanno fatto strage a Castel Volturno.
Ma sono sempre gli stessi, usano sempre le stesse armi, anche se cercano di
modificarle per trarre in inganno la scientifica, segno che ne hanno a
disposizione poche. Non entrano in contatto con le famiglie, stanno
rigorosamente fra di loro. Ogni tanto qualcuno li intravede nei bar di
qualche paesone, dove si fermano per riempirsi d'alcol. E da sei mesi nessuno
riesce ad acciuffarli.
Castel Volturno, territorio dove è avvenuta la maggior parte dei delitti, non
è un luogo qualsiasi. Non è un quartiere degradato, un ghetto per reietti e
sfruttati come se ne possono trovare anche altrove, anche se ormai certe sue
zone somigliano più alle hometown dell'Africa che al luogo di turismo
balneare per il quale erano state costruite le sue villette. Castel Volturno
è il luogo dove i Coppola edificarono la più grande cittadella abusiva del
mondo, il celebre Villaggio Coppola.
Ottocentosessantatremila metri quadrati occupati col cemento. Che
abusivamente presero il posto di una delle più grandi pinete marittime del
Mediterraneo. Abusivo l'ospedale, abusiva la caserma dei carabinieri, abusive
le poste. Tutto abusivo. Ci andarono ad abitare le famiglie dei soldati della
Nato. Quando se ne andarono, il territorio cadde nell'abbandono più totale e
divenne tutto feudo di Francesco Bidognetti e al tempo stesso territorio
della mafia nigeriana.
I nigeriani hanno una mafia potente con la quale ai Casalesi conveniva
allearsi, il loro paese è diventato uno snodo nel traffico internazionale di
cocaina e le organizzazioni nigeriane sono potentissime, capaci di investire
soprattutto nei money transfer, i punti attraverso i quali tutti gli
immigrati del mondo inviano i soldi a casa. Attraverso questi, i nigeriani
controllano soldi e persone. Da Castel Volturno transita la coca africana
diretta soprattutto in Inghilterra. Le tasse sul traffico che quindi il clan
impone non sono soltanto il pizzo sullo spaccio al minuto, ma accordi di una
sorta di joint venture. Ora però i nigeriani sono potenti, potentissimi. Così
come lo è la mafia albanese, con la quale i Casalesi sono in affari.
E il clan si sta slabbrando, teme di non essere più riconosciuto come chi
comanda per primo e per ultimo sul territorio. Ed ecco che nei vuoti si
insinuano gli uomini della paranza. Uccidono dei pesci piccoli albanesi come
azione dimostrativa, fanno strage di africani – e fra questi nessuno viene
dalla Nigeria – colpiscono gli ultimi anelli della catena di gerarchie
etniche e criminali. Muoiono ragazzi onesti, ma come sempre, in questa terra,
per morire non dev'esserci una ragione. E basta poco per essere diffamati.
I ragazzi africani uccisi erano immediatamente tutti “trafficanti” come
furono “camorristi” Giuseppe Rovescio e Vincenzo Natale, ammazzati a Villa
Literno il 23 settembre 2003 perché erano fermi a prendere una birra vicino a
Francesco Galoppo, affiliato del clan Bidognetti. Anche loro furono subito
battezzati come criminali.
Non è la prima volta che si compie da quelle parti una mattanza di immigrati.
Nel 1990 Augusto La Torre, boss di Mondragone, partì con i suoi fedelissimi
alla volta di un bar che, pur gestito da italiani, era diventato un punto di
incontro per lo spaccio degli africani. Tutto avveniva sempre lungo la
statale Domitiana, a Pescopagano, pochi chilometri a nord di Castel Volturno,
però già in territorio mondragonese. Uccisero sei persone, fra cui il
gestore, e ne ferirono molte altre. Anche quello era stato il culmine di una
serie di azioni contro gli stranieri, ma i Casalesi che pure approvavano le
intimidazioni non gradirono la strage. La Torre dovette incassare critiche
pesanti da parte di Francesco “Sandokan” Schiavone. Ma ora i tempi sono
cambiati e permettono di lasciar esercitare una violenza indiscriminata a un
gruppo di cocainomani armati.
Chiedo di nuovo alla mia terra che immagine abbia di sé. Lo chiedo anche a
tutte quelle associazioni di donne e uomini che in grande silenzio qui
lavorano e si impegnano. A quei pochi politici che riescono a rimanere
credibili, che resistono alle tentazioni della collusione o della rinuncia a
combattere il potere dei clan. A tutti coloro che fanno bene il loro lavoro,
a tutti coloro che cercano di vivere onestamente, come in qualsiasi altra
parte del mondo. A tutte queste persone. Che sono sempre di più, ma sono
sempre più sole.
Come vi immaginate questa terra? Se è vero, come disse Danilo Dolci, che
ciascuno cresce solo se è sognato, voi come ve li sognate questi luoghi? Non
c'è stata mai così tanta attenzione rivolta alle vostre terre e quel che vi è
avvenuto e vi avviene. Eppure non sembra cambiato molto. I due boss che
comandano continuano a comandare e ad essere liberi. Antonio Iovine e Michele
Zagaria. Dodici anni di latitanza. Anche di loro si sa dove sono. Il primo è
a San Cipriano d'Aversa, il secondo a Casapesenna. In un territorio grande
come un fazzoletto di terra, possibile che non si riesca a scovarli?
È storia antica quella dei latitanti ricercati in tutto il mondo e poi
trovati proprio a casa loro. Ma è storia nuova che ormai ne abbiano parlato
più e più volte giornali e tv, che politici di ogni colore abbiano promesso
che li faranno arrestare. Ma intanto il tempo passa e nulla accade. E sono
lì. Passeggiano, parlano, incontrano persone.
Ho visto che nella mia terra sono comparse scritte contro di me. Saviano
merda. Saviano verme. E un'enorme bara con il mio nome. E poi insulti,
continue denigrazioni a partire dalla più ricorrente e banale: “Quello s'è
fatto i soldi”. Col mio lavoro di scrittore adesso riesco a vivere e, per
fortuna, pagarmi gli avvocati. E loro? Loro che comandano imperi economici e
si fanno costruire ville faraoniche in paesi dove non ci sono nemmeno le
strade asfaltate?
Loro che per lo smaltimento di rifiuti tossici sono riusciti in una sola
operazione a incassare sino a 500 milioni di euro e hanno imbottito la nostra
terra di veleni al punto tale di far lievitare fino al 24% certi tumori, e le
malformazioni congenite fino all'84% per cento? Soldi veri che generano,
secondo l'Osservatorio epidemiologico campano, una media di 7.172,5 morti per
tumore all'anno in Campania. E ad arricchirsi sulle disgrazie di questa terra
sarei io con le mie parole, o i carabinieri e i magistrati, i cronisti e
tutti gli altri che con libri o film o in ogni altro modo continuano a
denunciare? Com'è possibile che si crei un tale capovolgimento di
prospettive? Com'è possibile che anche persone oneste si uniscano a questo
coro? Pur conoscendo la mia terra, di fronte a tutto questo io rimango
incredulo e sgomento e anche ferito al punto che fatico a trovare la mia
voce.
Perché il dolore porta ad ammutolire, perché l'ostilità porta a non sapere a
chi parlare. E allora a chi devo rivolgermi, che cosa dico? Come faccio a
dire alla mia terra di smettere di essere schiacciata tra l'arroganza dei
forti e la codardia dei deboli? Oggi qui in questa stanza dove sono, ospite
di chi mi protegge, è il mio compleanno. Penso a tutti i compleanni passati
così, da quando ho la scorta, un po' nervoso, un po' triste e soprattutto
solo.
Penso che non potrò mai più passarne uno normale nella mia terra, che non
potrò mai più metterci piede. Rimpiango come un malato senza speranze tutti i
compleanni trascurati, snobbati perché è solo una data qualsiasi, e un altro
anno ce ne sarà uno uguale. Ormai si è aperta una voragine nel tempo e nello
spazio, una ferita che non potrà mai rimarginarsi. E penso pure e soprattutto
a chi vive la mia stessa condizione e non ha come me il privilegio di
scriverne e parlare a molti.
Penso ad altri amici sotto scorta, Raffaele, Rosaria, Lirio, Tano, penso a
Carmelina, la maestra di Mondragone che aveva denunciato il killer di un
camorrista e che da allora vive sotto protezione, lontana, sola. Lasciata dal
fidanzato che doveva sposare, giudicata dagli amici che si sentono
schiacciati dal suo coraggio e dalla loro mediocrità. Perché non c'era stata
solidarietà per il suo gesto, anzi, ci sono state critiche e abbandono. Lei
ha solo seguito un richiamo della sua coscienza e ha dovuto barcamenarsi con
il magro stipendio che le dà lo stato.
Cos'ha fatto Carmelina, cos'hanno fatto altri come lei per avere la vita
distrutta e sradicata, mentre i boss latitanti continuano a poter vivere
protetti e rispettati nelle loro terre? E chiedo alla mia terra: che cosa ci
rimane? Ditemelo. Galleggiare? Far finta di niente? Calpestare scale di
ospedali lavate da cooperative di pulizie loro, ricevere nei serbatoi la
benzina spillata da pompe di benzina loro? Vivere in case costruite da loro,
bere il caffè della marca imposta da loro (ogni marca di caffè per essere
venduta nei bar deve avere l'autorizzazione dei clan), cucinare nelle loro
pentole (il clan Tavoletta gestiva produzione e vendita delle marche più
prestigiose di pentole)?
Mangiare il loro pane, la loro mozzarella, i loro ortaggi? Votare i loro
politici che riescono, come dichiarano i pentiti, ad arrivare alle più alte
cariche nazionali? Lavorare nei loro centri commerciali, costruiti per creare
posti di lavoro e sudditanza dovuta al posto di lavoro, ma intanto non c'è
perdita, perché gran parte dei negozi sono loro? Siete fieri di vivere nel
territorio con i più grandi centri commerciali del mondo e insieme uno dei
più alti tassi di povertà? Passare il tempo nei locali gestiti o autorizzati
da loro? Sedervi al bar vicino ai loro figli, i figli dei loro avvocati, dei
loro colletti bianchi? E trovarli simpatici e innocenti, tutto sommato
persone gradevoli, perché loro in fondo sono solo ragazzi, che colpa hanno
dei loro padri.
E infatti non si tratta di stabilire colpe, ma di smettere di accettare e di
subire sempre, smettere di pensare che almeno c'è ordine, che almeno c'è
lavoro, e che basta non grattare, non alzare il velo, continuare ad andare
avanti per la propria strada. Che basta fare questo e nella nostra terra si è
già nel migliore dei mondi possibili, o magari no, ma nell'unico mondo
possibile sicuramente.
Quanto ancora dobbiamo aspettare? Quanto ancora dobbiamo vedere i migliori
emigrare e i rassegnati rimanere? Siete davvero sicuri che vada bene così?
Che le serate che passate a corteggiarvi, a ridere, a litigare, a maledire il
puzzo dei rifiuti bruciati, a scambiarvi quattro chiacchiere, possano
bastare? Voi volete una vita semplice, normale, fatta di piccole cose, mentre
intorno a voi c'è una guerra vera, mentre chi non subisce e denuncia e parla
perde ogni cosa. Come abbiamo fatto a divenire così ciechi? Così asserviti e
rassegnati, così piegati? Come è possibile che solo gli ultimi degli ultimi,
gli africani di Castel Volturno che subiscono lo sfruttamento e la violenza
dei clan italiani e di altri africani, abbiano saputo una volta tirare fuori
più rabbia che paura e rassegnazione? Non posso credere che un sud così ricco
di talenti e forze possa davvero accontentarsi solo di questo.
La Calabria ha il Pil più basso d'Italia ma “Cosa Nuova”, ossia la
'ndrangheta, fattura quanto e più di una intera manovra finanziaria italiana.
Alitalia sarà in crisi, ma a Grazzanise, in un territorio marcio di camorra,
si sta per costruire il più grande aeroporto italiano, il più vasto del
Mediterraneo. Una terra condannata a far circolare enormi capitali senza
avere uno straccio di sviluppo vero, e invece ha danaro, profitto, cemento
che ha il sapore del saccheggio, non della crescita.
Non posso credere che riescano a resistere soltanto pochi individui
eccezionali. Che la denuncia sia ormai solo il compito dei pochi singoli,
preti, maestri, medici, i pochi politici onesti e gruppi che interpretano il
ruolo della società civile. E il resto? Gli altri se ne stanno buoni e zitti,
tramortiti dalla paura? La paura. L'alibi maggiore. Fa sentire tutti a posto
perché è in suo nome che si tutelano la famiglia, gli affetti, la propria
vita innocente, il proprio sacrosanto diritto a viverla e costruirla.
Ma non avere più paura non sarebbe difficile. Basterebbe agire, ma non da
soli. La paura va a braccetto con l'isolamento. Ogni volta che qualcuno si
tira indietro crea altra paura, che crea ancora altra paura, in un crescendo
esponenziale che immobilizza, erode, lentamente manda in rovina.
“Si può edificare la felicità del mondo sulle spalle di un unico bambino
maltrattato?”, domanda Ivan Karamazov a suo fratello Aljo'a. Ma voi non
volete un mondo perfetto, volete solo una vita tranquilla e semplice, una
quotidianità accettabile, il calore di una famiglia. Accontentarvi di questo
pensate che vi metta al riparo da ansie e dolori. E forse ci riuscite,
riuscite a trovare una dimensione in cui trovate serenità. Ma a che prezzo?
Se i vostri figli dovessero nascere malati o ammalarsi, se un'altra volta
dovreste rivolgervi a un politico che in cambio di un voto vi darà un lavoro
senza il quale anche i vostri piccoli sogni e progetti finirebbero nel vuoto,
quando faticherete ad ottenere un mutuo per la vostra casa mentre i direttori
delle stesse banche saranno sempre disponibili con chi comanda, quando
vedrete tutto questo forse vi renderete conto che non c'è riparo, che non
esiste nessun ambito protetto, e che l'atteggiamento che pensavate realistico
e saggiamente disincantato vi ha appestato l'anima di un risentimento e
rancore che toglie ogni gusto alla vostra vita.
Perché se tutto ciò è triste la cosa ancora più triste è l'abitudine.
Abituarsi che non ci sia null'altro da fare che rassegnarsi, arrangiarsi o
andare via. Chiedo alla mia terra se riesce ancora ad immaginare di poter
scegliere. Le chiedo se è in grado di compiere almeno quel primo gesto di
libertà che sta nel riuscire a pensarsi diversa, pensarsi libera. Non
rassegnarsi ad accettare come un destino naturale quel che è invece opera
degli uomini.
Quegli uomini possono strapparti alla tua terra e al tuo passato, portarti
via la serenità, impedirti di trovare una casa, scriverti insulti sulle
pareti del tuo paese, possono fare il deserto intorno a te. Ma non possono
estirpare quel che resta una certezza e, per questo, rimane pure una
speranza. Che non è giusto, non è per niente naturale, far sottostare un
territorio al dominio della violenza e dello sfruttamento senza limiti. E che
non deve andare avanti così perché così è sempre stato. Anche perché non è
vero che tutto è sempre uguale, ma è sempre peggio.
Perché la devastazione cresce proporzionalmente con i loro affari, perché è
irreversibile come la terra una volta per tutte appestata, perché non conosce
limiti. Perché là fuori si aggirano sei killer abbrutiti e strafatti, con
licenza di uccidere e non mandato, che non si fermano di fronte a nessuno.
Perché sono loro l'immagine e somiglianza di ciò che regna oggi su queste
terre e di quel che le attende domani, dopodomani, nel futuro. Bisogna
trovare la forza di cambiare. Ora, o mai più.
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