Alitalia e il fallimento della politica

di Giovanni Longu

L’immagine che la vicenda Alitalia sta dando all’opinione pubblica internazionale e a chi osserva le cose italiane dall’estero con interesse e preoccupazione è sconfortante, paragonabile alla monnezza di Napoli.
Non si capisce in particolare il triste spettacolo che sta dando la politica in una faccenda che è sostanzialmente economico-contrattuale, anche se con notevoli risvolti sociali, sindacali e indubbiamente anche politici. L’Alitalia sarà pure un’azienda pubblica (in mano al Tesoro), ma sul mercato è come una qualsiasi altra impresa privata. Se non è in grado di sopravvivere con le proprie forze, l’azionista pubblico di maggioranza non ha molte scelte: o trova altri azionisti privati disposti a immettere nuovo capitale, o mette in vendita l’azienda all’offerente che meglio risponde alle condizioni del venditore e a un prezzo ritenuto equo, oppure porta i libri in tribunale, come si dice, e dichiara il fallimento.
Finora, per i ben noti motivi di voler salvaguardare l’italianità della compagnia di bandiera, solo un’offerta è stata ritenuta accettabile dalla proprietà di Alitalia. Tutte le opinioni sul persistere dell’italianità della compagnia sono di per sé legittime, ma quando a presentare un’offerta di acquisto c’è solo un possibile compratore, la Compagnia aerea italiana (Cai), le opinioni non contano più, perché l’alternativa e il fallimento. A questo punto era logica e necessaria la trattativa sindacale con la Cai, per strappare le condizioni migliori, ma sapendo che tutte le trattative hanno limiti di tempo e di condizioni.
La trattativa, che fin dall’inizio non appariva facile, sembrava avviarsi all’accettazione di un piano concordato tra le parti, quando alcune rappresentanze sindacali molto potenti e hanno posto praticamente il veto ad una conclusione positiva del negoziato. Probabilmente l’ostacolo sarebbe stato superato, grazie alla ragionevolezza dei sindacati confederali, se a dare man forte al fronte del no non fosse intervenuto il nocciolo duro dell’opposizione politica al governo Berlusconi, inducendo la stessa CGIL, in un primo tempo favorevole all’accordo, a schierarsi anch’essa dalla parte dei contrari.
Questa intromissione della politica, ingiustificata e inopportuna nelle attuali circostanze, rischia di far fallire Alitalia. Il crollo di grandi imprese, di grandi banche e di gloriose compagnie aeree (penso soprattutto alla Swissair) non impressiona più come una volta quando certe aziende avevano anche un alto valore simbolico. Nel caso dell’Alitalia, tuttavia, il fallimento non segnerebbe solo la fine di un’azienda, lasciando intatto tutto il resto, ma il fallimento della politica che sta fortemente penalizzando l’intero sistema Paese.
Se Alitalia fallisce sarà un dramma per decine di migliaia di persone, ma farà emergere chiaramente che il sistema di far politica in Italia è totalmente inadeguato. Questa politica fatta di autocelebrazioni, delegittimazioni, contrapposizioni feroci, ripicche, minacce sta portando davvero l’Italia verso il declino. In nessuna democrazia occidentale si assiste a uno spettacolo quodidiano così desolante ad opera di leader politici e sindacali che s’interessano più alla loro immagine che al bene del Paese, di capi di lobbies potentissime come quelle dei piloti che mettono in riga sindacati e politici, di persone spregiudicate che mettono a repentaglio scientemente l’avvenire professionale e sociale di migliaia di persone perché hanno il dente avvelenato o nutrono ambizioni sconsiderate, e di tanta gente, forse troppa gente, che sta a guardare.
Per chi vive all’estero da emigrato e sente ancora un forte legame con la sua Terra, si tratta di uno spettacolo mortificante. L’Italia del lavoro, delle bellezze naturali, del più grande patrimonio artistico del mondo, capace di attrarre milioni di turisti da ogni parte del mondo, l’Italia di milioni di italiani all’estero che sognano di tornare, almeno saltuariamente, non merita il triste spettacolo che politici, sindacalisti oltranzisti, personaggi ambiziosi spregiudicati hanno messo in scena in queste settimane. Questi mitomani egocentrici e arroganti dovrebbero fallire, non Alitalia.

Berna 23.9.2008

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