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Quel confine che non c’è più

di Marco Taradash

Il caso Marrazzo, la sua decisione di richiedere di partecipare alla berlusconianissima operazione Alitalia a nome della Regione Lazio che presiede in nome e per conto del Pd, non è che l’episodio più recente di un serial politico che potrebbe intitolarsi “Lost”. La protagonista è la sinistra italiana nel suo complesso, precipitata senza capirci molto nella Seconda Repubblica. Se i sopravvissuti della catastrofe aerea televisiva fuggono la nube nera che grava sulla loro isola per non guardare in faccia le paure e gli incubi della loro vita passata che essa contiene, la sinistra da quasi due decenni a questa parte sembra accecata da un fumo nero di memorie che la paralizzano o ne rendono scomposti i movimenti. E alla fine l’unico fattore unificante del suo partito egemone, il Pd, sembra il potere che ancora la sigla permette di gestire. Cosa manca all’Italia per essere un Paese normale? Ora che abbiamo finalmente una destra di governo, ci manca la sinistra. Qualche decina di anni fa la situazione era più semplice: per essere un Paese normale all’Italia mancava tutto, persino il concetto di Paese. Da una parte una sinistra legata a Mosca, dall’altra una destra che si definiva di centro e che aveva nel Vaticano il punto di riferimento politico e culturale. L’Italia del secondo dopoguerra non era uno Stato occidentale come gli altri, ma un contenitore di partiti che neppure si preoccupavano di dargli una fisionomia. Flaiano sintetizzò limpidamente la situazione sul “Mondo”, annata 1956: “Abbiamo da una parte il forte partito comunista che ha per scopo di spiegarci, con un ritardo di dieci anni, quel che ci succederebbe se si instaurasse qui un governo comunista, come se noi non lo sapessimo. Oggi il comunista è un partito conservatore e reazionario, che non vuol fare rivoluzioni e si accontenta che gli altri partiti lo credano capace di farlo”. Sull’altro versante c’era “Un partito confessionale-economico, talmente vasto che lo si potrebbe scambiare per la volontà degli italiani, se non sapessimo che a dirigerlo è una volontà che ha sempre avversata l’idea stessa di un’Italia libera… Un partito fortemente involuzionario”. Oggi non è più così, a destra. Berlusconi ha creato un partito di destra occidentale, alle volte molto conservatore, alle volte un po’ liberale, come tutti gli altri. A occupare lo spazio della sinistra c’è invece qualcosa di indecifrabile, che nessuno sa bene dove collocare. Intanto: dove sta la destra e dove la sinistra? Dipende. Dal punto di osservazione. Di fronte o di spalle? Rosy Bindi o Di Pietro? E qual è la fronte e quale la schiena? Per fortuna l’antiberlusconismo definisce oggi tutto ciò che non è destra, a parte Storace. Il resto è un catalogo vintage: un vecchio partito comunista guidato da un politico che può vantare come maggiore successo il rilascio di Silvia Baraldini dalle carceri americane; un nuovo partito della rifondazione comunista, attualmente senza guida, impegnato nella ricerca della nonviolenza attraverso il sostegno ai movimenti terroristi internazionali. Infine un nuovissimo e consistente Partito Democratico che cerca di trarre linfa dalla fusione dei rami attivi derivati dalla liquidazione delle “bad companies” comunista e democristiana. Oggi ci si interroga sul ruolo del suo leader, Veltroni. E’ famoso per la sua ambiguità, per i suoi “ma anche”. Vero, ma cos’altro potrebbe dire o fare il segretario di un partito la cui metà degli iscritti soffre di allergia per le idee, i costumi e gli inni (“l’internazionale” – avete presente?) dell’altra metà, la quale disinteressatamente contraccambia? Se il nuovo poi sono i Calearo o i Colaninno, figure emergenti a sinistra (ma non vi viene da ridere?) stiamo freschi. Quel che pensa sull’Alitalia l’ex presidente dei giovani confindustriali e ora ministro ombra del Pd, Matteo Colaninno, lo abbiamo capito: “Tengo famiglia” (tradotto dalla lingua ombra). Di Calearo abbiamo conosciuto indirettamente il pensiero politico profondo tra le righe di un’intervista di Repubblica sempre sul caso Alitalia: “E’ appena tornato dalle sue prime vacanze cubane e assicura che non ci ritornerà. Perché – spiega – c’è di meglio del comunismo”. Viene da pensare. Forse Calearo ha ritenuto suo dovere da “uomo nuovo” della sinistra recarsi a Cuba? Forse non sapeva che c’era il comunismo? Forse non sapeva bene cosa fosse il comunismo? Non c’è altra spiegazione. Tra i Calearo, i Colaninno e le ovazioni della festa democratica a Di Pietro con immediato contrordine compagni sulla riforma della giustizia, non sarebbe l’ora che qualcuno a sinistra trovasse il coraggio di passare attraverso il “fumo nero”?(laici.it)

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