Ricci risponde a Sorti

di Rodolfo Ricci *)

Vorrei ringraziare il Prof. Pierluigi Sorti per l'attenzione prestata al mio pezzo “Per la battaglia d’autunno” (ADL, 29.8.08) e riprendere, compatibilmente con le mie frugali conoscenze macroeconomiche, le questioni e i dubbi da lui esposti nella lettera apparsa sull'ADL della settimana scorsa.

1) – la percentuale del 27% di sommerso stimata dall'FMI nel 2002 (ma riferita all'anno 2000) è naturalmente interna al PIL di quell'anno. PIL e RNL (Reddito nazionale lordo), debbono infatti equivalersi. E le stime possono essere fatte, come not o, per induzione dalla mole dei consumi e degli investimenti, qualora, come nel caso dell'economia sommersa, vengano a mancare indicatori oggettivi di produzione.
2) – ciò vale anche per la percentuale di evasione fiscale che, stimata intorno al 19-20% del PIL nei primi anni 2000, era pari nel 2006, secondo Padoa Schioppa, a circa 270 miliardi di Euro. Quindi, percentualmente di poco inferiore (circa il 17% del PIL). Questa seconda grandezza (evasione fiscale) è infatti da concepire come particolare utilizzo del reddito disponibile: solo in parte deriva dal sommerso; l'essenziale è capire che quella cifra percentuale non raggiunge, come dovrebbe, le casse dello Stato, tra i cui compiti prioritari, c'è quello di ridistribuire reddito. Magari raggiunge l'acquisto di titoli di debito pubblico. (Qui c'è il pacco, contropacco e contropaccotto!)
Si tratta evidentemente di stime, d i cui, in mancanza di altri dati prendiamo atto.
Ciò che è importante, trattandosi di insiemi di grandezze che ricomprendono tutti i sottoinsiemi, è quindi la distribuzione interna di tali grandezze: se riscontriamo circa il 27% di sommerso, vuol dire che su quella somma non vengono pagate (o solo in parte) imposte, tasse, ecc. allo Stato, e in gran parte ai lavoratori dipendenti come reddito differito (pensioni, ecc.). Tuttavia quel 27% di sommerso costituisce un elemento fondante della struttura economica del paese. E la somma non pagata resta in mano di qualcuno che la utilizzerà come meglio crede: consumi particolari, investimenti, ecc.
Dal punto di vista macroeconomico, considerando “neutralmente” il cosiddetto sistema-paese, non è detto che questo fatto sia del tutto negativo, a meno che gran parte di questi capitali “risparmiati” non se fugga all'estero.
Dal punto di vista della distribuzione del reddito, invece, trov eremo un forte arricchimento in termini patrimoniali da parte di alcuni ed un impoverimento da parte della moltitudine dei lavoratori.
In poche parole, si tratta solo e banalmente, del paradosso della media statistica: bisogna capire realmente chi è che si mangia i due polli e chi niente. Oppure, più nobilmente, di rivisitare l’antico concetto di lotta di classe (in questi ultimi trenta anni di esclusivo appannaggio dei più ricchi).
Personalmente, non so se ci sia un disegno soggettivo così cinico come quello italiano (o globale). Fatto è che i risultati sono sotto gli occhi di tutti: per l'Italia, le differenze riscontrabili con i paesi del nord Europa sono, sotto il profilo dell'equità, abissali e crescenti. Sul piano globale sono tragici.
Non so se la vera storia sia la storia dei servizi segreti o quella imposta dalle 500 famiglie che decidono le sorti del mondo. Neanche mi interessa più di tanto; ciò che interessa è che il trend inaugurato da ciò che per convenzione chiamiamo pensiero neo-liberista sta raggiungendo livelli insostenibili. E a ciò penso si debba porre un argine deciso e non procrastinabile.
Quanto alle sue riflessioni sull'Euro, pur avendone condiviso l'introduzione, credo non possiamo non registrare, oggi, (anche alla luce dei fallimenti di tutti i tentativi di carte costituzionali e approcci sociali) che si è trattato di una dinamica unilaterale finalizzata al rafforzamento dei vari capitali nazionali in un meta-capitale continentale in grado di competere negli scenari multipolari; purtroppo, la garanzia che ciò si tramutasse in oggettivi vantaggi sociali interni al continente non si è vista e non si vede; forse, date le caratteristiche multinazionali ed extraterritoriali del capitalismo globale, ciò continuerà a non vedersi in mancanza di interventi forti della politica.
Per quel poco che possiamo fare, far emergere queste contraddizioni ed evidenziare il carattere ideologico del monetarismo e del neoliberismo, può contribuire a ricostruire una classe politica a sinistra, più cosciente delle situazioni reali e del fatto che sempre di uomini e donne in carne ed ossa, si tratta e che non c’è niente, ma proprio niente che sia neutrale ed equidistante (o equivicino).
Come la s toria della scienza e della filosofia degli ultimi due secoli ha largamente dimostrato.
Resta un campo aperto di indagine e di azione capire con quali efficaci linguaggi e concrete pratiche ciò possa essere ricordato e diffuso alla classe politica e ai cittadini oggi conquistati da un’altra egemonia. (Che tuttavia, come il socialismo reale, sappiamo che ha anch’essa fallito).

*) Segretario generale FIEI, Roma

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