Il caro vita in Africa è caro morte

ABIDJAN, 25 agosto 2008

Il 1 luglio scorso il prezzo di un chilo di riso é schizzato da 250 franchi a 400, mentre quello della benzina da 550 franchi a 750, quando in Costa d’Avorio il salario medio giornaliero di un operaio si aggira attorno a 3,5 euro pari a 2.300 franchi, corrispondenti quindi a circa 105 euro mensili. A conti fatti è come se in Italia la benzina aumentasse di colpo di 3 euro al litro. Un’enormità!
Negli stessi giorni sono aumentati anche il prezzo dell’olio, della farina e di tutti gli altri prodotti di prima necessità. Come reazione a questa impennata sono scesi in piazza non i consumatori, ma i trasportatori e tra quest’ultimi la quasi totalità dei conducenti di taxi e bus. Infatti, per tutta una lunghissima settimana dal 14 al 21 luglio, Abidjan si è svuotata dei quasi 10.000 taxi cittadini di color arancione, dei 5.000 taxi di quartiere chiamati wôro-wôro e dei centinaia di mini-bus a 15 posti denominati gbaka che avevano già proposto un aumento delle loro tariffe di 150 franchi come risposta al rialzo dei prezzi. Tale sciopero ha paralizzato completamente la città creando enormi disagi alla maggior parte della popolazione che non possiede mezzi di trasporto privati. Nei quartieri periferici di Abobo e Yopougon la tensione ha sfiorato lo scontro e quei pochi taxi che avevano deciso di lavorare sono stati presi di mira dagli scioperanti. Dopo 7 giorni di tira e molla tra i rappresentanti del governo e i sindacati dei trasportatori il Presidente della Repubblica ha annunciato una serie di provvedimenti. L’aumento del prezzo del carburante è stato ridotto da 200 a 100 franchi, il rimborso che normalmente lo stato versa ai dipendenti pubblici per le spese di trasporto è stato triplicato e il salario dei ministri è stato dimezzato. Lunedì 21 luglio le strade di Abidjan si sono di nuovo riempite dei tantissimi taxi e bus strombazzanti e inquinanti.
Chi ci ha rimesso di più per lo sciopero dei mezzi di trasporto sono stati ancora una volta i più poveri e tra questi soprattutto chi aveva bisogno di spostarsi per necessità o per urgenza.
Un esempio di tale disagio lo abbiamo vissuto in ospedale. Una giovane donna di 22 anni, gravida all’ottavo mese, si era ricoverata presso il nostro dipartimento la notte del terzo giorno di sciopero. La diagnosi era stata agevole visto il colore cadaverico del suo viso e il pallore estremo della sua lingua e delle congiuntive. Un emocromo aveva confermato la diagnosi di anemia severa con un valore incredibile di emoglobina pari a 2,5g/dL, quando si parla di anemia gestazionale già sotto i 10g/dL. La patologia richiedeva una trasfusione d’urgenza con diverse sacche di sangue. Il problema era però come e dove prendere questo sangue. La nostra banca del sangue, interna all’ospedale, ne era sprovvista e la banca del sangue di Abidjan, l’unica della zona, non poteva rifornire quasi nessuno per lo scarseggiare dei donatori, la quasi totalità studenti che in quel periodo erano in ferie. E poi il blocco totale dei trasporti che impediva sia a noi che ai parenti della malata di spostarsi per andare a cercare del sangue. Eravamo impotenti di fronte alla donna che pian piano si spegneva. Abbiamo proposto ai parenti di trasferirla in un grande ospedale di Abidjan, ma loro avevano preferito tenerla da noi certi che lì non avrebbero potuto fare di meglio per la loro figlia. La donna è sopravvissuta 4 giorni interi con valori di emoglobina vicini alla morte e alla fine dello sciopero abbiamo potuto finalmente rimediare qualche sacca di sangue e trasfonderla.
Il caro-vita di cui si parla tanto da noi qui in Africa sta divenendo un caro-morte. I salari sono sempre gli stessi, il costo dei beni di sussistenza aumenta giorno dopo giorno e i poveri diventano sempre più poveri. Diceva qualcuno che non c’è limite al peggio e forse aveva ragione!
Mentre da noi chi vuole risparmiare può rinunciare alla pizza del sabato sera, al cinema o alle scarpe firmate, qui in Africa chi vuole risparmiare deve decidere se mangiare solo a pranzo oppure a cena, se morire per una banale malaria o comperare un pacchetto di compresse per salvarsi la pelle.
Siamo al fondo del mondo, al buio dell’umanità e cerchiamo di prendere qualcuno per i capelli e tirarlo su. C’è chi dice che noi qui in Africa non possiamo cambiare il mondo, che tutto quello che facciamo è tempo perso, ma sono convinto che non è così. Soltanto dare la speranza, assistere migliaia di donne che partoriscono vuol dire essere utili a qualcuno. Meglio a qualcuno che a nessuno!
Buone vacanze.
Pietro Iovenitti
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