Di Cristian Ribichesu
Nel Corriere della Sera del 21/08/2008, con “La crisi di un’istituzione_Una Scuola per l’Italia”, Ernesto Galli della Loggia descriveva l’istruzione scolastica nazionale paragonandola ad una macchina gigantesca senz’anima, da decenni in crisi. Attraverso la constatazione di una classe politica indifferente nei confronti dell’istruzione, il giornalista del Corriere arrivava al cuore del problema definendolo come crisi della stessa idea d’Italia, della politica e della classe dirigente che ci governa. Nell’articolo venivano criticate pure le troppe “dispersioni” disciplinari, gli orari prolungati della Scuola, e s’indicava l’importanza dovuta alle conoscenze, alla trasmissione dei saperi, alla lingua e alla letteratura italiana e alla matematica.
Però l’articolo del Corriere non è il solo, in questa estate, ad aver anticipato le discussioni riguardanti la Scuola, prima ancora dell’inizio del nuovo anno scolastico, a dispetto di una quasi totale assenza dell’argomento, durante le ultime elezioni politiche, denunciata dalla stampa. Fra i tanti, Mario Pirani, con Catastrofe scolastica e cecità politica, ne La Repubblica del 31 marzo 2008, parlava dell’indifferenza politica nei dibattiti elettorali verso le tematiche scolastiche, facendo notare, però, che esisteva un’emergenza, visto che per una ricerca Ocse “il 50,9% dei ragazzi italiani non sia in grado di capire neppure un minimo del brano di lettura sottopostogli”. Non solo, Pirani evidenziava i “risultati paradossali” tra l’ “ottimo” in matematica attribuito, in base al voto, al 20% dei quindicenni del Sud, contro il 13% del Nord, quando le rilevazioni internazionali su quegli stessi studenti, a parità di voto, risultano nettamente rovesciate, con un divario di 70 punti a sfavore dei ragazzi del Sud”. Anche lo scrittore Ferdinando Camon, indicava fra i temi assenti dal dibattito elettorale quello riguardante la Scuola e affermava che “Qualcuno osserverà che la scuola non ha a che fare con la produzione. Certo, la scuola non produce beni, e investire nella scuola vuol dire spendere senza un immediato ritorno. Ma la scuola produce un bene più prezioso di tutti i beni: produce i produttori di beni, e investire nella scuola oggi vuol dire avere migliori cittadini (operai, impiegati, dirigenti, politici, docenti), domani. Le generazioni sono in competizione fra loro: se creiamo una giovane generazione meno preparata oggi, essa perderà il confronto domani”.
Sicuramente la Scuola italiana spesso non è meritocratica, registra un abbassamento dei livelli culturali e una tendenza alle promozioni facili, con acquisizioni di titoli di studio che generano una massificazione non democratica, dato che a questa consegue un vantaggio riscontrabile nell’immediato futuro per gli alunni provenienti dai contesti sociali migliori.
Ma a questa situazione la politica nazionale, da questa estate, risponde con decisioni che non possono non creare perplessità negli insegnanti e in tutti quelli che credono nell’importanza della Scuola. In effetti, il 13/08, su diversi giornali si leggevano le affermazioni del ministro Tremonti sul fatto che “occorre smetterla di fare classi in previsione delle assunzioni degli insegnanti”. A Giulio Tremonti seguiva anche il ministro Umberto Bossi, attaccando la Scuola e ribadendo che questa deve essere al servizio delle famiglie, insistendo sulla diminuzione del numero dei docenti, in particolar modo alle elementari con l’introduzione del maestro unico.
Evidentemente a volte si parla per partito preso, perché leggendo il Libro Bianco, del 2008, della Scuola, documento del Ministero della pubblica Istruzione e dell’Economia, si potrebbe riscontrare che la Scuola italiana va male, ma non da tutte le parti. Per la precisione le elementari raggiungono ottimi risultati, solo con alcune lacune nella matematica, ma con competitivi livelli per la comprensione e l’analisi linguistica dei testi da parte degli alunni. È evidente che se una parte della Scuola funziona quella non deve essere cambiata. Sicuramente, poi, in qualche zona d’Italia, da quando è stata introdotta l’autonomia scolastica, possono essersi verificati casi in cui alcune scuole abbiano fatto richieste sovvranumerarie di docenti (sbagliando, ma perché?), però è doveroso dire che il caso non fa la regola. Ma come in quel proverbio in cui si guarda il dito dell’uomo che indica la Luna, bisogna stare attenti a non perdere il punto della questione: non è ammissibile avere classi con trenta o più alunni, anzi abbassando la media di questi per classe si avrebbero vantaggi per tutti, per gli insegnanti, molti lavoratori precari che hanno diritto al posto di lavoro per il superamento di concorsi o corsi/concorsi (le S.S.I.S.S.) nazionali, per gli alunni e per tutti in previsione di un futuro imminente. In questo modo si avrebbe una qualità dell’insegnamento migliore, soprattutto a vantaggio degli alunni che provengono da situazioni meno abbienti (esistono sperimentazioni americane che affermano un miglioramento dei livelli qualitativi degli alunni in classi poco numerose, per giunta in maniera esponenziale per quelli che provengono da contesti sociali peggiori), andando incontro ai principi costituzionali che vogliono l’uguaglianza e le stesse possibilità per ogni individuo, e un conseguente miglioramento del sistema economico-sociale, dato che il miglioramento del Paese passa attraverso l’Istruzione.
La cosa che sorprende è che per vari lavori gli stessi lavoratori chiedono le migliorie e invece per la scuola non si prendono in considerazione i pareri degli insegnanti, con il conseguente “primato della carta su quello della realtà”, perché da una parte sulla Scuola supervisiona il ministro dell’Economia e dall’altra si adottano teorie educative di parte. Per intenderci, si dice che in Italia la media insegnante alunni è più bassa di quella europea, 9,9 contro 12,2 , ma non si considera la complessità della gioventù italiana (e anche il fatto che nella media italiana, differentemente da quella di riferimento degli altri Paesi, siano compresi gli insegnanti di sostegno, quelli di religione, e gli insegnanti con “spezzoni di cattedra”) e il fatto che in Italia ci sia una ancora, per fortuna, consistente presenza di piccole realtà locali (dai dati ISTAT e ANCI risultano 5.756 comuni (71,05% del totale) con popolazione fino a 5.000 abitanti e 1.627 di questi (20,08%) fra i 1.000 e i 2.000 abitanti), e si interviene con progetti educativi, pagati, e con applicazioni di teorie didattiche che spesso, idealizzando studenti modello, hanno un limite invalicabile nella realtà.
Poi, per rispondere a chi crede che nella Scuola in Italia si sia investito troppo e si debbano diminuire i finanziamenti, le cose stanno diversamente. Infatti, dal 1990 fino al 2006 si è passato dal 10,3% al 8,8% delle risorse destinate alla Scuola. Oggi, i tagli nella Scuola sono gradualmente aumentati e le retribuzioni per gli insegnanti non sono certo migliorate, visto che un docente italiano con 8 anni di anzianità percepisce mediamente 27.500 euro lordi rispetto ai 47.500 del suo collega tedesco o ai 40.000 della media dei Paesi Ocse.
Probabilmente tanti insegnanti sono favorevoli ai “giri di vite negli ingranaggi della Scuola”, con l’introduzione del merito, l’adozione del sette in condotta, l’introduzione dei voti numerici nelle scuole secondarie di primo grado, e con l’uso della divisa nelle scuole medie (visto che per alcuni sembra assodata la moda che vede i calzoni abbassati sotto la linea delle mutande), ma non tagliando le risorse in maniera indiscriminata.
Un altro problema riguarda il sud e alcune situazioni particolari. Nel sito online lavoce.info, il 28/03/2008 Giovanni Ferri e Vito Peragine, nell’articolo Pisa amara per meridionali e immigrati, spiegavano come i dati dello studio P.I.S.A. (Programme for international student assessment) sono negativi per l’Italia ma ancor più per gli studenti meridionali e quelli immigrati o figli di immigrati, i giovani che, nel futuro incideranno maggiormente sul numero della popolazione studentesca. Infatti, a fronte di un tasso di fertilità del 1,20 per il Centro-Nord, se ne riscontra uno del 1,33 nelle donne del Mezzogiorno e del 2,60 per quelle immigrate. Quindi si prevede una rilevazione P.I.S.A. maggiormente negativa stimando un aumento, su una percentuale di studenti di 15 anni, dal 45,6% del 2006 al 51,4% del 2016 degli alunni del sud e figli di immigrati. La situazione sarda, poi, risulta peggiore, dato che i livelli degli alunni delle scuole secondarie dell’isola sono meno positivi rispetto a quelli dei coetanei della penisola e che con la contrazione degli insegnanti si avrà la chiusura delle scuole delle piccole realtà locali, il tutto in una regione che non brilla per livelli di occupazione e per un aggravamento dello spopolamento delle zone interne. Però, anche in questo caso si potrebbe ragionare su un aumento di posti del personale docente attraverso una razionalizzazione delle spese e un orientamento dei finanziamenti per i progetti extracurricolari in tal senso. Del resto, Marco Pitzalis, ne Il silenzio degli incoscienti , dagli spazi del sito Insardegna.eu denunciava lo stato di crisi della scuola sarda e lo spreco di risorse affermando che “… gli alti tassi di dispersione nella scuola sarda sono accompagnati da un'alta densità di progetti contro la dispersione: nel 2006 ogni scuola secondaria ha realizzato in media 1,5 progetti sulla dispersione per scuola, meno di quanti ne siano stati finanziati: 1,7”. Per inciso, dalla stampa regionale sarda del 18/12/2007 si poteva apprendere che nella sola città di Sassari sarebbero arrivati 3 milioni di euro per i progetti del 2008 delle scuole della città.
Sarebbe facile ironizzare sulla “cura da cavallo” imposta alla scuola, anche perché in realtà nella cura non si ha la privazione dei principali alimenti, altrimenti il cavallo lo ammazzi. Da poco è stato ripubblicato un libro di Elio Veltri, Il topino intrappolato, su legalità e questione morale, in cui si parla anche dei soldi della malavita nel nostro Paese. Il pensiero semplice che potrebbe sorgere è questo: in Italia, con 1000 miliardi di euro di beni consolidati dalle mafie (contro un risparmio di qualche miliardo di euro che si prevede entro il 2012 con lo “snellimento forzato” di questo Governo nei confronti della Scuola), si fanno concorsi o ancor più corsi di specializzazione per l’abilitazione all’insegnamento; dei giovani dottori partecipano, superano le selezioni, studiano, danno ulteriori esami universitari, fanno 300 ore di tirocinio, e anziché essere pagati pagano tasse, e infine superano un esame di Stato e conseguono il diritto al lavoro specifico dell’insegnamento, ma questo diritto è solo potenziale e diventa reale in alcuni casi dopo anni; poi, però, si fanno tagli nella Scuola, fra le peggiori in Europa, adducendo che la Scuola deve essere fatta per andare incontro alle famiglie (che probabilmente sarebbero contente di sapere i figli in classi meno numerose, con una migliore qualità dell’insegnamento, non il contrario), si chiudono le scuole dei paesi, non si ha l’insegnante di sostegno per gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento (perché in Italia si procede per generalizzazioni, così se in una realtà è vero che si facevano richieste sovvranumerarie, poi si applica un intervento generale, non locale, come dire che ti rompi il braccio e t’ingessano tutto il corpo) e si creano classi con trenta alunni. Insomma, non è nella Scuola che si devono attuare tagli per le risorse della nazione. Occorrono migliorie nel sistema dell’Istruzione e al suo interno i soldi devono essere ridistribuiti meglio, intendendo con questo i finanziamenti per i progetti extrascolastici, ma non dalla Scuola bisogna prendere i soldi per le casse dello Stato!