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Ma chi controlla il controllore?

di Antonio Di Giovanni

Da pubblico dipendente, quale sono, trovo un po’ troppo generica l’analisi fatta di recente dal Ministro Brunetta: quando ci si imbatte in un sistema come quello della pubblica amministrazione italiana, reso dalla Storia del nostro Paese burocraticamente farraginoso, bisognerebbe innanzitutto verificare qualche azione intrapresa in passato e decisamente non del tutto funzionante A quasi dieci anni dalla sua introduzione, la figura del Direttore generale nelle P.A., al di là della sua indubbia utilità, ha assunto quasi un ruolo di experimentum crucis per testare l’effettiva volontà delle amministrazioni di ammodernarsi ed intraprendere una strada verso l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa. Tuttavia, tirate le somme e alla luce dell’attuale situazione, la cosa non sembra aver prodotto i risultati auspicati. Ovviamente, tali esiti non possono essere né “definiti”, né tanto meno “controllati” in senso assoluto, ma possono venir valutati attraverso la determinazione di una funzione che colleghi le risorse impegnate con la quantità e la qualità dei risultati prefissi. Non sembra, però, che tale figura abbia assunto, in seno alla propria funzione, l’obiettivo di migliorare l’efficienza della P.A. Tant’e che non risultano azioni intraprese in tal senso, ovverosia non è stato percepita nessuna innovazione comportamentale da parte di una classe dirigente appiattita sulle vecchie logiche burocratiche. Capisco che questa figura professionale si sia trovata a dirigere amministrazioni ‘multilivello’ in presenza di molteplici fattori portatori di interessi e con, al suo interno, responsabilità parcellizzate all’estremo. Ma non credo si possa poi ridurre tutto nel semplificare l’inefficienza della con la parola ‘fannulloni’, relegandola a prerogativa solo dei livelli medi di impiegati ed operai. Per dare una risposta a queste sollecitazioni è dunque necessario, a mio parere, non un aggiustamento “conservativo”, ma un cambio sostanziale che possa essere di esempio nei confronti di quei lavoratori che debbono sentirsi stimolati ed incentivati nel proprio ruolo di pubblici dipendenti attraverso il criterio della sostenibilità, facendoli uscire da una spirale di insoddisfazione che poi si traduce nel lassismo sul posto di lavoro. Una Pubblica Amministrazione sostenibile non può infatti lavorare esclusivamente al proprio interno: il raggiungimento dei suoi obiettivi (benessere, qualità della vita, competitività) dipendono anche da fattori del tutto esogeni (demografici, politici, ed economici) legati ad una dinamica di bisogni e di esigenze in continuo mutamento. Quindi, la figura del Direttore generale, che sembrava quella più adatta a declinare nella vita dell’amministrazione quell’equilibrio flessibile e dinamico tra bisogni e risorse e che poteva creare le maggiori condizioni di favore per un rapido ammodernamento della macchina amministrativa pubblica rimanendo fedele attuatore del piano di riforma correggendo ogni genere di rigidità amministrativa, non ha funzionato perfettamente. In conclusione, egregio ministro, capisco che si debba a tutti i costi iniziare una “cura”, ma quando non sono ben chiari i sintomi di una malattia è sempre consigliabile un ‘antibiotico a largo spettro’. (Laici.it)

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