Conservato presso il fondo manoscritti della Biblioteca Nazionale braidense, a Milano, esiste un “piccolo tesoro”, per le dimensioni e non certo per l’importanza filologica, un manoscritto cartaceo della produzione romanza, segnato AC VIII 7 e meglio noto come Canzoniere ispano-sardo.
Oggetto di studi sin dal 1934, per opera di padre Miquel Batllori, e poi da parte di alcuni ricercatori provenienti da università americane, nel 1967 il manoscritto fu esaminato da C. Acutis, G.M. Bertini e P.L. Avila. In seguito se ne occupò G. Caravaggi e, nel 1996, Tonina Paba, analizzando i testi spagnoli, e A. Deplano, che invece s’interessò di quelli sardi, ne diedero l’intera edizione integrale. Successivamente F.Corda approfondì le ricerche su cinque dei diciassette componimenti “sardi”.
Composto da 255 carte della misura di 160 mm. x 110 rilegate in pergamena, il manoscritto sembra essere stato scritto da un’unica persona, tranne pochi casi d’incertezza. I fogli presentano una numerazione, a matita, posteriore alla compilazione e rilegatura dei testi, comprensibile sia dal fatto che, essendo state tagliate alcune carte, la numerazione segue la normale progressione senza registrarne l’incidente, sia dalla diversa grafia rispetto alla scrittura dei testi. Questa numerazione è riportata in basso, nella parte destra dei fogli, ma in alcuni casi, alternati, si ha una doppia registrazione, in alto e in basso.
La grafia è abbastanza leggibile, tranne nei fogli in cui compaiono macchie d’inchiostro e d’umidità, e nei casi in cui alcune parole, in genere nel verso dei fogli, risultano “tagliate” o terminano insieme al margine interno degli stessi fogli. Quest’ultimo problema è dovuto ad un’iniziale trascrizione dei componimenti in fogli sciolti, scritti senza considerare un qualche margine strutturale, e posteriormente rilegati.
Il manoscritto è anonimo (si ha un’unica forma), non presenta indicazioni precise per poter capire chi possa averlo compilato ma, invece, fornisce tre annotazioni utili per la sua datazione e una in cui viene precisato il luogo in cui si trascrissero alcuni componimenti:
“Se trasladaron estas cansiones en la Virgen de Lugarsanto por el mes de majo a’ 11 de 1683”, f. 124 v. ; “El año 1684 a’ 26 de febrero me enbarcé de Cáller para Madrid y de Cáller partimos primer día de março, día martes y desembarqué (en) en Málaga a los del … y a los de dicho mes partí para la Corte y entré en ella a los …”; “Die 23 Aug’.1682.”, f. 180 v. .Si può, quindi, datare il manoscritto all’ultimo ventennio del XVII secolo, seppure, postulando un’originaria forma in fogli sciolti, alcuni testi potrebbero essere stati trascritti anche prima di questo periodo.
Per quanto riguarda l’indicazione in cui si attesta la trascrizione dei testi “en la Virgen de Lugarsanto”, si può affermare che Luogosanto sia il luogo in cui sono stati trascritti i primi componimenti sardi, almeno il II, il IV e il V, ovvero il testo in lingua corsa e i due in Gallurese, anche per l’affinità geolinguistica, ma con la stessa certezza non si può indicare il luogo della trascrizione degli altri testi sardi. L’attestazione, però, non indica generalmente Luogosanto ma, in maniera più particolareggiata, segnala che i testi sono stati trascritti o copiati presso la chiesa di Nostra Signora di Luogosanto o Santuario della Natività di Maria, probabilmente in occasione dei vari festeggiamenti che venivano svolti per le celebrazioni in onore della Madonna, anche dopo il raduno di migliaia di persone che alloggiavano attorno alla chiesa, con canti, balli e recitazioni di poesie.
Il manoscritto contiene soprattutto componimenti poetici in lingua spagnola, precisamente 120, anche se alcuni sono ripetuti. Per il resto, oltre ai 17 componimenti sardi (per la presenza dei componimenti in queste due lingue è stato denominato Canzoniere ispano-sardo), vi sono registrati dei piccoli brani e delle annotazioni in spagnolo e delle laudi in latino, precisamente: un testo in prosa in cui compare la figura mitologica dell’unicorno (f. 118 r.); delle annotazioni con note grammaticali sui verbi latini (f. 110 v.); un brano in cui si descrivono situazioni amorose (f. 172 v.); delle litanie in latino, alla Vergine (ff. 90-91 v.) e a Sant’Antonio da Padova (ff. 147 r., 149 r.).
Come già detto il manoscritto è anonimo. Non ci sono indicazioni che permettono di risalire ad un’identificazione precisa dell’autore-compilatore ma, dall’analisi dei testi, si possono trarre delle informazioni utili per caratterizzarlo. Innanzitutto dalle piccole dimensioni del manoscritto (mm. 160 x 110), composto da fogli sciolti, successivamente rilegati (è interessante notare che, proprio perché erano fogli sciolti di piccolo formato, considerando il fatto che le frasi, sia nelle parti recto che in quelle verso, più o meno vengono spostate tutte, dall'alto in basso, progressivamente verso destra, è probabile che la trascrizione non avvenisse appoggiandosi su un sostegno fisso, probabilmente su una base mobile e tenendoli con la mano sinistra), si capisce che il compilatore volesse comporre un piccolo libro personale, paragonabile ad un “libro da bisaccia”. Questo libro di carattere antologico doveva attestare vari componimenti che circolavano nel XVII secolo in Sardegna, sia anonimi che non (molti testi spagnoli rimandano ad autori noti), di varia natura, per tipologie e lingue usate. Inoltre si può aggiungere che, pur essendo un letterato, caratteristica dimostrata anche dalla conoscenza delle tre lingue, latina, sarda e spagnola, utilizzate nel manoscritto, l’autore-compilatore poteva essere un copista “non specializzato” (e comunque bisogna considerare l’indicazione cronologica dell’ultimo ventennio del XVII secolo come periodo della composizione) deduzione tratta in base ad una serie di elementi: nel manoscritto compaiono pochi segni d’abbreviazione; si ha una riproduzione pressoché “meccanica” di espressioni fonosimboliche ed esclamazioni e la ritraduzione in lettere o parole di ciò che ha pronunciato o sentito pronunciare (come la trascrizione, in molti casi, di consonanti sonore al posto di quelle sorde, o alcune deformazioni come “rigincendi” per “licinziendi”). È probabile che questo letterato, che voleva comporre un libro in cui fossero attestate varie forme poetiche in uso in Sardegna, registrando personalmente i testi, fosse un religioso o un nobile, comunque una persona legata all’ambiente culturale ecclesiastico, il che è normale dato il monopolio gesuitico dell’istruzione nel XVII secolo. Occorre segnalare che Tonina Paba nel suo lavoro ha indagato sulla possibile identità dell’autore e, attraverso una ricerca comparativa tra il “Canzoniere ispano-sardo” e la “Cima del Monte Parnaso Espanol” di José Delitala y Castelví, escludendo l’appartenenza di questo per mezzo della diversa grafia delle due opere, restringe il campo al figlio Mathia Delitala o al fratello maggiore Jerónimo.
I 17 componimenti “sardi” compaiono in quest’opera per la prima volta nella tradizione sarda (l’VIII componimento sarà poi registrato come popolare dal canonico Spano), e sono diversi per lingua, tipologie e tematiche affrontate.
Tranne il II in lingua corsa, il IV e V, in lingua gallurese (i più antichi componimenti poetici in questa lingua), gli altri 14 testi utilizzano il sardo logudorese comune, meno probabilmente settentrionale, con tratti conservativi rispetto ai nessi consonantici etimologici e con la presenza d’una forte patina linguistica spagnola, del resto ampiamente giustificata.
I componimenti, non tutti perfettamente definibili con la convenzionale nomenclatura poetica sarda, compaiono in varie forme tra cui: ottave rime, seste torrade, seste lire, quimbine, gosos.
Gli argomenti affrontati sono vari: si va dalle tematiche amorose, (invocazioni alla donna amata, risentimenti per un amore non corrisposto, lamentazioni per una vita in solitudine), al dolore per la morte d’un caro amico, al disappunto per le inique oppressioni tributarie e alle esortazioni morali e religiose.
Il Canzoniere ispano-sardo e in questo caso l’edizione dei 17 testi “sardi” rappresentano un’opportunità di studio unica nel panorama letterario sardo del XVII secolo, e non solo.
Questi componimenti, inseriti in un contesto, il Seicento, ancora povero di letteratura in lingua sarda, rappresentano una “miniera” ricca d’informazioni: storiche, linguistiche, letterarie, religiose e antropologiche (si noti l’accenno ai nomi di alcuni componenti del costume sardo, come ragas, XIII componimento, o di alcuni recipienti tipici della cucina, quali i musorzos o i malinzones, sempre al XIII componimento). Vengono composti in un secolo denso d’avvenimenti, in cui si va dalle opposizioni nobiliari alle crisi di sussistenza, economiche ed epidemiche, e dalla nascita dell’Università all’intensificarsi del banditismo, e ne offrono un breve quadro. Inoltre “hanno origine” in una regione particolare, in cui gran parte di questi avvenimenti si localizzano, la Gallura del Seicento, in un periodo di crisi in cui la devozione religiosa si fa sentire più forte nel popolo, nel famoso santuario di Nostra Signora di Luogosanto.
L’unicità di questi testi, come già detto, è anche linguistica, attestando per la prima volta nella storia degli studi due componimenti in lingua gallurese, e letteraria, fornendo tipologie metriche utili per l’identificazione di quelle posteriori al XVII secolo.
Inoltre, considerando che i testi non rappresentano un’opera letteraria d’un singolo autore, ma che molto probabilmente circolavano nella cultura orale, possesso di tutta la comunità sarda, anche quella popolare, è notevole osservare, al di là della diretta discendenza dalla lirica volgare occidentale, riscontrabile nelle forme e nelle tematiche, quei numerosi e particolari collegamenti con la letteratura classica e volgare, come ad esempio il riferimento alla figura mitologica di Tantalo, X componimento, o la struttura metrica dei gosos, uguale alle più antiche ballate in settenari, fra cui O iubelo del core di Jacopone da Todi. Del resto questi testi non “sfuggono” neanche agli influssi della lirica petrarchista, europea ed in particolare spagnola. Ciò spiega, persino, i richiami mitologici e le attenzioni per gli oggetti, ma con un aspetto più sobrio, meno cumulativo rispetto alla letteratura barocca, comunque presente attraverso la libertà stilistica e letteraria, le forme metaforiche e l’affiancamento dell’“umile” al “sublime”. Poi, al di là dell’insegnamento religioso rappresentato dai gosos, la recitazione di questi testi nei vari contesti pubblici accentua l’importanza della produzione orale, non solo sarda ma anche romanza, come strumento educativo e comunicativo popolare finanche precursore dei futuri quotidiani.
L’importanza del Canzoniere ispano-sardo esige studi che chiariscano meglio il circuito di relazioni che la Sardegna intratteneva col resto d’Europa, evidenziando una situazione di minor isolamento rispetto a quella più volte ribadita nella vecchia storia degli studi.
Come affermavano altri in un articolo apparso nel 2001, in La Grotta della Vipera, riguardante l’edizione degli scrittori sardi, scopo di questo genere di lavori deve essere il sapere divulgativo e non elitario.