dI Filippo Giannini
“La nostra guerra contro il Giappone”
“Il Momento” era un quotidiano che vide la luce nell’immediato dopoguerra. Sul numero del 7 novembre 1945, in merito all’armistizio stipulato dall’Italia, si legge:
Dovrei fare un commento a questo plorare di personaggi che hanno cercato quel che, poi, hanno ottenuto? Il disprezzo di coloro che hanno imposto una brutale occupazione, facendola apparire come una “liberazione” . Perché ne parlo oggi? Perché ancora oggi, a distanza di più di 60 (dico sessanta) anni, nulla è cambiato, almeno negli effetti. Infatti il mortificante armistizio del settembre 1943 è ancora operante. Un giornale di quel periodo lamentava:
Ancora oggi dobbiamo pagare le forze di occupazione, sottostare alle requisizioni, combattere le loro guerre, che tali sono anche se etichettate “missioni di pace”.
Fra le tante “maramaldate” voglio ricordarne una ignorata dalla maggior parte degli italiani, e agli italiani voglio lanciare un monito: “Non andate in Giappone, perché potrebbero prendervi e chiudervi in un campo di concentramento”. Perché? E’ semplice e, ricordando la cloaca nella quale siamo stati precipitati, mi avvalgo di un mio precedente intervento titolato:
IL TEMPO DELLE JENE
Pietro Nenni, partecipando ad uno “storico” Consiglio dei Ministri nel luglio 1945, così lo ricorda nel suo diario:
Dopo aver ricordato che Ministri, uomini di governo e politici, erano tutti, più o meno, “interventisti”, Nenni sempre nel suo diario, così conclude:
Bella domanda, vero? Ma andiamo avanti.
Il governo Parri (capo della resistenza), succeduto a quelli di Badoglio e Bonomi, trovò, in poco meno di sei mesi, il tempo e il modo di far scendere di nuovo in guerra l’Italia. Pur trovandosi a capo di un Paese distrutto e stremato da cinque anni di disastroso conflitto, Ferruccio Parri il 14 luglio 1945 volle ricominciarla, dichiarò guerra al Giappone, un Paese ormai sconfitto e col quale, giuridicamente, eravamo ancora alleati.
Giano Accame etichetta così l’iniziativa:
A seguito dell’atto di guerra, non ci furono fra italiani e giapponesi – ripeto, sino a prova contraria ancora nostri alleati – scontri armati, né battaglie memorabili, solo perché pochi giorni dopo le due bombe di Hiroshima e Nagasaki risolsero la questione nell’american way.
Non mi risulta che con il Paese del “Sol Levante” sia stato firmato alcun trattato di pace, quindi dovremmo ancora essere in stato di guerra col Giappone.
E allora? Abbasso tutte le guerre? Non esageriamo, ci rispondono i paladini resistenziali firmatari del Trattato di pace del 1947: abbasso tutte le guerre, ma non quelle “giuste”, quelle, per intenderci, volute dai “liberatori”.
Ma l’italiano è un popolo intelligente, non cadrà in questa trappoletta: “Caro paisà, cà nisciuno è fesso”, non un italiano andrà in Afghanistan, in Iraq, e così via; l’italiano non è “bischero”, è “smart”; comprendi “paisà”?
Quindi, cari lettori, quando sentite i “bollettini di guerra”, scusate il lapsus, intendevo dire i “bollettini di pace” provenienti da quei Paesi del Medio-Oriente, che annunciano la morte o il ferimento di qualche militare italiano, non date ascolto: “E’ bieca propaganda nazi-fascista tendente a minare la democrazia e la libertà”.
Quanto è lontano quel tempo (eppure erano passati solo una manciata di anni) quando da ogni dove venivano economisti e politici per studiare il “fenomeno fascismo”, e il suo capo ci era invidiato da tutto il mondo. Lo hanno assassinato e impiccato per i piedi: unico modo per riconsegnare l’Italia all’”espressione geografica”.
P.S. Dopo aver visto con quanto entusiasmo è stato accolto Barrack Osama a Berlino, penso che anche la Germania non stia meglio dell’Italia.
Povera Europa!