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Lodo Alfano: diktat ipocrita

Sen. Pancho Pardi

“Signor Presidente, il lodo è il prodotto di un arbitrato tra due parti che vogliono trovare un accordo. Questo è un diktat, per di più ipocrita, perché si promette a vantaggio di quattro cariche e in realtà funziona per una sola. Leopoldo Elia, nel corso di un'audizione in Commissione, ha insistito sull'unicità di questa norma nel panorama giuridico conosciuto, tant'è che sono protetti i capi di Stato e non i capi di Governo.

La modifica è possibile solo con legge costituzionale e ne è prova il fatto che la richiesta di autorizzazione a procedere fu modificata con legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3. Per infrangere la saldezza di questo principio, si dice che il Premier è stato scelto dal popolo e quindi deve poter svolgere il proprio mandato. Non è il Premier: la parola è ambigua e lede l'idea della natura collegiale del Governo. Al Titolo III della Costituzione, “Il Governo”, la Sezione I reca il titolo “Il Consiglio dei Ministri”, non “Il Presidente del Consiglio”. Inoltre, non è vero che è stato scelto, perché è stato nominato dal Presidente della Repubblica e non è stato eletto con un'elezione diretta, anche se, come è già stato fatto rilevare, è stato un errore anche del centrosinistra aver accettato l'idea di porre il nome del candidato sulla scheda elettorale, peraltro con una forzatura rispetto alla tradizione.

In ogni caso, la vittoria elettorale non scioglie dal vincolo delle leggi. L'enfasi sulla scelta, su questa idea dell'elezione da parte del popolo, svilisce la natura collegiale del Governo e mette in pericolo anche la dialettica tra il Governo e le Camere. Far svettare su tutto il rapporto a senso unico tra capo e popolo costituisce una sorta di forzatura della dialettica democratica.

All'origine dell'unicità della storia del provvedimento sta l'unicità della vicenda giudiziaria che l'ha prodotta; ma questa, a sua volta, è prodotta dall'unicità di un'anomalia istituzionale che non ha pari nel mondo occidentale. Senatore Saro, l'anomalia istituzionale italiana non è data dalla magistratura, ma dal fatto che è salito al vertice del potere politico un soggetto che era del tutto incompatibile con l'esercizio di quel potere.

Da tutto ciò deriva una serie di forzature indicibili. Le ultime le vediamo e le vedremo nel prossimo periodo, con l'avanzare dei tempi e il susseguirsi di decreti‑legge, proroghe dei termini, voti di fiducia, il prossimo per scassare definitivamente la spesa pubblica, con danni incalcolabili.

Ci si appella al criterio della serenità: lui deve essere sereno. Ma lui sapeva di questa situazione già da molto tempo; quindi, se aveva una sensibilità tale da pregiudicare la sua serenità, già da tempo avrebbe dovuto smettere di essere sereno.

Il provvedimento dovrebbe svelenire il confronto. Niente di più sbagliato: in realtà lo avvelena alla radice e in modo irrimediabile. Con un atto di prepotenza non si può aprire un periodo di pace. Come si possono discutere le modifiche costituzionali con chi si mette la Costituzione sotto i tacchi? Si tratta di danni irreparabili ai principi costituzionali e l'eguaglianza viene calpestata.

Vi è un solo aspetto positivo: chi ha bisogno di protezione per svolgere semplicemente il proprio compito di Presidente del Consiglio non potrà mai aspirare davvero a superiori funzioni istituzionali.

Ci sorregge, infine, una speranza. Abbiamo di fronte a noi un impegno nobile e fondamentale: restaurare il primato dell'uguaglianza. Lo faremo. (Applausi dal Gruppo IdV. Congratulazioni).”

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