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Il Questore di Imperia indicò nella Banda della Magliana i rapitori di Emanuela Orlandi

di Sergio Bagnoli

Sono ormai trascorsi più di dieci anni da quell’otto Marzo del 1997 quando alla Questura di Imperia si insediò il nuovo questore, di fresca nomina, Nicola Cavaliere già capo della Squadra Omicidi, prima, e della Mobile, poi, alla Questura di Roma. Investigatore nato, Cavaliere aveva passato gran parte della sua carriera negli uffici di Via San Vitale e qui era venuto a contatto con tanti grandi misteri d’Italia e non solo: si ricordino su tutti l’attentato al Santo Padre ad opera del terrorista turco Ali Agca, i delitti di Via Poma e della contessa Alberica Filo della Torre e la scomparsa della cittadina vaticana, era ancora un’adolescente, Emanuela Orlandi e della giovane Mirella Gregori, il cui rapimento era a doppio filo legato al primo. “ Quello di Emanuela è un giallo per il quale non c’è mai stata alcuna speranza di arrivare ad una soluzione. Tante piste, forse troppe, ma che conducevano tutte inesorabilmente verso un vicolo cieco. Cosa ancora più terribile poi il fatto che non ci sia mai stato alcun indizio che ci potesse portare a sperare che Emanuela fosse viva. Ora cosa volete sperare, dopo tanto tempo…” queste le amare parole del neo- questore pronunciate, undici anni fa, di fronte alla stampa imperiese. Cavaliere, va detto in tutt’onestà, la pista buona cercò di batterla sin dall’inizio. Da impareggiabile segugio non mollò un attimo i componenti della criminale banda della Magliana, il consorzio criminale che allora governava il mondo della malvivenza romano, e non solo, ed aveva contatti forti, attraverso il boss Pippo Calò, con la mafia siciliana, con l’eversione nera e con la loggia massonica deviata della P2. Il suo capo Enrico De Pedis, detto Renatino, era un delinquente di grosso calibro che uccise tantissima gente, tanto che, ancora oggi, i sindacati di Polizia non si danno pace circa il fatto che un criminale di tale spessore sia sepolto nella cripta di una chiesa in territorio vaticano, a Sant’Apollinare per la precisione, per ordine dell’allora Cardinale – Vicario di Roma Ugo Poletti. Purtroppo attorno a Cavaliere non c’era quel clima necessario per fare imboccare alle indagini in maniera decisa la pista giusta. C’era chi affermava che la ragazza fosse stata rapita dai terroristi turchi dei Lupi grigi, e segnatamente dal suo capo Oral Celik, per far liberare Ali Agca e chi invece puntava il dito contro il presidente del pontificio istituto finanziario dello Ior e cioè contro l’arcivescovo Paul Marcinkus. “E’ lui il mandante del rapimento, organizzato per ricattare il Vaticano e costringerlo a restituire alla mafia i suoi soldi investiti nel Banco Ambrosiano, soldi che poi il banchiere Calvi girò allo Ior di Marcinkus, tenendo i siciliani all’oscuro di tutto. Anche la sedicente nuova pentita della banda, Sabrina Minardi, torna ad accusare Marcinkus in un racconto pieno però di imprecisioni che hanno causato la ferma protesta vaticana. In realtà è vero che in quegli anni la mafia siciliana e la P2 di Licio Gelli investirono i propri miliardi nel Banco Ambrosiano ma è anche vero che Calvi li usò per finanziare lo Ior di Marcinkus . Al Vaticano serviva liquidità per sovvenzionare il dissenso cristiano nei paesi dell’allora Patto di Varsavia. Marcinkus era un americano di origine lettone, il Santo Padre di allora polacco, decisero di comune accordo di portare direttamente l’atatcco al potere comunista sovietico. Il sindacato dissidente polacco Solidarnosc, in poche parole, fu tenuto in piedi con i soldi di Pippo Calò. Quando Cosa nostra, in crisi di liquidità, li chiese indietro a Calvi questi non glieli poté dare e preferì suicidarsi. La mafia allora si rivolse agli amici della Magliana che organizzarono i rapimenti dell’Orlandi e della Gregori per fare pressioni sulla Segreteria di Stato vaticana ma i criminali non ottennero nulla. Se solo si fosse potuto indagare nella direzione giusta senza farsi suggestionare da ipotesi fantasiose forse oggi non si parlerebbe più del rapimento Orlandi.

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