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I TRADITORI DI CEFALONIA DI CUI NON SI PARLA: UFFICIALI ITALIANI DANNO ARMI AL NEMICO

Un aspetto dei fatti di Cefalonia che la vulgata manipolata dai ‘gendarmi della memoria’ comunisti -arroganti padroni e sedicenti depositari della verità storica su di essi- ha volutamente sottaciuto, forte del regime di monopolio in cui ha sempre operato, riguarda ciò che di penalmente rilevante venne commesso da due “FASULLI EROI” i cui nomi più volte ricorrono e vengono esaltati con enfasi nella narrazione della vicenda.
Si tratta degli allora capitani Amos Pampaloni e Renzo Apollonio, il primo esaltato soprattutto dai suoi compagni di fede comunista e –ad onor del vero- mai dichiaratosi ‘eroe’ a differenza dell’altro che invece ebbe l’impudenza di aspirare apertamente, per tutti gli anni successivi alle “prodezze” fa lui compiute a Cefalonia, ad un riconoscimento tangibile sotto forma di una medaglia che –mostrandosi una volta tanto coerenti con la realtà dei fatti- le FFAA ‘riuscirono’ a non conferirgli in aggiunta agli incredibili benefici allo stesso concessi quali la promozione da capitano a maggiore –per meriti di guerra !- ed al raggiungimento del massimo grado cui un militare aspira: quello di generale di Corpo d’Armata.
Ebbene costoro –subito dopo l’annuncio dell’armistizio- si resero responsabili della consegna di armi al nemico cioè ai partigiani greci di Cefalonia commettendo un ben preciso reato –quello di TRADIMENTO- che anziché condurli dritti dritti alla fucilazione li innalzò successivamente all’onore degli altari resistenziali ove rimasero impuniti e riveriti venendo addirittura innalzati al rango di icone viventi della vicenda cefalonìta da sempre caratterizzata dalla facilità con cui vengono additati come ‘traditori’ ora questo ora quello dei protagonisti, esclusi ovviamente i due su citati: maestro in quest’arte si è rivelato l’ insegnante toscano di tedesco Paolo Paoletti mostrato da una compiacente critica alla stregua di ‘primus inter pares’ tra i “ricercatori storici” per la sua asserita attività non solo presso gli “archivi militari italiani” ma addirittura presso quello “tedesco” di Friburgo dove ha ‘scoperto’ documenti su Cefalonia aventi però la caratteristica di essere già presenti negli archivi nostrani insieme con molti altri che stranamente egli non ha mai citato forse perché non li ha visti o piu verosimilmente perché – pur avendoli visti- ha preferito sorvolare su di essi onde non compromettere le sue tesi preordinate al solo ed unico scopo di riabilitare il principale responsabile ‘italiano’ di Cefalonia, il ben noto cap. Apollonio, scanagliando con la taccia di ‘traditori’ il gen. Gandin ed altri Ufficiali i quali, a differenza del suo beniamino, fecero il proprio dovere finendo fucilati dai tedeschi con i quali, al contrario il suo pupillo ebbe rapporti di fattiva collaborazione come ‘comandante’ dei militari italiani rimasti ai loro ‘ordini’ a Cefalonia dopo la vile rappresaglia seguita alla resa, nella quale proprio quelli che Paoletti –farneticando- definisce ‘traditori’, furono uccisi.
Ebbene, proprio questo bilingue ricercatore, con un magistrale ribaltamento della verità, ha dato libero sfogo alle sue macabre fantasie fondate sul dato assolutamente falso di oltre 10000 nostri soldati ‘massacrati’ dai tedeschi a Cefalonia per colpa del ‘traditore’ gen. Gandin, nel suo libro “ I traditi di Cefalonia” reiterando poi l’infame accusa in un successivo saggio dedicato alla riabilitazione di Apollonio mostrato nei panni di un purissimo eroe circondato , per converso, da una massa di “ traditori” filonazisti che egli individua non solo nel gen. Gandin ma anche in altri ufficiali responsabili della Divisione, non escluso il Cappellano Romualdo Formato, a suo dire un accanito filo tedesco il quale –dopo aver ‘sbrigato’ l’ingombrante pratica dell’assistenza spirituale agli Ufficiali fucilati- si sarebbe posto ben volentieri al ‘soldo dei nazisti’ come si evince dalla frase che riportiamo dal suo libro, leggendo la quale abbiamo sentito un brivido di ribrezzo (ovviamente verso Paoletti) percorrerci la schiena: “…. Ancor più grottesco e offensivo per i partigiani combattenti è che il frate che aveva accettato il soldo nazista abbia ricevuto anche una Medaglia d'Oro commemorativa della Resistenza Italiana. Cos'aveva a che spartire questo sacerdote con la Resistenza che non fece almeno fino al 31 dicembre 1944? Crediamo che don Formato sia uno dei pochi volontari della RSI che sia riuscito a ricevere la medaglia d'Oro al Merito della Resistenza dalla parte politica opposta…” (P. Paoletti – Il Capitano Renzo Apollonio, l'eroe di Cefalonia).
Questa premessa ci è parsa doverosa per mostrare l’infimo livello cui –ad opera di personaggi come Paoletti- è scesa la storiografia per fortuna non più egemone di una certa sinistra, ma anche per controbatterne le vergognose argomentazioni su base documentale e non con chiacchiere e cialtronesche illazioni, al fine di far conoscere finalmente i nomi e i cognomi di coloro che furono i veri incontestabili traditori che dopo l’8 settembre contribuirono in modo determinante a provocare la tristissima fine della divisione Acqui.
Si tratta, com’è ovvio, dei due sunnominati dei quali passeremo in rassegna le poco edificanti gesta illustrando in questa sede il comportamento avuto quando subito dopo l’8 settembre, costoro – Ufficiali del Regio Esercito italiano !! –non ebbero scrupoli a ‘cedere’, di loro iniziativa, armi italiane ai partigiani greci dell’ELAS, il cosiddetto esercito greco di liberazione di ispirazione stalinista.
La consegna di armi avvenne, come s’è detto, subito dopo l’8 settembre e cioè prima, che al Comandante della Divisione, gen. Gandin, pervenisse il giorno 11, secondo alcune fonti o la notte sul 14 settembre, secondo altre, .l’ordine di resistere ai tedeschi., e proprio in tale lasso di tempo -variante dai tre ai cinque giorni- che vide febbrili trattative con i tedeschi, avviate dal gen. Gandin sulla base dell’unico ordine ricevuto dal Comando dell’XI^ Armata di Atene -prescrivente la cessione delle artiglierie e delle armi pesanti ad essi- i nostri “Eroi” Pampaloni ed Apollonio cedettero di loro iniziativa armi ed altro materiale ai ribelli greci i quali ovviamente nulla avevano a che fare con la questione insorta tra gli ex alleati italo-tedeschi a causa dell’armistizio, essendo rimasta comunque invariata la loro posizione di nemici di entrambi gli schieramenti, suscettibile di eventuali modifiche pro o contro uno di essi, soltanto in un secondo momento e non certo per decisione unilaterale di alcuni sconsiderati ufficiali della “Acqui”.
Ciò non impedì, tuttavia, che costoro si comportassero in quei giorni da autentici traditori, aprendo i magazzini affidati alla loro custodia per rifornire di armi il nemico, cioè quei partigiani greci, in massima parte affiliati alle bande comuniste dell’ELAS, il cosiddetto Esercito di Liberazione Greco che, sin dall’inizio delle ostilità, si era distinto per la disumana ferocia dei suoi componenti i quali erano usi uccidere, con il barbaro sistema dell’incaprettamento, cioè tagliando loro la gola con acuminati coltelli, i soldati italiani o tedeschi catturati nel corso delle loro imboscate.
Di questi assassini trattò ampiamente lo scrittore inglese L. De Bernières che, malgrado le tante inesattezze scritte in un suo libro sulla vicenda di Cefalonia, ricostruì però esattamente il modo di pensare e di agire di quei barbari, il cui unico credo era l’uccisione dei nemici in nome di Stalin e del Comunismo.
Per inciso ricordiamo che le critiche mosse dal predetto ai criminali comunisti dell’ELAS suscitarono l’ira dell’ex capitano Pampaloni, di recente scomparso, il quale, essendo divenuto, dopo la conclusione della vicenda di Cefalonia, un autorevole esponente di tali formazioni, in virtù della sua “primogenitura” nel rifornirle di armi, considerò sacrileghe le pur giuste considerazioni di De Bernières che, al contrario, si inquadrano perfettamente in quelle che ormai sono le pacifiche risultanze storiche dell’orrendo aspetto della Resistenza greca costituito da quella comunista.
Di tale dazione di armi ai partigiani greci abbiamo detto “ad abundantiam” nei nostri libri e nel sito www.cefalonia.it non mancando di metterne in luce l’aspetto penalmente rilevante e punibile, oltretutto, con la più grave delle sanzioni –la pena di morte- a norma del Codice Penale Militare allora vigente che, purtroppo, non trovò applicazione né al momento della commissione di tale reato –e ciò è comprensibile data la confusione e le complicità del momento – né successivamente, quando si provvide addirittura a decorare con medaglia d’argento il Pampaloni e ad elargire riconoscimenti e ricompense ad Apollonio che arrivò al grado di generale di Corpo d’Armata pur senza ricevere –per fortuna- la medaglia d’oro cui impudentemente aspirava.
Il tutto ovviamente alla faccia dei poveri Morti -anche per colpa loro- non ultimo il Padre di chi scrive, ma poiché quanto sopra potrebbe sembrare frutto di risentimento o di esagerazione se non anche di calunnia verso costoro che commisero un crimine, punibile -in un Esercito che si rispetti- con la massima pena prevista, mi è gradito rilevare che gli stessi fatti furono riportati da un superstite della vicenda che ne fece menzione in un suo diario, pubblicato ad opera del figlio, con il titolo “Tra marosi e nebbie – Memorie di un sopravvissuto all’eccidio di Cefalonia”.
Si tratta di un diario scritto da Mariano Barletta, un ufficiale subalterno di Marina, salvatosi fortunosamente dalla rappresaglia di cui le belve tedesche si resero protagoniste a ciò spinte, è inutile negarlo, da una serie di colpevoli comportamenti posti in essere da un coacervo di nostri compatrioti, cialtroni ed incoscienti – dal nostro Comando Supremo ai rivoltosi interni alla divisione “Acqui”- per finire ai tanto osannati Alleati che mostrarono una cinica indifferenza di fronte alla tragedia.
In esso l’Autore, descrivendo il trasferimento del personale di Marina, ordinato per motivi precauzionali, mentre erano in corso le trattative del Comando di Divisione con i tedeschi, da Argostoli alla località di Faraò, sede di una batteria di Marina, a pag. 32 scrive: “(…) Finalmente giungemmo a Faraò; fuori del campo cintato della batteria vi era un po’ di ressa, generalmente giovani greci che stavano lì a curiosare ed a commentare. Stavo per varcare l’ingresso quando un giovane ben vestito, alto, magro, con baffetti neri, mi si avvicinò e, dopo essersi qualificato ufficiale dell’esercito greco, mi domandò ” Perché non date le armi anche a noi?”.
Oltre ad essere ben lontano dal prevedere che mi si potesse fare una tale domanda, tenuto conto soprattutto del mio modesto grado militare, non sapevo che c’era già una certa intesa tra nostri ufficiali d’artiglieria ed i capi della resistenza greca nell’isola e che già si procedeva a distribuire armi ed approvvigionamenti ai patrioti; di conseguenza fissai meravigliato quel giovane e mi limitai a dirgli che la controversia riguardava soltanto noi e i tedeschi (…)”.
Queste parole -a nostro avviso- costituiscono un‘ulteriore prova dell'operato di alcuni ufficiali di artiglieria che, ad onta dei doveri su di loro incombenti, non ebbero scrupoli a comportarsi da traditori rifornendo di armi bande di ribelli assassini dei loro commilitoni e chi si distinse in tale attività furono proprio i due osannati ‘eroi’ Pampaloni ed Apollonio come risulta dalle prove a loro carico -già venute a galla poco dopo i fatti ma prontamente insabbiate- di cui appresso parleremo.
Dette prove sono numerose per cui citeremo solo le più significative iniziando da quelle di natura per così dire ‘confessoria’ riguardanti il capitano Pampaloni il quale si vantò in più occasioni –al contrario di Apollonio che preferì la tattica più fruttuosa (alla sua carriera) del silenzio- di aver fornito armi ai greci, di cui addirittura clamorosa fu la prima quando, in pieno 1945, disse al colonnello Moscardelli il quale su incarico dell’Ufficio Storico dell’Esercito, stava preparando il libro “CEFALONIA” pubblicato lo stesso anno dallo Stato Maggiore Esercito, quanto segue: “Presi contatto col comandante dei patrioti greci di Cefalonia e con altri elementi del Fronte Nazionale di Liberazione: assicuratomi della loro collaborazione completa mi accordai per la consegna d’armi munizioni. Feci quindi ritirare dalla nostra polveriera armi e munizioni che furono messe a disposizione dei greci” (pagg. 25-26).
Abbiamo di proposito riportato la data di detta dichiarazione (1945) perché non risulta da alcuna parte che il colonnello Moscardelli abbia inoltrato denunzia contro il predetto ed anche per far rilevare al lettore come nel successivo processo a suo carico tenutosi nel 1956-57 il G. Istruttore non lo interrogò neanche su tale fatto di cui non poteva non essere a conoscenza e ciò la dice lunga su un processo che definire alla stregua di una vergognosa farsa è solo un dolce eufemismo come abbiamo documentato nei nostri libri “La vera storia dell’eccidio di Cefalonia” e “La tragedia di Cefalonia – Una verità scomoda” nei capitoli ad esso dedicati.
Al sicuro pertanto da qualunque possibilità di incriminazione il nostro confermò il suo racconto dicendo in un’intervista successivamente resa al prof. tedesco C. Schminck – Gustavus quanto segue: “Io avevo dato le nostre armi ai partigiani. Sa, i greci sono molto radicali nei loro sentimenti: o ti odiano o ti adorano. Io per il fatto di aver consegnato le nostre armi, per loro ero un eroe, un grand’uomo”.
“Le armi ? Ma dove le aveva prese ?”
“Nei giorni dopo l’8 settembre svolgevo un servizio di guardia alla polveriera e all’armeria della divisione. Vennero dei partigiani greci e mi chiesero delle armi. Diedi loro dei moschetti e delle munizioni”.
(v. La div. Acqui a Cefalonia – Mursia 1993 pag. 250).
Ci sembra opportuno, a questo punto, chiudere l’edificante rassegna riportando alcuni stralci dell’articolo “IL REDIVIVO DI CEFALONIA” scritto dal “datore di armi” Pampaloni in persona, per la rivista “STORIA E DOSSIER” di aprile 2000, un tempo edita a Firenze -sua città di nascita- che lo esaltò alla stregua di un Eroe d’altri tempi (!!) conferendogli attestati e benemerenze a non finire additandolo con la concessione del ‘Fiorino d’Oro’ –poco prima della dipartita- a cittadino modello di cui seguire l’esempio..
In esso -tra le tante amenità- sul punto in questione troviamo scritto : “Devo dire che la mattina del 9 settembre, dopo l’armistizio, la mia batteria era di guardia al magazzino divisionale delle armi e munizioni e io feci distribuire ai partigiani greci moschetti e mitragliatrici dato che il magazzino ne aveva in abbondanza”.
Se dunque Pampaloni in un processo tenutosi seriamente sarebbe stato considerato come “reo confesso” con ciò agevolando il compito di giudicarlo e ovviamente condannarlo, l’Apollonio invece, stante il suo interessato silenzio, avrebbe potuto creare dei problemi per giungere alla prova della sua colpevolezza che poteva però essere facilmente raggiunta da un onesto inquisitore -se ci fosse stato- sulla base dei documenti esistenti nell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, contenenti gli “elogi” a lui rivolti nelle dichiarazioni di un “tenente” greco dell’ELAS, G. Georgopoulos per la sua “dazione” di armi ai partigiani in relazione alla quale perfino il suo ‘apologeta’ Paolo Paoletti – sia pure dietro nostro input- è stato costretto a scrivere nel suo ‘I traditi di Cefalonia’ ( pag. 286), che “Il comportamento del cap. Apollonio fu sicuramente censurabile quando distribuì armi ai partigiani greci prima dell’ordine di considerare i tedeschi come nemici (…)”
Su quest’ultima osservazione si noti l’ignoranza dello stesso in materia giuridica –su cui pur si esprime con saccenza- nel definire “censurabile” un comportamento integrante un reato punibile con la pena di morte, ma ci rendiamo ben conto che chiedere di più a chi è arrivato al punto di reclamare la Medaglia d’ Oro per un siffatto personaggio è davvero troppo.
Ed ecco il testo della dichiarazione con gli elogi rivolti al futuro generale di Corpo d’Armata Renzo Apollonio per la “consegna di armi ai ribelli greci”.
( La stessa è visibile in copia originale alla pagina titolata “TRADITORI A CEFALONIA” nel sito www.cefalonia.it):
Argostoli 12 ottobre 1944
Io sottoscritto Dionisio GEORGOPULOS Ten. dell'ELAS dichiaro che ho conosciuto il capitano antifascista Renzo Apollonio nel settembre 1943. Dal giorno 9 fino al 13 settembre 1943 prima di iniziare a combattere contro i tedeschi, il Cap. Apollonio ch'era il Comandante dei reparti antitedeschi della Divisione “Acqui”, aveva svolta collaborazione col Ten. Col. Kavadias e col Ten. MIGLIARESSI patrioti greci del comando dell'ELAS di Cefalonia.
Io ero presente l'11 settembre 1943 quando il cap. APOLLONIO consegnò armi e munizioni al Ten. Col. Kavadias e al Ten. MIGLIARESSI per gli Andartes dell'ELAS.
Durante la notte del 12 settembre ho accompagnato il Cap. Apollonio quando ha passato in rivista una compagnia di Andartes che volevano combattere con lui contro i tedeschi.
Questa compagnia ricevette viveri e munizioni dal comandante APOLLONIO.
Io rimasi fino agli ultimi giorni della guerra come collegamento fra il cap. APOLLONIO e il comando dell'ELAS.
Il giorno 13 settembre alle ore 7 del mattino mi trovavo presso la batteria del cap. APOLLONIO, quando ha dato l'ordine alla sua batteria e alle batterie di PAMPALONI e di AMBROSINI di sparare contro le zattere tedesche che portavano truppe per rinforzare il presidio di Argostoli.
Quando i tedeschi resero schiava Cefalonia, io sapevo che il cap. APOLLONIO era comandante delle forze italiane quali patrioti contro i tedeschi.
Sempre ho conosciuto l'idea del patriota italiano APOLLONIO, perchè non solo lo conoscevo da prima ma anche perchè sapendo che era stato fucilato due volte a Dilionata senza essere ucciso, non era possibile che stimasse o collaborasse con i tedeschi.
Per questo appunto avevo fiducia a collaborare con lui, il cap. APOLLONIO infatti mi riferiva sempre notizie politiche e militari ogni volta che ne veniva richiesto.
Molte volte ho messo in collegamento il cap. APOLLONIO con MIGLIARESSI per definire delle questioni molto segrete fra il cap. APOLLONIO e l' ELAS.

(omissis… F).to Il Sottotenente dell' ELAS
Giorgio Gheorgopulo

Per finire, riportiamo l’analisi da noi compiuta sui reati commessi dai due e le conseguenze che ne sarebbero derivate se anziché in Italia ci si fosse trovati (e ci si trovasse) in un paese serio e rileviamo che il CODICE PENALE MILITARE DI GUERRA al titolo “Dei reati contro la fedeltà e la difesa militare” prevede il seguente delitto:
ART. 51 – (Aiuto al nemico) – Il militare che commette un fatto diretto a favorire le operazioni militari del nemico ovvero a nuocere altrimenti alle operazioni delle forze armate dello Stato italiano, è punito CON LA MORTE CON DEGRADAZIONE.
Detto articolo fu così lumeggiato nei ‘Lavori preparatori e finali dei Codici Militari’: “Quanto all’altra delle forme di favoreggiamento al nemico, cioè di prestare aiuto al nemico, senza partecipare direttamente alla guerra contro lo Stato nazionale, la natura stessa del reato determina una molteplicità di modi, e così un elemento materiale vario e complesso: ad esempio impedire il buon esito di una operazione militare, togliere alle forze belliche qualche mezzo di agire contro il nemico, agevolare a questi la difesa o l’offesa, FORNIRE ARMI, VIVERI ECC. “
La conclusione che ne deriva è che se si fosse proceduto IMMEDIATAMENTE, a mezzo di una Corte Marziale nominata dal Comandante, i due sarebbero stati immediatamente passati per le armi.
Quanto ai rapporti intercorsi con i partigiani greci prima e durante l’8 settembre avrebbe trovato applicazione l’articolo che segue:
Art. 56 ( Comunicazione illecita con il nemico, senza il fine di favorirlo) – Il militare che, senza il fine di favorire il nemico, ma senza autorizzazione o contro il divieto dei regolamenti o dei superiori, entra in comunicazione o corrispondenza con una o più persone delle forze armate nemiche è punito con la reclusione da uno a sette anni; e se trattasi di fatto abituale o, comunque, se ricorrono circostanze di particolare gravità, con la reclusione non inferiore a dieci anni.
Da quanto sopra si evince chiaramente che le due fattispecie criminose si rivelarono pienamente applicabili ai reati posti in essere dai due su nominati ma ciò non avvenne ed oggi -in pieno 2006- ci ritroviamo con due EROI –Pampaloni ed Apollonio- di cui si tessono le lodi ed alcuni “TRADITORI” come la Medaglia d’Oro gen. Gandin o Padre R. Formato scanagliati da scrittori e pennivendoli di mezza tacca grazie anche all’indifferenza di chi dovrebbe difenderli, in primo luogo le FFAA che sapevano e sanno tutto –come da Relazione scritta nel 1948 dal t. col. Picozzi e da esse ‘insabbiata’ per quaranta anni- ed invece assistono silenti e spesso partecipano -con le compagnie di giro composte da personaggi smaccatamente COMUNISTI e dediti al mendacio- a convegni e celebrazioni da cui per dirla in termini cinematografici “OGNI RIFERIMENTO ALLA VERITA’ DEI FATTI E’ RIGOROSAMENTE ESCLUSO”.
Auguriamoci che con il Ministro della Difesa Ignazio La Russa la musica cambi.

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