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Prognosi, non geremiadi

di Pierluigi Sorti

Un dibattito romano sulle paure e le speranze nell'Italia della terza repubblica

Un confronto nutrito di oltre quattro ore complessive fra diverse sensibilità di storici, sindacalisti, politici dell’ area di centro sinistra ospiti dell’Eurispes che, insieme con la rivista Ragionamenti, ha voluto dedicare, con il titolo in epigrafe, una giornata all’analisi dello stato politico dell’ arte.

E’ stato un dibattito che, con accentuazioni diverse, ha passato in rassegna le ragioni fondamentali innescate da una ampia presentazione di Gavino Angius e approfondite dalla ventina di interventi che si sono sviluppati successivamente: in cui, tuttavia, ciascuno di essi esprimeva, seppure talvolta inconsciamente, comunque con evidenza, un senso di impotenza sul che fare dell’ immediato futuro.

Un filo unitario di analisi delle motivazioni passate e recenti, della sconfitta del centro sinistra – registrate per trasmissione differita (per l'audio vai al sito di Radio Radicale) – si poteva individuare, oltre che nel frequente riconoscimento autocritico degli errori commessi, nell’ attribuzione quasi unanime delle più elevate responsabilità a Veltroni in primis, ma, contestualmente, a Bertinotti per l’ avallo, da questi condiviso, alla scelta di separare le fortune elettorali del Pd da quelle del centro sinistra complessivamente considerato.

In questo quadro esiziale, la necessità della corsa solitaria, convergevano, nel differenziato peso attribuito agli argomenti specifici, ciascuno degli intervenuti: così Cesare Salvi per l’Arcobaleno, come Lanfranco Turci per il Ps e Giorgio Benvenuto per il Pd, (solo per esemplificare) non avevano difficoltà nel sottolineare le rispettive responsabilità ma con maggiore intensità richiamavano lo stato di necessità derivante dall’emergenza elettorale e dai ridottissimi tempi disponibili per affrontarla.

Si differenziava in questa panoramica la posizione di Gianni Mattioli, tutta rivolta a evidenziare la patologia di tutta l’impostazione politica italiana, senza distinzioni di partito, ma appunto identificabile con il declino definitivo di ogni consapevolezza ecologica, identificata causa del degrado morale, culturale e ambientale del nostro sistema.

Più isolato, anche se non trascurato, il ricorso alla denuncia della crescente attenuazione della coscienza laica da cui la dirigenza del centro sinistra sembra irretita, e per questo punita sul piano elettorale dalla stessa sua tradizionale opinione pubblica che non ha inteso condividere questa timidezza di tutto, o gran parte, dell’ arco politico dirigente del centro sinistra.

Non è mancata l’evidenza della contraddizione fondamentale di questo momento politico: nello stesso tempo in cui si esprime l’ allarme per un possibile regime strisciante, contemporaneamente si persegue una politica di grande disponibilità dell’ opposizione parlamentare a un processo di partecipazione a una politica riformista, evidentemente incompatibile con l’ ipotesi stessa del pericolo di regime.

Non geremiadi, quindi, ma analisi circostanziate che oltre a spiegare, comportavano fondate attenuanti, almeno sul piano individuale, delle ragioni della sconfitta ma che, fondamentalmente, trascuravano la fase successiva alla diagnosi, cioè la delineazione di una prognosi.

In questo senso, il tentativo di formulare una qualche ipotesi di strategia politica per il prossimo futuro si è limitato a uno stentato fraseggio, seppure non povero di interrogativi.

Se, come è stato detto esplicitamente, il 13 aprile ha segnato la Caporetto del centro sinistra, le prossime elezioni europee rappresentano la possibile unica vicina linea del Piave.

E’ decoroso, a tal proposito, è stato chiesto, che si possano ipotizzare, con il consenso del Pd , modifiche elettorali – sbarramento al 3 per cento, liste bloccate, – che comporterebbero l’ amputazione di partiti minori come il Ps e notevolissime difficoltà per le formazioni che emergeranno dalla decomposizione della sinistra arcobaleno?

Ma, più specificamente, quali decorose scelte potranno essere adottate dal Pd in relazione alla sua futura collocazione nel consesso europeo ?

Ed è accettabile che, sempre all’ interno del Pd, si possa ragionevolmente prevedere che ancora nel 2013, cioè dopo 4 lustri da Tangentopoli e 25 anni dalla caduta del muro di Berlino il gruppo di regia di quel partito, dopo le trasformazioni affrontate e le sconfitte subite, rimanga sostanzialmente immutato ?

Non sta quindi nel mancato ricambio e nell’infeudamento che caratterizza gli organigrammi di partito, l’epicentro della crisi democratica del centro sinistra ?

In tale ambito, come era facile dedurre dagli argomenti avanzati da Cinzia Dato, anche le donne devono assumere nelle proprie mani le scelte di una politica femminista: il che difficilmente avverrà fintantoché le loro leaders non interromperanno il comodo percorso della carriera individuale e la ricerca del protettorato dei potenti di turno.

E, proprio in conclusione, non è mancato chi ha fatto notare che, in concomitanza perfetta con il dibattito in corso, a poca distanza, in una sala del Senato erano presenti Gianfranco Fini, il ministro Maurizio Sacconi e il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, a dibattere sull’ art. 46 della Costituzione, dove si riconosce “ il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende”.

Non era paradossale, questo era il quesito avanzato, che fosse proprio il centro destra ad essere sensibile all’ applicazione di una delle tante norme di quella costituzione che tutti i partiti del centro sinistra, per 60 anni, hanno difeso a parole ma dimenticato di applicare nei fatti ?

Con tante questioni irrisolte, sia concesso di esprimere off records, che l’indubbia utilità di questi incontri esca dal binario ripetitivo di farne seguire altri, senza la previa individuazione di ricette capaci di superare illusorie scorciatoie politiciste per intraprendere la strada maestra dell’agire politicamente.

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