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Perluigi Castagnetti. I Post-Dc: da soli anche in Europa

di Pierluigi Castagnetti

L’appuntamento delle elezioni europee si avvicina. Un anno è domani. Il Pd aveva lasciato sospeso nel dibattito costituente il nodo della collocazione europea e, da qualche giorno, nel transatlantico di Montecitorio si è ricominciato a parlarne.
Personalmente credo che la scelta sia obbligata: il Pd, vera novità del panorama politico nazionale ed europeo, non può che rappresentare la novità di se stesso – partito riformista postideologico – anche nel parlamento europeo. E’ la logica conseguenza della scelta elettorale di andare da soli, o liberi come dice Veltroni, cioè senza condizionamenti esterni che possano comprometterne l’ identità pluralista e postideologica.
Dovremo presentarci soli, cioè liberi, o se si preferisce autonomi, anche in Europa. L’autonomia è una scelta difficile che, per risultare alla fine pagante, non ammette incoerenze e compromessi lungo il cammino.
E se, all’inizio della legislatura non dovessimo avere i numeri fissati dal regolamento parlamentare per costituire un gruppo, staremo soli e uniti, federati con o dentro il gruppo misto, oppure cercheremo adesioni tra le rappresentanze di altri paesi che condividono la nostra stessa idea di Europa federale e di partito democratico moderno: non sarà difficile trovarle.
Non c’è alternativa.
In passato ho fatto l’esperienza di parlamentare europeo all’interno di un gruppo e di un partito storico, il PPE, denominato ora “gruppo Popolare e democratico” per consentire l’adesione dei conservatori britannici, ma rimasto sostanzialmente se stesso, e ho visto le opportunità e i limiti di una simile militanza.
Ho conosciuto da vicino anche il PSE poiché a Strasburgo vige uno stretto consociativismo parlamentare fra i maggiori gruppi, un consociativismo che è insieme causa ed effetto dell’attuale paralisi dell’Europa.
Un gruppo democratico autonomo, con le caratteristiche di modernità del nostro partito, non può che giovare alla attuale dialettica parlamentare, stantia e complice di un oggettivo straniamento dell’Europa, oggi troppo larga e troppo leggera per poter incidere sulla scena del mondo globalizzato.
E, peraltro, non possiamo sottovalutare le caratteristiche della prossima campagna elettorale europea quando il Pdl e la Lega scaricheranno sull’Europa le nostre difficoltà nazionali, da quelle economiche a quella della sicurezza o dell’energia. E noi, che siamo un partito convintamente europeista, non potremo difendere “questa” Europa impacciata di Barroso e Tajani. Dovremo anzi prenderne le distanze e indicare la strada di un europeismo virtuoso e ineludibilmente federale. Anche per ciò dovremo essere liberi da ogni vincolo di parentela continentale.
Ma, qualche collega, mi ha indicato la ulteriore possibile alternativa dell’adesione al PSE qualora cambiasse il nome come ha fatto il PPE, per chiamarsi “gruppo parlamentare dei socialisti e dei democratici”, rimanendo inevitabilmente se stesso, cioè gruppo legato al partito del PSE e all’Internazionale Socialista. Non sono d’accordo.
Anzi penso che tale ipotesi per il Pd sarebbe un errore, un grave errore.
Tanto lavorio per tornare a casa (peraltro una casa che fu solo di una parte) ?
Dobbiamo essere chiari e onesti con noi stessi innanzitutto: il problema per il Pd non è una questione semantica, ma una questione di sostanza.
Abbiamo insieme ritenuto di lasciarci alle spalle il secolo delle ideologie e se non saremo coerenti con tale scelta oggi nessuno capirebbe più il senso della novità che pretendiamo di rappresentare.
La questione è veramente di fondo.
Alain Touraine nel suo ultimo libro, “La globalizzazione e la fine del sociale” (ed. Il Saggiatore), dice: “L’individualismo imposto dalla globalizzazione ha sradicato i movimenti di massa e ha reso inservibili le categorie politiche e sociali con cui pensavamo noi stessi e gli altri: se le grandi narrazioni collettive sono finite, la vita del soggetto acquista la stessa drammaticità della storia del mondo. Abbiamo bisogno di un nuovo paradigma per capire il presente e, soprattutto, per rivendicare i nostri diritti”.
Sono del tutto d’accordo con queste valutazioni e credo che tutti lo siamo, ma dobbiamo trarne le conseguenze e andare ben oltre la prospettiva socialista, anche se – da quelle parti – ci sono tante realtà con cui potremo lavorare per obiettivi comuni.
Tony Blair poi, pochi giorni fa, presentando a New York la sua nuovo Faith Foundation, ha affermato che “la fede religiosa sarà per il 21esimo secolo quello che l’ideologia è stato per il 20esimo”. Non so se anche questa affermazione possa essere ugualmente condivisa da tutti, ma so che anch’essa ci stimola ad andare oltre le ideologie che abbiamo conosciuto e condiviso in passato, del tutto estranee oggi a queste prospettive.
Gira e rigira, a me pare dunque che – come ho già detto – la nostra scelta non possa che essere ambiziosa e coerente con ciò che abbiamo deciso di essere dando vita al Pd, scelta che Walter Veltroni con le sue decisioni e la sua campagna elettorale ha accentuato bruciando ogni vascello alle spalle.

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