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MEMORIA E OBLIO NELL’INCONTRO TRA CULTURE

CONTRO IL RAZZISMO PER UN’EDUCAZIONE ALLE RECIPROCHE NARRAZIONI

INDICE pag 1

L’UNIVERSITA’ DELL’AUTOBIOGRAFIA pag 2
• Al di là del racconto orale
• Autobiografia per accomunare culture e subculture differenti
• Il disagio esistenziale nel racconto di sé
• Il mestiere di chi ascolta

IL SENSO DELL’AUTOBIOGRAFIA pag 22
• Il tempo dell’autobiografia
• La bilocazione cognitiva
• La capacità riflessiva
• La complessità dell’autobiografia

LA DIALOGICITA’ AUTOBIOGRAFICA pag 34
• La fascinazione lirica della poetica interiore
• La metodologia autobiografica
• La metodologia dell’apprendimento

LA PEDAGOGIA DEL DIALOGO pag 41
• La ricognizione biografica
• La traccia dell’autobiografia
• La trama dell’autobiografia

LABORATORI DI EDUCABILITA’ COGNITIVA pag 50
• L’analisi autobiografica e le categorie archetipiche
• Le idee dell’autobiografia
• Le molteplici sfaccettature del racconto introspettivo

LE POTENZIALITA’ METABLETICHE DELL’AUTOBIOGRAFIA pag 61
• Le traiettorie delle trame esistenziali
• L’interazione dialogica e dialettica
• Lo spazio dell’autobiografia

BIBLIOGRAFIA pag 70
APPROFONDIMENTI pag 71

MEMORIA E OBLIO NELL’INCONTRO TRA CULTURE.
CONTRO IL RAZZISMO PER UN’EDUCAZIONE ALLE RECIPROCHE NARRAZIONI

di LAURA TUSSI

L’UNIVERSITA’” DELL’AUTOBIOGRAFIA PER IL RECUPERO DELLA MEMORIA STORICA POPOLARE E DELL’IDENTITA’ CULTURALE: LE STORIE DI VITA E LE RELAZIONI D’ASCOLTO.
Il valore soggettivo ed individuale contro la massificazione ed uniformazione delle coscienze

Memoria e modernità

Gli esseri umani non hanno sempre ricordato con le stesse modalità. Attualmente la cultura dominante concettualizza la memoria in determinati parametri, per cui la modernità contrasta la memoria attraverso il mutamento, il cambiamento, l’epoca del sempre nuovo, instaurando contradditori rapporti tra la cultura moderna europea e il concetto di memoria storica.
Nel 1860 Baudelaire sosteneva che “le città cambiano più velocemente del cuore di un uomo”, perché nella modernità tutto è mutevole, proteiforme, si trasforma più velocemente della capacità di adattamento dell’individuo stesso. Il mutamento è la norma: gli oggetti con cui in passato si condivideva la quotidianità, attualmente risultano desueti. La modernità implica l’oblio lacerante, la rottura costante e diseducativa con le tradizioni, con il passato, la storia; in quanto epoca del mutamento perpetuo, provoca ricorrenti fratture nella memoria sociale, ma implica, al contempo, un forte richiamo alla responsabilità del singolo nei confronti del passato storico a livello individuale, collettivo, nazionale, globale, affinchè in Italia e in Europa non si tratti esclusivamente di monete e di politiche economiche, ma delle persone e delle comunità, delle loro storie, culture e stili di vita, per gli obiettivi comuni di sviluppo delle conoscenze e delle azioni che possano promuovere condizioni esistenziali migliori, dal momento che è in gioco la nostra memoria collettiva, allo scopo di unificare una comunità, un popolo, il cui passato, recuperabile attraverso la memoria storica, risulta operazione necessaria, soprattutto nell'era della globalizzazione in cui occorre anche il rispetto e la valorizzazione delle diversità, delle differenze soggettive, culturali, interetniche, come elementi vitali e imprescindibili dell'insieme.
Da questo punto di vista l’Europa, di cui siamo parte, è una terra di memorie, storie, linguaggi, luoghi che devono essere valorizzati, tutelati e messi in condizione di rapportarsi, integrarsi vicendevolmente, senza perdere i caratteri oggettivi, perché nel grande fiume della storia confluiscano in un insieme, in una complessità più ampia, sollecitando le inflessioni relative ai problemi dell’identità locale e nazionale, perché è proprio l’ingresso nella modernità che obbliga ad una verifica critica delle nostre storie individuali e collettive e delle nostre tradizioni, al fine di creare una mentalità nuova che risulterà tanto più “moderna” e proiettata verso il futuro, quanto più riconoscerà che anche il passato rientra nella contemporaneità e attualità del presente.

La complessità ontologica del sé in una prospettiva autobiografica.

Risulta possibile recuperare il passato se si riconosce e riattualizza una memoria collettiva, comune, del senso della storia a partire dal singolo individuo che ha il compito di comprendere, realizzare, ricomporre a ritroso, storicamente, la propria identità, coincidente con la memoria stessa, tramite l’approccio pedagogico autobiografico.
L’autobiografia permette al disegno, alla trama della storia personale di riemergere nella sua unicità per una maggiore consapevolezza e comprensione di sé, emancipando il soggetto da ogni rischio di manipolazione, di “revisionismo storico” della propria esistenza nel passato. In epoca moderna l’individuo vive il disagio, la difficoltà di sperimentare la complessità dell’esistere, perché la soggettività non è univoca ma composta da “noi plurimi” che confliggono al nostro interno, in termini psicanalitici.
La modernità disorienta l’individuo che non vive esclusivamente un’unica cerchia di vita relazionale, ma sperimenta la varietà degli approcci sociali, per cui appartiene ad una pluralità di ambiti comunitari e di contesti collettivi. Dunque la modernità comprende molteplici e plurime identità relazionali, per cui risulta più difficoltoso recuperare il senso della personale biografia, in quanto l’”io” sperimenta molteplici vite, nella pratica relazionale in varie dimensioni sociali del contesto quotidiano, prive comunque dell’autentico senso di appartenenza e condivisione che permeava la società preindustriale, precapitalistica, impostata su modelli di vita quotidiana più semplici, meno complessi degli attuali..
Nel concetto moderno e specifico di “adultità” (neologismo attuale), il divenire, la metamorfosi, il cambiamento, la transizione, coesistono nell’ermeneutica autobiografica, metodo interpretativo olistico che richiama il luogo della complessità, legata ai temi della narrazione, del gioco di trame e processi narrativi di linguaggi interiori che tendono all’incompiutezza. Il metodo autobiografico rientra nell’ambito della complessità, per cui il racconto di sé, introspettivo e retrospettivo, si rivela autopoietico, autogenerativo, tendente all’infinito relazionare e rimembrare degli eventi. L’educazione alla multipla complessità del sé genera e comporta un percorso formativo atto ad affrontare la sopravvivenza all’incertezza e all’ansia di dominare il presente, per abitare gli interrogativi dell’identità multipla, poliedrica allo scopo di imparare ad interagire, conversando, attraverso il mutare, il variare dei punti di vista, delle prospettive cognitive, al fine di educarsi, educando. Un concetto nell’accezione formativa, problematicista: La complessità dell’IO, dell’ente, realtà ontologica, olistica, interna ed esterna al sé. Il rapporto d’ascolto autobiografico ammette l’avvicinamento estetico, tramite il contatto, non estetizzante, l’interrelazione reciproca, per non dimenticare di vivere e sperimentare la nozione di complessità, attraverso il pensiero cognitivo autobiografico, che tende anche alla sospensione del giudizio, all’epochè.
Un luogo interiore dell’anima, per rieducarsi alla memoria.

L’autobiografia, ermeneutica dell’esistente, ha trovato un luogo ideale, utopico, al contempo reale, un “non luogo” della mente, dell’anima, anche topos specifico, micropedagogico…dalla mente autopoietica, al microcosmo di una realtà rurale, idillica, sospesa nell’eternità di un passato storico importante. Un piccolo borgo medievale, inerpicato sul dolce pendio collinare toscano: Anghiari, ancora intatta nella sua autentica antichità. Qui il fulcro della “Libera Università dell’Autobiografia”, realtà collegata all’Archivio diaristico nazionale della memoria storica popolare di Pieve Santo Stefano, da cui si diparte l’intento pedagogico, la volontà di studio e impegno di volontariato culturale militante che coinvolge vari comuni italiani, paesi piccoli e grandi, nell’intento formativo, di applicazione rieducativa al senso del tempo storico, personale e collettivo, di indagine e discussione relative al significato ermeneutico, interpretativo, della narrazione di sé, delle storie di vita degli individui, del popolo nella sua complessità. Questo implica un concetto di autoformazione, di autoriflessività e occasione di apprendere e conoscere, durante il corso della vita e dell’esperienza, in relazione ai fatti quotidiani, ai continua apicali, alla nascita, alla morte, come alle vicende esistenziali, grandiose o povere che ciascuno di noi vive.

Le due anime dell’autobiografia

La Libera Università dell’autobiografia di Anghiari, polivalente realtà associativa, è contraddistinta dall’intrinseca dualità e, al contempo, univoca e comune volontà d’intenti. Un’anima autobiografica, intesa come autentica e implicita possibilità di tornare sul proprio passato, in uno spazio/tempo interiore, spesso privo di riferimenti con l’alterità, per il venir meno di significativi e autentici rapporti relazionali affettivi, amicali. Soprattutto nelle grandi realtà urbane, metropolitane è scomparso il senso della comunità, vissuta attraverso le scansioni liturgiche del calendario agricolo/pastorale, regolato dagli eventi naturali, dal susseguirsi delle stagioni e suffragato dalla tradizione del sacro.
L’autobiografia rappresenta la possibilità di comunicare con le varie identità, a livello individuale, e recuperare, riappropriandosene, la storia di sé, per vivere meglio le diversità intersoggettive, con se stessi, per gli altri.
La seconda anima del volontariato di animazione autobiografica, comprende l’atto simbolico ma effettivo del donare e riconsegnare al presente, per affrontare il futuro con rinnovata consapevolezza, le tracce, i segni dei tempi, di una memoria storica collettiva quasi scomparsa: la vita della comunità, formata di tante singole storie di vita, riesumate tramite la “pedagogia della memoria”, per ricostruire e recuperare un’identità a livello individuale, locale, nazionale, globale dalla complessità ontologica dell’esistente, nella consapevolezza di un più esteso concetto di educazione e cultura militante.
Dal contesto sociale attuale risulta l’esigenza di raccontare ad altri e a se stessi il ricordo, rammentando, rimembrando e rievocando, il relazionarsi degli eventi passati, per sanare le ferite di un diffuso e dilagante disagio esistenziale, a tutti i livelli sociali, riguardante diversi ambiti e canali comunicativi: “non una depressione comune, un male oscuro misterioso”, ma il “male di vivere”. Di conseguenza ricordare e raccontare per riattualizzare e recuperare la sofferenza del vissuto, attraverso la naturale catarsi della com-memorazione, acquisendo una maggiore consapevolezza di sè, attingendo dal passato, per la progettualità e decisionalità del futuro.
Tramite i progetti di ricerca attraverso l’animazione autobiografica, si concretizza e attualizza il nobile intento di dare voce al popolo e alle singole persone, coinvolgendo studiosi e pedagogisti di vari atenei italiani a confronto con “realtà normali e comuni”, in una rinnovata ed autentica prospettiva di educazione militante.
Il comune denominatore dei progetti di indagine e ricerca, tramite la “cultura della memoria”, diffusi sul territorio italiano, è la memoria stessa. Come sosteneva il filosofo “la memoria è l’uomo”, il cardine intorno a cui ruota il metodo di animazione autobiografico.

La scientificità del metodo autobiografico. Le ragioni del metodo autobiografico

Attraverso il racconto di sé la persona ri-corda (dal latino recordo: riportare al cuore, alla mente) gli eventi collegati al passato che si rivelano durante il colloquio autobiografico con il ricercatore/mèntore, tramite il recupero di una memoria non del tutto spontanea, ma indotta e indirizzata su obiettivi particolari: indagare la realtà soggettiva, il “pluriverso” individuale. Tale riferimento costituisce la discriminante tra l’attività spontanea e l’ambito specifico, micropedagogico, che consente di attuare la ricerca scientifica, a livello analitico.
Dunque il metodo autobiografico è essenzialmente scientifico non perché basato su dati statistici o focalizzato su una realtà oggettiva, ma riguardante l’individuo nella sua ontologica complessità poliedrica, soggettiva (si indaga il soggetto), attraverso una tipologia ermeneutica qualitativa (la ricerca dei dati sulle storie di vita) e non quantitativa: differente dalla ricerca sociologica, dall’antropologia o dall’ambito etnoantropologico.

Il recupero del passato storico individuale e collettivo come tutela della libertà soggettiva

La memoria è in sostanza il cardine del metodo. L’obiettivo fondamentale, il focus educativo sotteso alle implicite e consequenziali dinamiche metabletiche dell’autonarrazione, consiste nel recuperare, riattualizzare e far riaffiorare nelle menti memorie di eventi piccoli o grandi, antichi o recenti, degli anziani testimoni e depositari autentici di un passato preindustriale, che lentamente va estinguendosi. A causa di precisi fattori economico/sociali, le realtà esistenziali e territoriali dei paesi, nel cui ambito si spende il volontariato autobiografico, risultano disgregate, anche per imponenti fenomeni di migrazione ed emerginazione, privi di reciproca integrazione, in seguito alle trasformazioni apportate dall’ingente processo di industrializzazione, per la diffusione di un esasperato, edonistico consumismo di massa, e il verificarsi graduale dell’eclissi del sacro.
L’hinterland metropolitano risulta una realtà amorfa, fortemente individualistica, nell’accezione più narcisistica, edonistica ed egoistica del termine, a livello di rapporti sociali, interrelazionali, nel cui contesto non rimane quasi traccia di un preesistente passato rurale, arcaico, ricollegabile a comuni matrici culturali, all’identificazione in comuni radici originarie, caratterizzate da tempi e ambiti di socialità comunitaria, scanditi dal lavoro quotidiano agricolo e dalle ciclicità stagionali e liturgiche del calendario contadino.
La transizione immediata, il passaggio repentino, brusco da una società di stampo prettamente rurale, ad un contesto altamente industrializzato, accompagnato da ingenti processi e fenomeni di sperequazione e speculazione edilizia, a livello di assetto urbanistico, ha sconvolto paesaggisticamente il territorio. Queste trasformazioni repentine hanno causato gravi ripercussioni sui vissuti individuali delle popolazioni, nei contesti sociali attuali, provocando un dilagante e diffuso disagio esistenziale. L’individuo perde, smarrisce nel caos di messaggi comunicativi vacui, effimeri, in una prospettiva estetizzante ed edonistica dell’essere, la personale identità, non più abituato a recuperare la memoria soggettiva, in ambiti d’ascolto familiari, amicali, tramite un percorso introspettivo e retrospettivo autobiografico relativo al senso della storia individuale e collettiva. Tale dinamica relazionale risulta difficilmente realizzabile in una società complessa come l’attuale, deprivata del senso e significato di dedizione disinteressata all’altro, al diverso, e mossa solo da interessi speculativi nei confronti dell’individuo, priva di ambiti di relazione e di ascolto sociali, sostituiti dai mezzi tecnologici e di comunicazione di massa.
Il valore pedagogico del proposito autobiografico è sotteso alla rieducazione della collettività al ricordo, in una prospettiva riabilitativa, terapeutica di cura di sé attuabile dal soggetto in formazione, attraverso il filo interrelazionale, invisibile, impercettibile della memoria, per attingere al passato di comuni radici originarie, riappropriandosi dell’esperienza e consapevolezza individuale, al fine di comprendere e recuperare una matrice comune, un valore condivisibile, la salvaguardia dell’ambiente, il territorio, il creato, la madre terra fertile, l’antico mondo rurale, contadino, i cui momenti esistenziali, continua apicali, venivano regolati naturalmente dall’ambiente incontaminato, in sintonia con la creazione, dalla iteratività ciclica delle stagioni. In questo tempo, sospeso nell’eterna ciclicità della natura, si praticava la vita sociale, spartendo la quotidianità del presente nella comunità, in cui il soggetto riscopriva l’esigenza profonda e il terapeutico conforto del racconto di sé all’alterità.
Dunque la Libera Università di Anghiari coinvolge importanti studiosi di vari atenei italiani, accomunati dal nobile intento di approfondire le tematiche relative alla “cultura della memoria”, vale a dire il recupero delle storie di vita del popolo, della gente, delle singole persone, soprattutto anziane, uniche depositarie di un passato precapitalistico che inesorabilmente cade nell’oblio della modernità, in una rinnovata prospettiva di pedagogia sociale, di attività di animazione socioculturale e di educazione militante in diversi ambiti e contesti territoriali, attraverso un metodo di indagine scientifico basato sul racconto autobiografico del soggetto. Nei quartieri di ogni città dovrebbero esistere musei-laboratori della memoria storica per accogliere e archiviare le storie della gente che è passata. Solo riappropriandoci come popolo di una ormai confusa identità culturale ottenebrata e degradata dal consumismo esasperato, da stravolgimenti economico/sociali, apportati dagli ingenti fenomeni di capitalizzazione industriale delle risorse collettive, nel miraggio di una prospettiva di “villaggio globale” dettata e imposta dai massmedia, solo diventando attori del proprio sé, protagonisti consapevoli della personale storia di vita e di formazione, risulterà possibile recuperare i valori dell’altruismo, della solidarietà, dell’accoglienza, del confronto e arricchimento culturale interetnico, di interscambio e accettazione, non falsamente e ipocritamente tollerante, dell’altro da sé, del diverso, dell’immigrato, dello straniero portatore di cambiamento, di novità, nella certa e riconquistata consapevolezza, data dalla riflessione sul personale passato storico e soggettivo, individuale e collettivo, volta a rispondere alle domande esistenziali ultime, cardine dell’uomo: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.
Un impegno culturale di memoria autobiografica che esercita uno straordinario valore educativo, creativo, ricreativo e culturale nella sua concreta pratica di formazione permanente, riuscendo ad ottenere il fondamentale obiettivo di recuperare e di tutelare le specificità delle varie e differenti esperienze soggettive e la loro unicità. Un metodo che sa creare un argine diffuso e condiviso contro la violenta pervasività del pensiero unico veicolato dai massmedia e dall’uniformazione delle coscienze che la cultura consumistica ha l’esigenza e la pretesa di ottenere. Contro una pedagogia ed una didattica di stato che ha in odio ogni specificità individuale e che ritiene il principio costituzionale della libertà d’insegnamento un pregiudizio frutto di esigenze corporative: Contro l’ipocrisia e la falsa coscienza di una rappresentazione virtuale dell’esistenza, dove saltimbanchi, buffoni ed imbonitori uniformano la cultura popolare nel nulla televisivo. Contro l’eliminazione di ogni differenza, contro una visione monopolistica dove ogni cosa ne vale un'altra, contro un insipiente e fallimentare appiattimento della prospettiva storica su un presente ricorrente in modo ossessivo come unico luogo di concretezza del mercato, contro una prospettiva che valorizza solo ciò che ha un valore immediato ed economico…

AL DI LA’ DEL RACCONTO ORALE
Oltre la narrazione
La scrittura e l’analisi introspettiva

Le potenzialità dell’autobiografia e del racconto di sé sono sviluppate quando la narrazione diviene scrittura, che stimola consuetudini introspettive e autoconsapevoli, suscitando il ripiegamento riflessivo sul proprio sé interiore.
La scrittura della personale storia di formazione, della propria vita e esistenza, apre la psiche al mondo esterno e all’io interiore, stimolando processi di autoriflessione, per cui la rielaborazione delle dinamiche riflessive permette al narratore sempre nuove evoluzioni psichiche, riassorbendo e trasformando pensieri, sentimenti, sensazioni e stati d’animo, in un processo naturale di esperienze vissute e intuizioni, salvaguardando tutta la ricchezza della comunicazione interpersonale. La scrittura della propria interiorità offre al narratore la potenzialità di un processo di rielaborazione per tradurre le riflessioni e il pensiero autoreferenziale permetterà di trascrivere percorsi, trame di significato, tracce di pensiero interiori per una più acuta capacità di analisi e consapevolezza di sé. Attraverso la scrittura è possibile attuare un approccio ermeneutico attraverso la stessa attenzione richiesta dalla comprensione testuale, in un circolo virtuoso nell’ambito dei rimandi vicendevoli tra scrittura e pensiero autobiografico.

I momenti di transizione

Lo spazio potenziale sviluppa un sé differenziato dalla matrice ultima, ossia una più matura istanza psichica interiore, facente parte della realtà esterna, che si emancipa così dal rapporto con-fusionale con l’origine, il cosmos.
Nello spazio tra fusionalità e mondo oggettivo esterno si colloca l’area transizionale al cui interno si impara a controllare e sopportare l’angoscia di separazione ed individuazione. Con la maturazione si passa oltre il fenomeno transizionale, attraverso esperienze culturali, creative, ludiche o religiose e proprio in tali ambiti si sviluppano e si collocano le produzioni di diari e di autobiografie.
L’esperienza della scrittura rappresenta un’area di confine che crea una dialettica tra vita privata e mondo esterno.
Scrivere un diario è dunque un’esperienza transizionale imperniata di creatività, tramite cui si coglie e si avvia l’importanza della scrittura di sé nella realizzazione della personalità creatrice.

La presunta rimozione della morte

Gli scritti autobiografici attaccano la morte come distruzione della memoria e del ricordo nell’oblio, in quanto subentra in essi il riferimento alla paura della morte nella trasposizione scritta che diviene tentativo di contrastare la scomparsa assoluta, perennizzando artificialmente la vita, per esorcizzare la morte come avviene nei riti apotropaici e taumaturgici.
La scrittura autobiografica diventa un antidoto, una strategia per rubare alla morte la sua aura spaventosa, nella paura di essere dimenticati, nel timore dell’oblio che non lascia più niente di sé. L’esigenza di essere ricordati trova espressione nell’autobiografia o nel diario quali documenti permanenti della propria interiorità, come testimonianza ineluttabile e indelebile della propria esistenza, prolungando la presenza del proprio ricordo oltre i limiti della vita terrena, in una sorta di immortalità, legata al tema terrificante dell’oblio, in quanto si scrive non solo per essere ricordati, ma anche per ricordarsi del proprio io, della propria personalità ed esistenza, per fissare i ricordi affinchè non vengano eliminati dall’inesorabile trascorrere del tempo.

AUTOBIOGRAFIA PER ACCOMUNARE CULTURE E SUBCULTURE DIFFERENTI.
LA COMPLESSITA’ INTROSPETTIVA
Spazi e tempi di racconti in evoluzioni narrative.
Le trame della narrazione.

L’approccio biografico, in ambito sociologico, rimanda come scenario all’America degli anni ’20 e ‘30 con la Scuola di Chicago, la cui prassi veniva espletata tramite la raccolta di autobiografie relative al disagio urbano, con lo scopo di mettere in comunicazione culture e subculture diverse. La ricerca è supportata da interviste, testimonianze, schede autobiografiche. L’utilizzo delle storie di vita si trasforma in strumento d’indagine e di conoscenza autonomo, in una metodologia qualitativa con un’autonomia epistemologica di sfida scientifica dell’uso di storie di vita nell’assegnare alla soggettività un valore di conoscenza.
La narrazione autoriflessiva racconta vicende che si svolgono nella prassi umana. La vita è praxis di rapporti sociali trasformati in struttura psicologica e narrativa. Il metodo biografico fa scaturire un’ingente potenzialità relazionale che rivoluziona l’impostazione tradizionale dell’analisi epistemologica, come l’interazione tra soggetto e ricercatore che si collocano attivamente nel contesto della ricerca e sono implicati nel processo riflessivo e metabletico.
L’approccio autobiografico, nell’ambito delle scienze dell’educazione, diviene strumento di ricerca qualitativa perché si basa sulla soggettività, intesa come unicità e specificità. Con il pensiero della complessità, supportato dall’epistemologia sistemica, subentra la “qualità” come categoria significativa nella ricerca del metodo autobiografico, che diviene esperienza euristica ed insieme ermeneutica, in un approccio che si configura quale strumento, non solo di ricerca, ma anche di formazione. L’autoformazione derivante dalle esperienze di vita sono fondamenti del processo formativo. L’autoriflessione biografica è una modalità di apprendimento dall’autobiografia, perché permette di riscoprire se stessi tramite l’analisi di aspetti dell’esperienza troppo spesso relegati all’oblio. La pratica autoformativa del metodo narrativo costituisce un mezzo di autoriflessione e autoconoscenza quale ricostruzione e riedificazione della personale identità nella ricerca dei diversi sé del passato, grazie ad un consapevole ritorno interiore e autoriflessivo, tramite la narrazione di sé, con la possibilità di attribuire significato anche al presente, di esplicitare connessioni e rimandi del testo di una vita, per riformulare un progetto di sé. Il passato del vissuto personale trascorso non è sempre lineare e continuo, ma frammentario e discontinuo, per cui subentra la necessità di cogliere i nessi di interdipendenza o connessione, armonizzando la molteplicità dei diversi tempi di vita. Il sé, la vita, narrati dalla soggettività del narratore si declinano verso la ricerca di senso e significato nelle esperienze personali esplicate durante il rapporto tra uditore-ricercatore e soggetto-narratore, impegnati a ricercare un senso e costruire un significato dell’identità proiettata nelle tracce dei percorsi dell’autobiografia che permettono di ristrutturare immagini di sé destinate a mutare e formare, in modalità poliedriche, le polimorfe facce dell’identità personale. Il tentativo di ridefinizione e riconoscimento del sé come istanza dinamica nelle sue poliedriche sfaccettature, si genera nel racconto autobiografico, dando origine ad un’identità polimorfa, molteplice, errante, nomade, priva di stabilità e in grado di presentare svariate dimensioni. La molteplicità dell’identità non è da attribuire ad una istanza frammentaria di tipo patologico, ma ad un Io diviso nelle molteplici parti del suo sé, ovviando al rischio di disgregazione. Pur coesistendo diversi sé all’interno della psiche umana, rientra nei compiti dell’età adulta far fronte all’esperienza dell’incertezza nella difficoltà di identificarsi con le diverse parti, facendole coesistere. Il processo dell’autobiografismo tramite l’esplicazione narrativa può ingenerare processi cognitivi autoriflessivi che rendono espliciti i percorsi individuali di significazione cognitivo-emotiva della propria esperienza. La modalità di pensiero autocognitiva attiva una riflessione retrospettiva e organizzazionale a cui si combina un’attività cognitiva immaginaria e finzionale tramite cui il soggetto sviluppa una dimensione progettuale nel futuro, divenendo capace di costruire ed inventare uno spazio di vita proiettato in una dimensione futuribile. Il nesso indissolubile tra memoria e identità, tra autoriflessione e autobiografia mette in evidenza la memoria come realtà dinamica costruttiva, narrativa, tra oblio e ricordo, censure e rivelazioni, strutturata come un mosaico. L’autoriflessione biografica in età adulta favorisce un’articolazione flessibile della soggettività tramite la produzione narrativa.

La pedagogia narrativa e il disagio adolescenziale

La pedagogia narrativa e autobiografica (o della memoria retro-introspettiva) e l’insegnamento dialogico sono gli strumenti didattici ed educativi migliori per affrontare le problematiche preadolescenziali ed adolescenziali in cui gli insegnanti si trovano sempre coinvolti. La pedagogia della memoria e la didattica retrospettiva, inerente la propria autobiografia, è uno strumento ottimale anche per riconoscere il disagio nascosto in classe, e pur non essendo psicologia, questo strumento ha in parte la pretesa di cercare di sviscerare i problemi per metterli in discussione o comunque portarli alla coscienza. Ho approfondito anche a livello teorico gli argomenti inerenti il metodo autobiografico anche a livello di produzioni scritte.
Infatti il sapere autobiografico ha una sua costruzione. Il sapere autobiografico, anche a livello scolastico, indica un modo di essere più che un’azione ed è modellato su conoscenze stabilite e cumulabili, con caratteristiche di centrazione e gerarchizzazione, quale intreccio fattuale e normativo che coinvolge, crea e utilizza simultaneamente sistemi di concettualizzazioni e di valori, tramite la possibilità di riscoprire con un lavoro di metacognizione, origini e radici esperienziali delle personali conoscenze e parti delle identità cognitive. La riflessione epistemologica sul proprio operato e studio, basata sul paradigma della complessità, valorizza e scopre il rapporto con il sapere costruito all’interno del progetto di laboratorio autobiografico, modellato su seduzioni e relazioni reali, appartenenti alla trama vitale ed al contesto pratico, quale sapere costruito, prodotto dall’esperienza con le cose e dalla relazione con noi stessi. La svolta epistemologica prevede la visione del sapere come un tutto che integra sistemi e livelli di conoscenza prima ritenuti delimitati da una metodologia parcellizzante e ipersemplificante. L’autobiografia quale metodo e percorso di conoscenza e di pratica attiva, trans o metadisciplinare, attraversa e unisce tutti i campi del sapere che hanno come punto focale il vivente e come trama organizzatrice la totalità autoorganizzantesi. La biografia è un processo ontogenetico e sociogenetico proprio del percorso evolutivo di un soggetto e della sua narrazione e diviene modello e non metodo. Un modello alternativo e concreto di conoscenza, di ricerca e formazione, perché non esiste un modello senza una dinamica epistemologica portatrice di una irriducibile complessità, specie relativa alla ricerca relativa alle storie di vita.
L’autoformazione è tecnologia alternativa del dominio educativo, così come il metodo dell’intervista biografica è alternativa metodologica propria della ricerca sociale. La svolta epistemologica del modello autobiografico è passaggio dalla fiducia onnipotentistica dell’individuo tecnologico in concezione lineare, cumulativa e evolutivista. La formazione deve consistere in un saper fare. La logica della produzione si accorda male al legame della riflessione retrospettiva, quale autobiografia in quanto forma di conoscenza di sapere in senso non solo legittimo, ma anzi privilegiato. La categoria dell’autobiografico non è riducibile all’ideologia della formazione e nemmeno a pura e semplice metodologia, ma possibile istanza trans-formativa e motivazionale. Il processo di formazione tramite il metodo autobiografico diventa presa di coscienza per attivare un empowerment che scaturisce dalla scoperta di avere una tradizione, una storia, un’identità. L’epistemologia della critica in autobiografia, della comprensione e della riflessività è antidoto alla tecnologizzazione della formazione, quale pre-requisito per ogni forma di cambiamento istituzionale, anche in ricerca e in formazione, fino ad assumere connotati di dissidenza. Una importante istanza trans-formativa riscontrabile nel metodo autobiografico consiste nella ricerca di senso e significato, come la ricerca del bene, dell’identità, della conoscenza che diventano saggezza intesa come arte del vivere.
Il percorso autobiografico attraversa plurimi significati, connotati di senso, simbolismi e trame che ogni storia di vita presenta, con sensi, emozioni, rimandi diversi oltre l’uso didascalico e pleonastico delle accezioni, con nessi profondi anche nella stasi, nei silenzi, nei non detti, in tutte le note marginali della nostra esistenza. Il pensiero narrativo interpreta la storia di vita come testo presente da decodificare, quale essere altro rispetto alla vita in sé e per sé, nella questione del significato aperto a potenziali de-costruzioni e ricostruzioni. Il circolo ermeneutico con la sua infinita e costitutiva ricorsività non è solo rappresentazione dell’esistenza, ma permette un discorso narrativo che costituisce e inventa la vita. Il modello autobiografico consiste in una pratica euristica che si esplica in pensiero narrativo e discorsivo, caratterizzato da intenzionalità, sensibilità al contesto, ragionamento analogico/metaforico, in un globale processo di costruzione di senso, quale concezione ultima dell’educare.

La progettualità temporale delle storie di vita.

Nel fare storia come ricerca delle ragioni di vicende trascorse e attuali nel passato, la narrazione si configura come un non possibile e non pensato del processo trasformativo della dimensione autobiografica del progetto quale topos educativo come costruttore di un disegno esistenziale. La storia di una vita è rifigurata quale incompiutezza narrativa di riconfigurazione di una trama di storie in nozioni di incompiutezza narrativa nell’incontro con le molteplicità e le rappresentazioni di sé tramite l’identità narrativa. Il riconoscimento delle molteplicità di narrazioni possibili del progetto autobiografico e biografico che disegna la forma dell’anticipazione del passato consiste nella costruzione dinamica del sentimento di identità. La storicità del progetto ha un potere mediatore tra lo spazio e il tempo dell’esperibilità nella tensione dialettica dell’immaginazione e della simbolizzazione del prevedere, progettare e pianificare. L’esperienza apicale del margine di libertà può reinventare e risignificare l’imprescindibilità della relazione significante e significativa tra storia passata e immaginata in autobiografie e progetti, vettori simbolizzanti che non si concludono e non si esauriscono nel racconto retrospettivo. I caratteri e i bisogni latenti di riconoscimento e riorientamento consistono in tensioni tra il già avvenuto e l’ancora da realizzarsi. La riappropriazione riorientata nella relazione tra progetto e storia narrata è una condizione di apprendimento permanente, per cui il soggetto si impegna in progetti di delucidazione ed emancipazione di ricerca del topos epistemologico e vitale del processo metabletico nel racconto autobiografico. La riflessione di significati di azioni e connessioni che disegnano questa forma di storia nella riattualizzazione di significato, senza perdersi nel cambiamento stesso, si rileva in prefigurazioni di sé, parti narrative soggettive ricercate in un’immagine credibile. Il progetto è occasione di esperibilità di un’incompiutezza intinseca alla storia del soggetto, nel senso di sostenibilità, prefigurabilità e praticabilità. Il soggetto vive l’esplorazione, premettendo una prefigurazione e una precomposizione reversibili, nella tolleranza all’ambiguità e all’attuazione di abilità di negoziazione rispetto a momenti di crisi o perdita intrinseci all’autobiografia-progetto, in cui il soggetto esperisce e apprende comportamenti erranti ed erratici.

La creatività narrativa

La valenza formativa della molteplicità minacciosa e disperdente, vitale e rigenerante di un incontro esistenzialmente significativo ed educativo, rivela molteplicità e occasioni di apprendimento e cambiamento. Reinventare e risignificare l’incontro con le molteplici narrazioni di sé del soggetto nel ruolo di autore e attore, nella sperimentazione di un’autorità come progetto è importante fattore di costruzione dell’identità personale del soggetto, quale creatore di azioni e di senso.
L’identità narrativa rappresenta anche la potenzialità di interpretazione del senso della narrazione, nell’orizzonte temporale soggettivo, frammentario e multiforme, della riconfigurazione semantica nella ristrutturazione ricorsiva dei giochi della narrabilità di sé. L’identità narrante avvia l’atto narrativo significativo e significante, retrospettivo e progettuale, che incontra una possibilità, un’occasione di riconnettere nessi e logiche di senso nei ritmi e nelle forme della narrazione multidirezionale e multiritmica.

La metodologia autobiografica
Le relazioni d’ascolto nel racconto e le tecniche di ricognizione

L’intervista è uno strumento di ricognizione autobiografica che presenta vincoli e possibilità ed è utilizzabile secondo vari intrecci di linguaggi e diversificazioni legate al lessico adottato, in modo funzionale e coerente al contesto interattivo, mettendo così in evidenza, nella fase narrativa, le caratteristiche dei soggetti e gli obiettivi del percorso finalizzato alla progettualità formativa.
L’approccio autobiografico risulta adattabile e flessibile relativamente ai diversi contesti nel cui ambito viene espletato ed applicato, anche tramite l’utilizzo della tecnica dell’intervista a cui affidare la narrazione di sé e l’ascolto, da parte del ricercatore biografo, che raccoglie le esperienze dell’ascoltare e del raccontarsi nel progetto di revisione e nell’intero percorso di ricostruzione autobiografica. L’esperienza di narrazione di sé si rivela nella rivisitazione della personale vicenda di vita, per cui il soggetto autonarrantesi recupera in senso autobiografico la memoria su di sé e plurime memorie esistenziali che riattivano un metaforico viaggio nel passato da non intendersi come ripiegamento nostalgico e solipsistico inerente i tempi mitici delle oasi oniriche infantili. Le rivisitazioni autobiografiche, al contrario, riattualizzano il passato e lo rendono un bagaglio di ricordi attivi utilizzabili per agire meglio il presente ed il futuro, infatti durante il racconto il presente è interpretato e compreso dal ricercatore biografo alla luce delle tracce e delle trame dei ricordi passati. Le tracce e le trame intessute del racconto autobiografico sono frammenti di desideri, emozioni, esitazioni, parti esaltanti o squallide dell’esistenza, che aprono lo sguardo delle volute librantesi nel corso della narrazione alla riscoperta della progettualità futura

Il disvelamento della narrazione

L’autobiografia viene raccontata o scritta e dipanata nel rapporto conversazionale, ingenerando forme di riconoscimento, di autoapprendimento e autodisvelamento che permettono di costruire varie traiettorie di trame esistenziali, all’interno di un’alleanza con il narratore che aiuti a stabilire nessi ed interconnessioni tra gli indizi, gli eventi o i fatti descritti, con legami, interconnessioni che svelano il significato al disegno della trama esistenziale, di ricomponibilità interpretativa.
L’apertura conoscitiva e trasformativa lenta e impercettibile è implicata nel gioco narrativo che ingenera potenzialità di rappresentazione, comprensione e risignificazione di eventi, contesti e relazioni all’interno dell’interazione dialogica tra ascoltatore/ricercatore e narratore/soggetto che condivide tempi e spazi dell’ascolto collaborativo, quale risorsa apprenditiva, nell’ambito della quale si realizza la possibilità per il soggetto di intrattenersi con se stesso, di ascoltare il mondo interiore, di raccontarsi nelle apicalità dell’incontro dialogico. Il soggetto di una storia di vita incompiuta, riscrivibile e reinterpretabile a partire dagli eventi, dagli incontri e dagli episodi della personale esistenza, nel racconto può accingersi al recupero, al ritrovamento di tratti, tracce, trame, segmenti salienti, continua apicali, momenti cruciali e di svolta della storia di vita narrata, individuando le figure significative, la ricomposizione e l’identificazione di momenti, incontri nella molteplicità di biografie che abitano interiormente ogni soggetto narrante, in molteplici interconnessioni. Gli intrecci delle biografie affettive, cognitive, professionali e desideriali, con l’esperienza del racconto e dell’ascolto producono conoscenza ed effetti trasformativi che suppliscono al problema dell’attribuzione di senso e significato alla trama narrativa, nel problema del senso di una vita sotto il tessuto del discorso biografico e con esso la ricerca di significatività nel passato, il nesso tra la continuità e la discontinuità delle biografie interne che hanno conosciuto momenti di vitalità, pause e arresti.
La significatività pedagogica volta al ripensamento autobiografico avviene sia tramite l’ascolto monologico che l’ascolto dialogico, dinamiche relazionali che ingenerano nel soggetto apprendimento, a partire da se stesso come narratore e rievocatore da eventi di ricordi e apprendimento rimotivazionale, per il cambiamento, per la relazione. Nell’ambito del contesto narrativo del racconto, il soggetto riconsidera sé stesso, le esperienze implicite, il proprio percorso formativo, professionale e i grandi temi vitali con cui è stimolato a formulare considerazioni e riflessioni critiche autoreferenziali, al fine di far emergere la personale rappresentazione mentale della complessità di eventi, di significazioni, di situazioni nelle consuetudini del pensiero, di scelte e soluzioni, in un’elaborazione differita del contesto narrativo in trasformazioni cognitive ed operative. Nel racconto di sé si scompone e ricompone la propria storia, attribuendole voce tramite la narrazione evocativa, nella declinazione rimemorativa, a ritroso, di esigenze personali e formative, desideri, vocazioni e propensioni nella revisione di progetti di rimotivazione personale e professionale.
L’incontro dialogico matura una nuova rappresentazione di sé, di ulteriori forme d’agire, di pensabilità, investimenti emotivi e stili relazionali, nel tempo della potenzialità, dell’ipotesi metabletica, dell’autoriflessività e trasformatività, nell’ascolto che offre la disponibilità decentrativa, alla problematizzazione e alla riconsiderazione critica di sé, di situazioni, scelte e responsabilità, riacquisendo capacità di autoascolto, autoanalisi, autocomprensione e autoapprendimento.

L’approccio qualitativo.

Il metodo autobiografico prevede delle tipologie di tecniche ricognitive: l’intervista aperta semistrutturata, non direttiva e in profondità, quali strumenti di ricognizione di vissuti motivazionali, cognitivi ed emotivi nella singolarità e unicità di ogni individuo, nel lavoro di scavo interiore e di autoriflessione, ricco di suggestioni e implicazioni autoformative. Le scansioni temporali ed emotive del raccontarsi del soggetto con il ricercatore, rivelano un rapporto comunicativo asimmetrico tra chi ascolta ed accoglie il racconto autobiografico e il narratore, per cui tale asimmetria si può mitigare facendo propri atteggiamenti interpersonali, atti e comportamenti comunicativi specifici. All’interno dell’interazione narrativa non è intenzione del biografo incasellare la storia di vita in una griglia già predisposta, ma riproporre suggestioni, stimoli generici, interazioni feconde, focalizzando la rivisitazione e ricostruzione narrativa. Nel percorso di ricomposizione e di esplorazione interpretativa, le soste del proprio racconto evidenziano aspetti diurni, ossia espliciti, di superficie, socializzabili, oppure notturni, vale a dire liminali, impliciti, onirici, che organizzano il tempo della narrazione secondo un filo cronologico di associazioni di idee e situazioni.

Le modalità d’ascolto.

L’accorgimento comunicativo nell’esercizio dell’ascolto e la rivisitazione delle vicende esistenziali, con la disponibilità a condividere parti di riflessioni autoformative e rivitalizzanti, pongono le premesse per una modalità di ascolto partecipativa ed attenta nel corso della quale sono comprensibili motivi di imbarazzo e diffidenza. La disposizione dell’intervistatore quale scoperta e curiosità stimola l’ascolto-racconto all’interno del setting autobiografico, nel sé autoapprenditivo e trasformativo. Le caratteristiche di un ascolto attento e attivo nel desiderio di comprensione degli atteggiamenti relativi al codice della comunicazione non verbale, ingenerano un processo di autoapprendimento trasformativo. L’universo di credenze, di valori, di miti personali, rivela la rappresentazione e la valutazione di eventi, incontri e scelte che costellano la storia di vita personale accettata e riconosciuta in sentimenti e reazioni di fastidio o disaccordo, che la soggettività esplicita in modo diretto attraverso i gesti, le posizioni discordanti dell’ascolto autentico. L’intervistatore non si confonde simbioticamente con la persona che si pone in autoosservazione e in atteggiamenti di riflessione di modi di pensare estereotipi, con un’attenzione autoreferenziale attenta a pensieri, sentimenti ed emozioni che aprono alla decentrazione e all’accettazione di ogni narrazione di cui non interessa la verità oggettiva, ma la significatività della narrazione.

Il dialogo tra culture e subculture: la psicodinamica transculturale

L’incontro con l’alterità, soprattutto quando diviene portatrice di sofferenza e di disagio, realizza e presuppone sempre un interscambio culturale, ossia lo specifico caratterizzante dell’operatore e del malato, che si possono incontrare anche in un contesto transculturale.
Il mondo della globalizzazione sta progressivamente incontrando il processo ed il fenomeno della creolizzazione delle culture, per cui è difficile immaginare dei confini più o meno virtuali e più o meno portatori di dolore e sofferenza e disagio che suddividano il mondo in un mosaico di culture.
Dopo queste premesse risulta necessario e indispensabile prendere in considerazione il paradigma o parametro culturale nell’incontro con il paziente, indipendentemente dalle origini etniche e dalla provenienza, i cui contesti permettono di cogliere le differenze simboliche, le diversità semantiche, nell’analisi dettagliata della varietà di linguaggi, nella sofferenza e nel disagio, di matrice biopsicosociale, che spesso scaturisce in dipendenza dalle radici culturali ed etnocentriche.
La cultura è condivisione di simboli e significati, come la diversità culturale è un modo differente di considerare la propria interiorità tramite una concezione “altra” del proprio essere-nel-mondo.
Riaprire il dialogo con la diversità innesca un processo di adesione al nuovo in modo critico e riflessivo, con il risultato di attribuire senso e spessore alla sofferenza, contestualizzandola nell’ambito di una trama narrativa esistenziale e personale, nell’ambito della storia di vita del soggetto e della sua dimensione culturale, etnica, razziale.
Il disturbo psichico è ubiquitario e per ottenere una visione analitica globale dell’”altro”, non occorre solo la comprensione della sfera biologica e psicologica, ma risulta necessario valutare ed analizzare la particolare e specifica storia di vita della persona in relazione alla sua cultura, al suo specifico identitario.
L’intervento terapeutico diviene un processo di cooperazione in cui i vari ruoli attivi ed interagenti in relazione con l’alterità e in propensione verso l’altruità, contribuiscono al processo di guarigione.
E’ un errore etico assumere atteggiamenti di esclusivismo tramite il pregiudizio nei confronti dell’altro e con la difesa sterile delle proprie idee e dei personali convincimenti dogmatici. L’arroccamento sui propri pregiudizi penalizza delle capacità e qualità come la spontaneità e la creatività.
Gli stereotipi non sono verificabili di attendibilità e fondatezza, poiché non esistono dati obiettivi sui tratti di carattere dei popoli presi nel loro insieme.
Possiamo supporre che gli stereotipi rappresentino delle caricature traducenti dei sentimenti piuttosto che autentici ritratti. Per questo molte ragioni fanno preferire un’informazione su scala mondiale se vogliamo pervenire a sbarazzarci dei pregiudizi. Ovunque si formino dei gruppi i loro membri tendono generalmente a stabilire un’immagine di gruppo comune. La tendenza a valorizzarsi o a sopravvalutarsi e, di conseguenza, a minimizzare lo scarto fra l’autostereotipo e l’immagine ideale si sé, si incontra sempre in certi individui e persino in interi gruppi. A questa tendenza corrisponde il narcisismo descritto da Freud. Più si tende ad attribuire a se stessi una qualità, meno si ha la tendenza ad accordarla agli altri.
L’identità culturale non è stabile e definitiva, ma va considerata come il risultato di una trasformazione continua e progressiva. Il razzismo è una delle caratteristiche più preoccupanti dell’era industriale. Certo, la violenza tra i gruppi e i popoli, le guerre, i massacri, le ostilità non sono un fatto nuovo. L’autosufficienza, l’eccellente opinione di sé che nutrono i gruppi umani, non sono affatto specifiche del mondo contemporaneo. Il credere, l’avere la certezza inespressa, evidente, che se gli esseri umani sono raggruppati in popoli, in religioni, in culture, in gruppi sociali differenti, ciò avviene in maniera naturale, è un’opinione peculiare. La ragione del loro modo di comportarsi, delle loro reazioni, del loro mestiere, dell’economia del loro paese, risiede nell’intimo del loro corpo.
Quali che siano i meccanismi che hanno cristallizzato questa credenza, essa è ora presente in tutti i rapporti di potere in cui sono coinvolti i gruppi sociali. Dunque la psicodinamica transculturale diviene strumento e contenuto per superare i confini, i limiti, i muri, le barriere tra le razze e le culture, considerando la peculiarità dello specifico identitario una chiave di interpretazione del disagio e della sofferenza a livello biopsicosociale e ubiquitario.

IL DISAGIO ESISTENZIALE NEL RACCONTO DI SE’
La rielaborazione mentale della sofferenza interiore

La narrazione autobiografica evidenzia esplicitamente il suo potere curativo in quanto rappresenta un efficace strumento terapeutico, educativo e formativo utilizzabile con diverse tipologie d’utenza. L’esigenza dell’intimo racconto di sé scaturisce molte volte dal disagio e dalla sofferenza esistenziali e anche a livello psichico, che sfocia con l’aiuto della parola in una rielaborazione mentale medicamentosa rispetto al dolore interiore. Uno psichiatra americano, Polster, si è occupato della narrazione autobiografica e del racconto orale quale efficace strumento e veicolo emozionale utile per “scaricare l’energia accumulata” (Polster, 1988). Ogni individuo per recuperare l’equilibrio originario necessita di sublimare le emozioni intense quali il dolore, la rabbia, la paura, ma anche l’euforia per espellerle nell’ambiente esterno (esosistema) al fine di ricondurre il soggetto alla stasi iniziale, ossia allo stato omeostatico in cui si potevano evitare scompensi vivendo all’interno di un calibrato distacco emotivo. La narrazione del proprio percorso esistenziale anche all’interno di un processo di crescita concede di sfogare e sublimare stati d’animo, le emozioni, i sentimenti che spesso non è possibile esprimere, in quanto caratterizzati in semantiche negative e riprovevoli, come l’odio e l’invidia. Risulta dunque utile e necessario insistere sull’espressione dei propri sentimenti più intensi e profondi non solo per allentare la tensione, ma anche per riconoscere le proprie pulsioni e raggiungere una più intima consapevolezza ed accettazione della propria personalità. L’azione confortante arrecata dalla narrazione consiste nella potenzialità di esteriorizzare le difficoltà implicite (White, 1992) in una condizione liberatoria scaturita dall’espulsione simbolica dei fantasmi interiori, in quanto il racconto ingenera la necessaria presa di distanza, indispensabile all’accettazione e all’elaborazione dei vissuti dolorosi e problematici. In questo senso si verifica spesso nei racconti autobiografici l’uso della terza persona e la frequenza di analogie, metafore, eteronomi che costellano le narrazioni personali, come strategie per dualizzarsi e sdoppiarsi, divenendo altri da sé, proiettando simbolicamente il disagio e il dolore intimi e personali su figure vissute come sdoppiamento del narratore. Tanti racconti drammatici manifestano una spiccata qualità teatrale riconducibile nello specifico al processo proiettivo di distanziamento tramite la catarsi autobiografica, nella realizzazione di un equilibrio interiore benefico. L’aspetto lenitivo del raccontarsi non dipende dall’ambiente contestuale circostante, ma trae fonte diretta dall’autore stesso, in qualità di artefice ed attore, che agisce in modalità spontanee.

Il distanziamento esistenziale. La bilocazione temporale.

Il soggetto narratore risulta sincronicamente soggetto e oggetto della riflessione che si trasforma automaticamente in altro (Briosi, 1986) nell’ambito di una condizione rappresentata dall’omologia fra introspezione autobiografica e ritratto pittorico in cui l’artista deve alternativamente posare e dipingere, così il narratore autobiografo diventa scrittore dell’esistenza del personaggio che osserva vivere e che è contemporaneamente sé e non-sé. Questo decentramento cognitivo diviene una sorta di bilocazione introspettiva, uno sdoppiamento che permette e consente apertamente al narratore autobiografo di indagare e descrivere la propria storia di vita in qualità di spettatore come se osservasse una vita altra, ossia l’esistenza di un altro. Il distanziamento bilocativo è un atto creativo all’interno del processo narrativo che conduce il narratore autobiografo ad osservarsi con inconsueta curiosità e attenzione come se davanti a sé ci fosse un estraneo che reincarnasse tutto il proprio vissuto. Tale atteggiamento paradossale presenta un effetto positivo perché aiuta ad avvicinare ed al contempo distanziare il sé narratore dal sé narrato, rendendo potenziale il processo narrativo e facilitando il racconto. Questo sdoppiamento facilita il consolidamento del senso di sé attraverso l’accettazione dei ruoli che si sono impersonificati e delle realtà soggettive che si è diventati. La ricerca del proprio passato nelle radici del tempo può fungere da coadiuvante per illuminare il presente e la narrazione dell’attualità quotidiana permette di rivalutare il passato sotto un’altra ottica e visuale. L’introspezione autobiografica lancia uno sguardo aereo attraverso i meandri stretti, le ampie radure, le discese aspre, gli orizzonti rasserenanti delle nostre esistenze, che permette di conferire un senso globale, un ampio significato allo scenario complesso della vita, facilitando la comprensione dei nessi interconnessi, i significati profondi e reconditi, sfuggiti o non ancora compresi e accettati. La bilocazione cognitiva nel contesto narrativo si svolge in diversi livelli (Demetrio, 1994). In primo luogo come trasposizione tra la prima persona io e la terza lui o lei, il che porta a trovare una collocazione fuori di sé, dove il soggetto si autocontempla come se fosse un altro individuo. Un altro livello consta nella capacità di localizzare il proprio sé nel passato, per poi proiettarsi nel futuro tramite la dimensione progettuale, stimolato dall’autonarrazione, in una bilocazione temporale dal passato, al presente, al futuro. Il livello che comprende le dimensioni o simbologie archetipiche dell’interno e dell’esterno, coinvolge il paradigma relazionale tra vita interiore e vita esteriore, raccontando la personale evidenza sociale, nella narrazione di sé in termini di esperienze pubblicamente riconosciute e riconoscibili dagli altri. Il discorso dei personali processi psichici, emozionali e dei vissuti intimi, si deve affiancare anche alle modalità vitali esteriori. Questo ambito di intimità con se stessi viene coadiuvato, approfondito, reso fertile e mantenuto in vitale armonia dalla narrazione autobiografica.

Narcisistiche autocontemplazioni.

La dimensione narcisistica alimentata di continuo nello svelarsi del racconto, rivela nuovi interessi nei confronti della narrazione incentrata nel minimo particolare verso elementi precipuamente intrisi di egotismo narcisistico. Il racconto della personale storia di vita e del proprio sé, fa innamorare il suo protagonista di una passione positiva e generatrice del desiderio di approfondire la conoscenza interiore e introspettiva. La rinnovata attenzione finalizzata alla narrazione delle proprie istanze interiori, condurrà alla valorizzazione di aspetti, eventi, momenti ed emozioni prima dimenticati o trascurati tramite la valorizzazione delle capacità di emozionare stupire, incantare e affascinare verso i più reconditi meandri degli anfratti della psiche umana. Il racconto autobiografico rende infatti consapevoli del fascino insito nell’esistenza di ogni singola persona. L’emozione fatta scaturire dalla narrazione si svela quale valore prezioso per l’arricchimento del proprio animo intrasoggettivo come fonte di entusiasmo nuovo nei confronti dell’avvenire, in una fertile autocontemplazione (Galli) che si ripercuote sull’essere personale, presente e futuro, ampliando i canali conduttori e le vie di comunicazione, dello stupore, della meraviglia, della fascinazione interiore quale continua apicale indispensabile al desiderio di cambiare e di crescere per tutto l’arco dell’esistenza.

IL MESTIERE DI CHI ASCOLTA.
Ascoltare all’interno della clinica psicanalitica: transfert e controtransfert.

Il processo analitico consiste nella ri-narrazione di una vita, ad un altro, che è un interlocutore, l’analista, attento all’ascolto ed all’incontro con la memoria: da subito avviene l’incontro tra due memorie, quella di chi parla e quella di chi ascolta. Le diverse teorie pratiche dell’analisi, a partire da Freud e Jung, si fondano sull’ascolto come luogo ed avvenimento in cui rintracciare proprio la priorità e la fondatezza dei percorsi della memoria. Nel 1912 Freud raccomandava di porgere a tutto ciò che ci capita di ascoltare la medesima “attenzione fluttuante” e di rivolgere il proprio inconscio come organo ricevente nei confronti del malato che trasmette. La difficoltà di questo modo di procedere sarà sempre più problematica, tanto da definire la professione dell’analista un compito impossibile dopo l’educare ed il governare. All’interno del setting, la relazione analitica diventa transferale o meglio cotransferale fin dall’inizio. Per entrare subito nella definizione della pratica dell’analisi, questa è una costruzione comune, una co-creazione in cui i due partner, l’analista e l’analizzato scrivono assieme una verità narrativa, basata sull’incontro, sulle emozioni che affiorano, sulla memoria come organo vivente che ri-narra, ri-racconta e trasforma il ricordo in presenza. L’analisi è

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