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Sulla questione dell’immigrazione e della sicurezza

di Francesco Paparo

Tante parole dette da più parti. Ma troppa superficialità utilizzata fin d’ora nell’affrontare il problema.

In questi giorni assistiamo a recrudescenze xenofobe supportate da simbologie storiche obsolete che possano giustificarne l’aggressività e fornirne il supporto ideologico. Inutile dire che chi rompe le vetrine e prende a calci gli immigrati, nulla ha a che vedere con ideali, ideologie e disegni politici. È solo delinquenza che sfoga la sua valvola sul prossimo. Di qualunque colore esso sia. Solo che se pesti un immigrato fa notizia, mentre se scippi una vecchietta finisci su un trafiletto.
Anche così descritta, sebbene logica, questa questione non trova una sua completa giustificazione coerente con la realtà Italiana.

Ma allora dove sta la radice di questi mali che cominciano ad affliggere pesantemente l’ordine pubblico e la tolleranza di cui l’Italia in questi decenni è stata, nel bene e nel male, paese del “bengodi”?

Che gli immigrati clandestini vengono in Italia per l’impunità e per la carenza di controlli è innegabile. Hai voglia a dire che chi fa danni e alimenta il crimine è solo una piccolissima percentuale di stranieri. Sono molti, troppi quelli che delinquono e, purtroppo, troppo bene si confondono con i veri lavoratori onesti, che pure sono tanti e che fanno doppie spese della situazione.

Svantaggi dai connazionali malandrini e svantaggi dagli Italiani diffidenti.

Ma non è tutto. È chiaro che la regia di tutto questo scempio sta nelle organizzazioni criminali “nostrane” che sfruttano ad arte la situazione per incrementare la manovalanza delinquenziale al fine di perseguire i propri scopi malavitosi. È chiaro, infatti, che il reato commesso da un “fantasma”, che non esiste sulla carta, è molto meno individuabile e punibile di un reato commesso da un noto “delinquente abituale” nostrano, magari schedato e pluri- pregiudicato. Qui sta il nodo della vera questione sicurezza. Non sono gli episodi che oggi riempiono cronache quotidiane altrimenti mezze vuote di notizie.

Inoltre, non ce lo dimentichiamo, se è vera la frase che “business is business”, l’immigrazione clandestina, frutta anche un bel gruzzoletto alle basi Italiane che sfruttano e regolano economicamente il fenomeno degli sbarchi e della successiva dispersione dei clandestino sul territorio nazionale.

È palese che le nostre frontiere sono un colabrodo. Ce l’ha detto diverse volte anche l’Europa, spesso vero obiettivo di arrivo dell’immigrato clandestino, che il più delle volte usa l’Italia solo come un transito per la vera meta.

Facciamo bene a paventare (ma anche, si spera, a concretizzare) misure legislative serie e dure per l’immigrazione. Ma dobbiamo anche essere coscienti che prendersela con l’immigrato, spesso, significa solo dare una “limatina” alla punta di un iceberg. Utopistico sarebbe credere di poter risolvere la questione in questo modo di superficie. Il fenomeno va abbattuto alla base e non sfoltito di volta in volta alle estremità.

Sulla questione della tolleranza, che si affievolisce sempre di più, il problema, a mio avviso, è sociologicamente semplice nella sua complessità.

Chi invoca integrazione ha studiato la storia e i suoi fenomeni. Ha imparato la cultura e l’ha metabolizzata. Conosce il grande fenomeno dell’immigrazione inserito nel contesto macro-economico in cui si colloca. Sa, in parole povere, che gli immigrati (quelli buoni …) ci servono per mandare avanti l’economia e per svecchiare un paese, come il nostro, fatto di pensionati aggrappati al potere ed attaccati alla previdenza.

Tutto filerebbe a meraviglia se non fosse che il compito dell’integrazione vera, quella delle strade e dei condomini, quella delle fabbriche e dei mercati rionali, è affidata a chi non ha avuto la possibilità di raggiungere elevati livelli socio- culturali e che non gode degli stessi benefici di quell’èlite che pontifica dagli attici dei quartieri- bene e che non vede campi rom e palazzi comunali se non in fotografia o col telescopio.

La messa in pratica del messaggio culturale più alto di una Nazione è affidato a chi nasce, cresce e muore nel degrado e nell’immondizia. Nel dimenticatoio della disoccupazione della precarietà. Ed è risentito per tutto. Anche per gli immigrati.

Ma come possiamo pretendere che non si verifichino situazioni anche peggiori? Ci è andata fin troppo bene. Non vi pare?

In pratica, questi intellettuali improvvisati dicono “aramus” pretendendo di infondere tolleranza in chi non capisce (perché non gli vengono forniti gli strumenti) ed è incazzato perché lo “straniero” gli frega il portafoglio e lo precede nelle graduatorie degli asili nido.

Mandiamoli a fare proseliti in un campo rom messo in qualche quartiere-bene, questi intellettuali. Vedrete come se la danno a gambe tra topi ed immondizia. Talora meglio il silenzio che l’eloquio a sproposito, non credete?

Se è vero che il degrado, la paura e l’aggressività vengono direttamente dall’ignoranza, vogliamo impegnarci veramente, culturalmente, ad insegnare ai nostri figli (a tutti i figli) il discernimento tra il buono ed il cattivo? Vogliamo cercare di comunicare, nelle scuole, quanto c’è di buono nella buona immigrazione e che cos’è il fenomeno della delinquenza in tutte le sue articolazioni tentacolari?

Tanta gente non sa neppure che la Romania è in Europa, ma moltissimi non sanno neppure chi sono i Romeni e dov’è la Romania …

Vogliamo migliorare le condizioni economiche di chi sta male a cominciare dagli Italiani?

Solo una Nazione che si tollera e si piace può mandare messaggi di tolleranza e di integrazione. Solo così. Ve lo dice uno che in periferia ci vive. E queste cose le vede. E le sperimenta tutti i giorni sulla propria pelle.

Questo è il vero scandalo. E la vera “questione immigrazione”. Credetemi, non ce ne sono altre.(www.agoramagazine.it)

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