INTERVISTA INEDITA ALLA MADRE DI PEPPINO IMPASTATO

In memoria di Peppino e Felicia… A tren’tanni dalla morte di Peppino Impastato, ho il piacere di render pubblica una inedita ed integrale intervista, risalente all’ormai lontano 2001, alla Signora Felicia Bartolotta, madre di Peppino Impastato, giovane vittima della mafia.L’intervista fu realizzata dal sottoscritto quando ancora era un giovane studente liceale, grazie alla collaborazione di un docente davvero “speciale” che ho avuto la fortuna d’incontra re: Salvo Vitale, amico e compagno di lotta di Peppino.Ho scelto di divulgare tale intervista, i cui nastri per anni sono rimasti conservati nel cassetto, per ricordare l’impegno di Peppino tramite un punto di vista particolare, in quanto intimo e femminile: quello della madre Felicia.Ciò che colpisce è il tratto umano tracciato di Peppino e del suo quadro familiare.Felicia, in tutti questi anni, ha dimostrato una straordinaria forza interiore, la stessa che le ha permesso di superare mille acciacchi personali e altrettante ostilità comuni, per raggiungere finalmente -e prima di morire, così, serenamente- l’obi ettivo cui ha dedicato tutta quanta la sua vita: ottenere “giustizia” per l’ingiusta ed indimenticabile morte del figlio (ottenuta, dopo troppi anni, con la condanna di Tano Badalamenti quale mandante dell’omicidio Impastato). Gaspare Serra P.S.:Preciso: 1- che il dialogo è semplice, molto schietto ma certamente sincero e persuasivo2- che le risposte originali di Felicia sono poste in tratto corsivo3- che, per correttezza e fede alla sua esatta parola, ho preferito mant enere il tono strettamente dialettale della Signora Bartolotta4- e che, per chi non conoscesse bene la lingua siciliana, ho affiancato le sue risposte con una traduzione in italiano (tra parentesi) il più possibile attinente alle parole usate da Felicia.Mi scuso anticipatamente se non sono riuscito, specie in alcuni passi, a trascrivere eccellentemente il parlato siciliano, cosa cui non sono molto avvezzo…———————————————————————————————————————————————— Dalle dirette parole della “Signora Impastato” Premessa:M’aviti risuscitato me figghiu: con queste parole la madre di Peppino aveva accolto la delegazione della Commissione parlamentare antimafia che gli ha consegnato la “relazione Spena”. Quelle parole di liberazione –disse, allora, Michele Figurelli, senatore e componente della Commissione parlamentare- mi hanno dato una grande emozione. Vi ho sentito condensarsi l’amore, il dolore e l’intelligenza di Felicia Impastato. E’ stato Badalamenti ad uccidere mio figlio. A Cinisi lo s anno tutti. Mio figlio da Radio Aut parlava contro la mafia e contro Tano Badalamenti: così Felicia ha esordito al processo contro Tano Badalamenti, cui non è voluta mancare per nessun costo, davanti la presenza impassibile (in video conferenza) del boss, parole coraggiose ricche di grande dolore per quel vuoto causato dalla perdita del figlio. Da queste parole, come da tutta la sua vita seguita a quel 9 maggio del 1978, non traspariva un sentimento di vendetta: ad emergere è sempre e solo stato un forte, incancellabile desiderio di GIUSTIZIA: la volontà di vedere, uno per uno, condannati i mandanti ed esecutori della terribile uccisione del figlio. Volontà che le ha dato la forza di voler essere presente a tutti i costi al tanto atteso processo, nonostante i mille acciacchi della sua età e le tante difficoltà a cui Lei è dovuta andare incontro. Adesso Felicia riposa in pace, serena nell’animo per la consapevolezza di aver fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per aiutare la memoria del figlio Peppino, mostrando con ogni persona sempre e solo gioia nel parlare di suo figlio, nel raccontare e raccontarsi con tanta disinvoltura. La stessa gioia che mi ha trasmesso nel corso del nostro incontro, che non potrò dimenticare facilmente… Intervista:Domanda (D): Signora Felicia, per cominciare vorrei ringraziarla per avermi permesso di intervistarla e per la sua disponibilità. Benché il “Corriere della Sera” del 30 agosto 2000, pubblicando una sua intervista, ha annunciato che la madre di Peppino Impastato parlava allora per la prima volta, tutti possono riconoscere che Lei, dalla morte di suo figlio, fin dall’ ’86, col libro “La mafia in casa mia”, ha parlato di lui, mostrandosi disponibile a raccontarsi. Come avrà ben capito, è Giuseppe Impastato (o, per meglio, Peppino, suo figlio, come preferiamo ricordarlo) il protagonista di questa intervista: la sua persona, la sua vita, il suo impegno nella lotta contro la mafia. Da poco, per dirle la verità, ho avuto modo di conoscere la storia di Peppino, anche grazie al prof. Salvatore Vitale, compagno di Peppino e mio insegnate, e alla visione del film “I Cento Passi”… Risposta (R): Una medicina, ci vulia veramente.(E’ stata come una medicina, ci voleva veramente questo film) (D): Iniziamo a parlare p roprio di questo. Secondo Lei, il film di Marco Tullio Giordana, incentrato sulla figura di suo figlio, come ha aiutato i giovani a conoscere la sua storia e a rendersi conto di ciò che è stato e ha rappresentato la vita di Peppino, da molti dimenticato? “I Cento Passi” sono serviti a qualcosa? Hanno smosso le coscienze della gente? (R): Si, si! I Cento Passi fici movere la gente, picchì vere e proprio non conoscevano la veru storia. Eo a lu regista ci risse: nuatre avemu a fare un film all’interno della famiglia, no cu la politica, la politica nun c’entra cchiù nente, picchì i cinisara u’ nni capiscino nente: quannu ci mittemu la politica già il film era finito! Semu raccordu? Era finito. Fici movere tantu il cuore dei cinisara, e un sulu dei cinisara ma di tutta l’Italia, picchì è la veru rialtà! (Si, si! Il film “I Cento Passi” ha scosso la gente, perché, in realtà, non conoscevano la vera storia. Io dissi al regista: noi dobbiamo realizzare un film incentrato all’interno della famiglia, non un film politico, la politica non c’entra più nulla, perché i cinisensi non ne capiscono nulla: se ci avessimo fatto entrare la politica, già il film era destinato a fallire! Ci siamo intesi? Il film ha scosso il cuore dei cinisensi, anzi, non solo dei cinisensi ma di tutti gli Italiani, perché non è altro che la vera realtà) (D): Dunque il film ha rappresentato semplicemente… (R): La verità. (D): Lei ha visto il film? (R): Na vota sulu mu vitti, però il principio propria non l’ho visto. Vitti quannu l’attore era Giuseppe piccolo chi andava nnu pitture. Ri ddoco cuminciave a virilo. Mi hanno chies to si era na cosa giusta. E io ci risse che era una cosa giustissima ed era la verità. Quannu me marito, per esempio, hio america, fici ca hio a chiamare a me nora e ci rissi: sai, vo venere a manciare stasera a casa mia? E allora vinne me nora. Cunsamo a tavola, però l’atteggiamento di mio marito non mi piaceva. No, picchì vitti ca so frate l’avia purtato cu la machina e purtao due valigie. Però suo fratello non è entrato in casa. Allora sospettave eo, e dissi: cosa c’è?(Una volta sola l’ho visto, ma non propriamente dal principio. Ho visto quando il protagonista, che interpretava Giuseppe bambino, andava dal pittore. Da qui ho cominciato a vederlo. Mi hanno chiesto se rispecchiava la realtà. Ed io ho risposto che era eccezionale e rappresentava la pura verità. Quando, ad esempio, mio marito si è recato in America, il quale è andato a chiamare mia nuora e gli disse: vuoi per caso venire a mangiare stasera a casa mia? E allora è venuta mia nuora. Abbiamo apparecchiato la tavola, però l’atteggiamento di mio marito era un po’ strano. Non era normale, perché ho visto che suo fratello l’aveva accompagnato con la macchina e aveva portato due valigie. Però suo fratello non è entrato in casa. In questo stesso momento io ho avuto dei sospetti e mi sono chiesta: cosa c’è sotto?) (D): Il fratello di suo marito, di cui parla, chi era nello specifico? (R): Pippino Sputafoco. Beddu era!(Peppino detto “Sputafuoco”. Una persona perbene!) (D): Questo accadde prima che suo marito andasse in America. (R): Si, prima. E poi mi rice: “u sai, preparami l’indumenti, è cosa ca ha partere”. Ma ne ca ci dummannave. Però dice: “si vennu a gente ci rice ca sugnu per affari di negozio…”. Va bene, ci risse. Poi se ne parla. E partiu. L’indomani venne me niputi Susann a e mi vinni a dire: “u sapi –rice- to marito unne? In America”. E chi m’interessa, ci risse. Un m’interessa proprio, picchì a mia sta cunfirenza non me l’ha dato.(Si, prima. E poi mi disse: sai, devi prepararmi gli indumenti e lo stretto necessario perché devo partire. Ma io non ho chiesto nulla. Ed inoltre mi disse: se mi vengono a cercare gente, digli che sono fuori per affari del negozio. Và bene, gli ho risposto. Poi se ne parla. E così è partito. L’indomani è venuta mia nipote Susanna e mi ha detto: lo sa sua marito dov’è? In America. E cosa mi importa, le ho risposto. Non mi riguarda minimamente, perché a me non mi ha rivelato nulla) (D): Non vorrei essere indiscreto, ma le chiedo: partendo per gli Stati Uniti il capofamiglia, suo marito le ha lasciato un pò di soldi per gestire le spese familiari? (R): Nna lu mussu! Niente! Perché suo fratello cciù proebeva picchì ci ricia: “nun ci rare sordi na li manu ridda, picchì senno ci li runa a so figghio”. Io ero come una schiava per mio marito. Ero sotto una dittatura! (Nemmeno per sogno! Niente! In quanto suo fratello glielo aveva proibito, dicendogli: non dare soldi nelle sue mani, perché altrimenti lei li dà a suo figlio. Io ero come una schiava per mio marito. Ero sotto dittatura!) (D): Dunque Luigi Impastato ha affrontato un viaggio transoceanico senza dirle nulla. (R): Partio, sapiddu si circao protezione pi so figghiu. Socco circao sapiddu, poi ri ddà sinniu a la California. I so nipote quannu lu vittiro spuntare ci rissero: “ma chi vinne a fare?”. Si immaginavano: forse è ricercato dalla Giustizia. Dici “no, siccomu me figghiu parla male di la mafia lu vonnu ammazzare”. E iddo ci risse: “hannu ammazzare a mia e no a me figghiu”. Vero accussì ci risse. Me marito, sinniu a l’America, chiddi mu vinnero a cuntare. E’ vero così. E ammazzaro a me marito. Ccà c’è u giallo.(E’ partito, chi lo sa se per cercare protezione per suo figlio. Non so cosa è andato a fare in America, poi da lì se n’è andato in California. Quando i suoi nipoti lo hanno visto arrivare senza preavviso gli hanno detto: ma che è venuto a fare? Tra sé pensavano: forse è ricercato dalla legge. Egli rispose: no, ma, siccome suo figlio parla male della mafia, lo vogliono ammazzare. E poi ha continuato: devono ammazzare prima me e non mio figlio! Gli ha detto veramente così. Mio marito se n’è andato in America, in quanto me lo hanno rivelato. E’ realmente così. E hanno ammazzato a mio marito. Su questo punto c’è un giallo ancora irrisolto) (D): Lei, allora, è convinta che la risposta che ha avuto suo marito è stata che non potevano assecondarlo nella sua richiesta? (R): Un osso duro era me marito. Ora mu vo rire tu, Salvatore, come va a finire cu chistu mortu (Vito Palazzolo) la causa ri chistu r’America (Badalamenti)? (Mio marito era un osso duro. Ora, me lo vuoi dire tu, Salvatore, come andrà a finire, con questo morto -Vito Palazzolo, morto nel Dicembre 2001- il processo in corso di questo dell’America -Di Badalamenti-?) Salvatore Vitale: Giorno 15 gennaio ci sarà l’ultimo atto, l’ultima requisitoria del processo, e poi, sarà questioni di giorni, ci sarà la sentenza. (R): Io sapiddu, non lo so, sugnu in attesa di qualche cosa…(Io sono incerta, non lo so, sono in attesa di qualche cosa…) (D): Perché sembra preoccupata? Crede che Badalamenti potrà non essere condannato? (R): Si, si, haio sta paura. Non lo so. Però che se lo tengano, per lo meno, in America. Un vose parrare iddo, ultimamente, un vose parrare, picchì da ora lu misero come mafiusu. Ma iddo rici: “ma io chi sugnu mafiusu?” Sunné mafiusu è malandrino!!! (Si, si, ho questo timore. Non lo so. Che almeno, però, lo tengano carcerato in America. Ultimamente lui non ha voluto prendere parola, non ha voluto parlare -nel processo-, perché ora l’hanno imprigionato come mafioso. Ma lui si difende dicend o: né che io sono mafioso? E se non è mafioso è un bel malandrino!!!) (D): E se fosse condannato Badalamenti sarebbe fatta giustizia definitivamente? Lei sarebbe soddisfatta? Potrebbe dire di aver conseguito finalmente, pur se dopo così tanto tempo, il suo obbiettivo? (R): Si! N’summa, haio stato soddisfatta, come quannu vinnero chiddi della Commissione antimafia, fu na cosa positiva. Viri ca fu na cosa positiva, picchi c’erano reci parlamentari di tutti i partiti. Reci parlamentari, e purtaro documenti, cose, tutto quello che non a vevano fatto la polizia e tutto.(Insomma, io sono rimasta soddisfatta, come nel caso in cui sono venuti quelli della Comissione antimafia, è stato una cosa positiva. Vedi che è stata una cosa positiva perché c’erano dieci parlamentari di tutti i partiti. Dico dieci parlamentari, e hanno portato documenti e cose varie, tutto quello che le forze dell’ordine non avevano fatto in tempo dovuto) (D): Senta signora, ora vorrei chiederle semplicemente, senza retorica: chi era Peppino per lei? Cosa ha rappresentato? (R): Un eroe è stato!!! Non aveva paura. Io ci riceva: Giuseppe -quanno me frate m’infuscò la testa dicendomi: “u sai, viri ca Giuseppe parra male di la mafia e sta facendo u giornalino”- chi foco ranne, rissi -perché me marito era aggressivo, ne ca capeva ragione. Allura ci rissi: Giuseppe, ma chi cummini? “No nente”, mi rispunnia. Stà attento, tu u sai a quali famigghia appartene, e non pò essere tu fare questa cosa. Tu ti lauri, sturii, ti fai un partito, poi magari chiddu chi vo fare fai, ma accamerora nnun po’ essere. Inutile, c’era poco da fare. Era così accanito, picchi me figghiu giustamente fu bloccato. Me figghiu stava manciannu a casa mia e trase Sputafoco. “Oh Giuseppe -ci risse- finalmente finio la scola”. Si. “Chi facoltà pigghi”. Giurisprudenza. La sua er a questa. Un vulea sentere professura, un vulia sentere medicina, un vulea sentere ingegneria, niente. Giurisprudenza, la legge.(E’ stato un eroe!!! Non aveva paura. Io gli dicevo: Giuseppe -dopo che mio fratello mi ha istigata dicendomi: lo sai, stai attenta perché Giuseppe parla male della mafia e sta realizzando un giornalino- che disgrazia, dissi -perché mio marito era aggressivo, non voleva sentire alcuna ragione. Allora gli ho detto: Giuseppe, ma cosa commini? “No, niente”, mi rispondeva. Stai attento, tu lo sai a quale famiglia appartieni, tu non ti puoi permettere di fare queste cose. Tu devi laurearti, studiare, farti una posizione, poi magari quale strada vuoi seguire seguirai, ma in questo momento non può essere. Inutile, c’era poco da fare. Era così accanito, per questo mio figlio è stato giustamente fermato. Mio figlio stava mangi ando a casa mia quando entrò Sputafuoco. Oh Giuseppe, gli disse, finalmente è finita la scuola. Si. Che facoltà vuoi intraprendere? Giurisprudenza. La sua era questa. Non voleva nemmeno pensare di diventare professore, non voleva saperne di medicina, non voleva saperne di ingegneria, niente. Giurisprudenza, la legge) (D): Lui in seguito si iscrisse alla facoltà di Filosofia, nonostante tutto… (R): Si, ma iddo in principio cchistu ricia. “Tu non la poe fare” -doco ti sento a dire fu bloccato-. Ci ri cea: tu non lo puoi fare. “E picchi?”. Picchì to patri è pregiudicato. Mi taliao. “Perciò -rici- ha cchiancere i peccati ri me patre?” Purtroppo si. Di tannu in poi (“allura” -rici- “cumanna vero la mafia?!”) attaccao cù sta mafia, nun la sopportava propria.(Si, ma egli in principio aveva questa intenzione. Tu non la puoi fare. Per questo, ti dico, è stato fermato. Ci dicevo: tu non la puoi fare. E perché? Perché tuo padre è pregiudicato. Mi ha guardato: perciò, mi disse, devo pagare gli errori di mio padre? Purtroppo si. Da allora in poi, così, disse: “ma allora comanda vero la mafia?!”. Da allora l’ha avuta contro la mafia, non poteva sopportarla!) (D): Lui intendeva intraprendere la carriera di giudice o quella di avvocato? (R): Non lo so, lui diceva: la legge. (D): Quindi uno era e rimase il suo cavillo: il rispetto della legge. (R): Si si. (D): Questo contro gli interessi della famiglia, contro quello che gli era consentito… (R): Si. Ora vi cuntu chissavutra cosa. Nna sira vinni me marito. Rici: “ama ghiri a fare na visita”. Ma siccomo io leggeva sempre le cose di Giuseppe, vitti scritto che avia fare un comizio. Giusto giusto stasera -ci risse- io mi sento male, nun vogghio nescere. Ma intan to –rici- ama ghire a fare na visita. Aviamo attraversare a piazza. Pazienza. E c’era Giuseppe -lo posso ricordare- cu un magghiune grigio, misu ddà e la piazza piena, piena, piena, picchì molti ci avano pure pi la curiosità, pi ‘gghire a sentere. Mamma mia, nun rricanuscio a so figlio, picchi ricia “signore aiutatemi picchì asenno lo ea ad afferrare”. “Talea chi ragazzo -ricia- a st’età si farà strata cu tutta sta gente”, e io zitta ca nun dicea nulla. Nsumma, ma fici franca. Poi ritornammo a la casa e sento che aveva ancora l’impressione di ddu ragazzo che aveva tutto du popolo d’avanti. (Si. Ora vi racconto quest’altra cosa. Una sera è tornato da fuori mio marito. Così disse: “dobbiamo andare a fare una visita”. Ma siccome io leggevo sempre le cose di Peppino, ho lett o che doveva tenere un comizio. “Giusto giusto stasera”, gli ho risposto, “mi sento male, non voglio uscire”. Nonostante tutto, ha insistito: “dobbiamo fare una visita”. Dovevamo, perciò, attraversare la piazza. Pazienza. E c’era Giuseppe, lo ricordo ancora, con un maglione griggio, lì con la piazza piena, piena, piena, perché molti ci andavano pure per la curiosità, per andare ad ascoltare. Mamma mia, non ha riconosciuto suo figlio, perché dicevo: “signore, aiutatemi altrimenti” -mio marito- “va ad afferrarlo”. “Guarda che ragazzo”, diceva, “a quest’età si farà strada con tutta questa gente”, e io zitta senza dire nulla. In conclusione, l’ho fatta franca. Poi ritornammo a casa e sentivo che aveva ancora l’impressione di quel ragazzo che aveva tutta quella gente ad ascoltarlo) (D): Dunque non si è reso conto e né è venuto a sapere chi fosse. (R): No. (D): Però non ha potuto evitare che si trovasse tra le mani l’articolo di suo figlio con il titolo: “La mafia: una montagna di merda”… (R): Si, si, nù giornalino, ma come ci io a finire, picchì io subito niscive quannu fu ri stu giornalino, chi me frate rice: “viri ca lu io a consegnare”. Ma io niscivi, picchì tannu c’erano gli Sgrò, c’era chistu ri mastru Niddu Maltese, mi vistivi e partivi. Ivi ni li Sgrò (due componenti del gruppo di Peppino) e ci risse: “vogghio sapire sstu giornalino unnio a finire”. “No signora” -rice- “lu strappamo, lu ficimo”, nsumma mi fici a capire: ci giuro ca nun esiste più lo giornalino. “Stamo attenti -ci risse- e lu cumparemo”. Ma intanto spuntao stu giornale! (Si, si, nel giornalino, ma non so come ha potuto averlo tra le mani, perché io subito so no uscita quando sono venuta a sapere del giornalino, perché mio fratello mi ha detto: “stai attenta perché è andato a consegnarlo”. Ma io sono uscita, perché allora c’erano gli Sgrò, c’era don Niddu Maltese, mi sono vestita e sono uscita. Sono andata dagli Sgrò -due compagni di Peppino- e gli ho detto: “voglio sapere dove è finito questo giornalino”. “No, signora”, mi hanno risposto, “lo abbiamo strappato, lo abbiamo già fatto”, in pratica, mi hanno fatto capire: vi giuriamo che non esiste più copia del giornalino. “Stiamo attenti”, li ho ammoniti, “se lo facciamo ricomparire”. Intanto è venuto fuori lo stesso questo giornalino!) (D): Nel suo rapporto con suo figlio e suo marito, cercava di far distogliere Peppino dal portare avanti le sue lotte? (R): Si, si, “leva a mano” ci riceva, picchì io lu immaginava ca a me figghio lu ammazzavano, e c’è poco da fare. Si, picchì una sera me marito turnava du negozio e lo sento chiamare da don Masi Impastato. Rici: “Luigi aspetta” -e allora io astuto la luce e mi metto dietro la parmiciana- “senti -rici- c’era to figghio chi faceva un comizio e poi risse “abbasso la mafia”. “To figghio” -rici- “se fusse me figgiu farei ‘u fosso e l’urbicasse”. Affaccio eo, cui capiddi n’all’ario, e ci risse: “ha fare a prova ora ora ora, fallo, fa finta che è to figghio”. Ma di sti lotte quanto n’aveva. Continuamente!(Si, si. “Lascia perdere”, gli dicevo, perché io lo immaginavo che a mio figlio lo ammazzavano, e c’è poco da fare. Si, perché una sera mio marito, mentre tornava dal negozio, lo sentivo chiamare da don Masi Impastato. Dice: “Luigi, aspetta”. E allora io spensi la luce e mi misi ad ascoltare dietro la persiana. “Senti”, disse, “c’era tuo figlio che stava facendo un comizio e poi ha detto: abbasso la mafia. Tuo figlio, se fosse mio figlio, farei una buca e lo seppellirei!”. Allora io esco fuori, con i capelli scompigliati, e gli ho risposto: “fai la prova adesso, subito, fallo, fa finta che è tuo figlio!”. Quante di queste battaglie ho dovuto combattere… Continuamente!) (D): Questo Masi chi era? (R): Parente di mio marito, ma era, ti pare chi era. Strascina quacina!(Era un parente di mio marito, ma non era nulla di speciale. E’ tutta gente che non vale un soldo!) (D): Com’era il rapporto di suo marito con suo figlio? Si è interrotto prima che nascesse? (R): Me maritu non aveva la capacità d’assittarese e chiacchierare, no, sempre aggressivo: como n’tise di Giuseppe cca faceva un comizio rissi subito: “fora ri casa!” Quanto tragedie faceva…(Mio marito non aveva la volontà di sedersi e discutere attorno ad un tavolo, no, era sempre aggressivo, quando ha sentito che Giuseppe aveva tenuto un comizio ha detto subito: “fuori di casa!”. Quante questioni faceva…) (D): Ho avuto modo di conoscere la vita d i Peppino specie grazie alla visione del film “I Cento Passi”. Un personaggio che mi è parso abbia svolto un ruolo di fondamentale incisività nello stimolare e appoggiare le lotte di suo figlio mi è sembrato essere il “pittore” di Cinisi, Stefano Venuti, colui che fonderà il Pci in paese e che rappresentò, almeno a quanto ho inteso, un punto di riferimento per Peppino. Che ruolo ha svolto, nella vita di suo figlio, il Venuti? In che modo ha influito sulla crescita in lui di uno spirito critico così ribelle? (R): Si, ra scola rinn’iddu veneva, ri Venuti. Appena ragazzino si lu purtava a li comizi (Si, veniva dalla sua scuola, da quella di Venuti. Appena ragazzino, se lo portava con sé ai comizi) (D): Venuti lo ha spinto a fare ciò che ha fatto o lui stesso ha nutrito uno spirito antimafioso? (R): Si, si. Aveva uno spirito di antimafia. Salvatore Vitale: Venuti è uno, come dire, tra tanti: non è da considerare proprio il suo padre spirituale. Peppino ha avuto un a sua strada autonoma. Anche suo zio, il fratello di Felicia, Matteo Bartolotta, era socialista, e Peppino ha abitato a lungo con lo zio. (D): Dunque da bambino Peppino stava con suo fratello? (R): Si, si. Nnà sta casa.(Si, si. In questa casa) Salvatore Vitale: proprio grazie a questo ha ri cevuto un’educazione diversa… (R): Iddo nascio con un’altra educazione, nnun stava a casa mia, stava in questa casa, perciò non aveva la mentalità del padre, nnun pigghiava li versi di suo padre. Mentre c’era me frate, insumma, la varca va. Poi murio me fratello, allora, rissi, m’è cascata la casa di sopra.(Egli è nato con un’altra educazione: non stava in casa mia, stava in questa casa, perciò non aveva la mentalità del padre, non assumeva i comportamenti del padre. Mentre era in vita mio fratello, tutto sommato, la situazione andava avanti senza difficoltà. Poi è morto mio fratello, allora il mondo mi &egrav e; crollato addosso!) (D): La sua famiglia non aveva nulla a che fare con quella Impastato? (R): Non ci piaceva manco la mafia, a mio fratello, ma mica si esponeva: ci riceva di finirla a me figghiu, ma non ci piaceva mancu, era puru contro sta gente, ma non si esponeva di niente. (Mio fratello rinnegava la mafia, ma non si esponeva, diceva a mio figlio di finirla, ma non accettava neanche la mafia, era contro questa gente, ma non si esponeva per niente) (D): L'attentato in cui morì Cesare Manzella, zio di Peppino, assurge ad evento-chiave nella vita del quindicenne Peppino: Lì fu colpito Giuseppe: sai quando ammazzano un agnello? Brandelli di carne li hanno trovati appesi su un albero -lei ha scritto. E Pepino si informava con suo zio: Zio – diceva – ma che cosa ha potuto provare?. Figlio, sono attimi, gli rispose suo fratello. In che modo il trauma della morte dello zio, a cui Peppino era molto legato, ha influenzato il nascere in lui di un sì forte sentimento antimafia? La morte dello zio ha rappresentato un evento cruciale nella vita di Peppino? (R): Si, picchì si parrava: Peppino io a assistere a di trageria chi c’era, ossa, brandelli, pezzi di carne. Allora ci risse: “zio”. Chi è Giuseppe? “Me lo voi rire: la società è formata di questa gente?” ‘U taliò e ci risse: si, è di questa gente la società formata. S’impressionao a virere dda tragedia, tutta da carne umana iccata piddaccusì. Iddo io nun sugnu ancora impressionata?!(Si, perché si parlava: Giuseppe è andato ad assistere alla tragedia avvenuta, ossa, brandelli di carne ovunque. Allora disse: “Zio?”. “Che c’è Giuseppe?”. “Dimmi una cosa: la società è formata da questa gente?” Lo ha guardato e gli ha risposto: “si, la società è formata di questa gente”. Peppino si è impressionato dopo aver visto quella tragedia, tutta quella carne umana sparpagliata così. Io stesso non sono ancora impressionata?) (D): E nei rapporti di Peppino con suo padre che altro ha da dirci? (R): Mio marito non aveva la sensibilità di capillo. Lu vulea bene, mica nun lu vuleva, ma nun lu capeva. No.(Mio marito non aveva la sensibilità di capirlo. Lo voleva bene, mica non lo voleva, ma non riusciva a capirlo. No) (D): Ai funerali di suo figlio i compaesani scesi nelle strade per l’ultimo saluto a Peppino erano in pochi, e le finestre delle case erano sbarrate. Gli elettori di Cinisi permisero a Peppino, pur da morto, di essere eletto al Consiglio comunale, ma 260 voti, in realtà, contrariamente a ciò che si percepisce dal finale del film “I Cento Passi”, non erano poi tanti se si confrontano con i 2.098 che ottenne la Democrazia Cristiana. Ai funerali c'erano mille persone circa, in gran parte venute dai paesi vicini e da Palermo. La Comunità cinisense non era unita intorno a Peppino e non aveva saputo cogliere l’insegnamento di suo figlio: quello di non nascondersi mai dietro le barricate dei silenzi e dietro le barriere omertose ma di denunciare e usci re allo scoperto, sempre! (R): Cinisara nente…(Non c’era nessun cinisense…) (D): Ancora c’era molta paura? (R): Me nipote mi risse: “zia, ma quantu ni stanno vinenno gente di fora!” Cinisara nun c’enerano, neanche venevano i vicini ri casa. Una aveva di bisogno di qualche parola. No! Eramo como fossimo emarginate, da principio. Ora no, ora si fermano cu li machine, salutano, fanno e dicino, ora è cambiata.(Mia nipote mi disse: “zia, ma quanta gente di fuori paese sta venendo?!” Cinisensi non ce n’erano, neanche venivano a fare visita i vicini di casa. Avevamo bisogno di qualche parola di conforto. Eravamo come emarginati, da principio. Ora no, ora si fermano con le macchine, salutano, ora è cambiato tutto) (D): Dunque il sacrificio di Peppino non è stato inutile, la sua splendida narrazione umana, anche se interrottasi tragicamente, è servita per tutti noi? (R): Nca certo che è servito a qualcosa! Aere un carabinere parrava cu sta signorina di ‘ncca facciu e ci parrava proprio di Peppino, “un ragazzo -dici- ca ha dato la proprio vita, un ragazzo così coraggioso… Como si pò fare -rici- da una famiglia di mafiosi nescere fuori?” Chista è l’impressione di ‘sti magistrati, di ‘sta gente, un’impressione forte, viri chi è: “come si po’ fare ?”, rici.(Certo che è servita a qualcosa! Ieri un carabiniere parlava con una signora che abita qua di fronte e parlava proprio di Giuseppe, un ragazzo, diceva, che ha dato la propria vita, un ragazzo tanto coraggioso. “Co me è possibile”, si chiedeva, “che una famiglia di mafiosi si sia allontanato dalla mafia?”. Questa è l’impressione di questi magistrati, di questa gente, e vedi che è un’impressione forte: “come è possibile” si chiede?) (D): Una volta Peppino è venuto addirittura alle mani con i fascisti. Può raccontarmi l’episodio? (R): Giuseppe fici un manifesto, e l’appizzao vicino a chiesa di l’Ecce Homo. Va lu fascista e ci lu va strappa. Ciù cuntaru a Giuseppe: “senti&r dquo; -rici- “viri cu manifesto già ti lu sfardaru tutto”. Allura Giuseppe và, cca c’era la stazione cc’ha vicino, e ci rissi: “ma tu un lu putevi fare, semmai ni facevi uno e cciù mittevi a lato. Ma no ca tu u isti a sfardare”. Na parola tira a nnavutra. Giuseppe nisciu fora, triuppica e care. E chiddu si ci mise a cavaddu. Ora vene un signore di ccà vicino -era di Palermo-: “signora, signora” -rici- “hanno aggredito a suo figlio”! “Ih Ih Ih” –rissi- “e cu fu!” Avevo un vaso cu li ciure, mi paria ca la via misu nnu tavulo e mi cario ri manu, e parto. Partu e griro: “aiuto, aiuto” -ma un vinia nuddo. Mi cci ecco ri n’coddo, eo, e l’acchiappo pi capidde. Io ho lottato e sugnu stanca. Stanca… Però haio avuto delle soddisfazioni, me l’ahio preso qualche soddisfazione. Dopo Tano, basta.(Giuseppe ha fatto un manifesto, e lo ha appeso vicino alla chiesa dell’Ecce Homo. Vi è andato un fascista e glielo ha strappato. Glielo hanno raccontato a Giuseppe: “senti”, gli hanno detto, “il manifesto vedi che te lo hanno già strappato tutto”. Allora Giuseppe è andato, perché c’era la stazione qui vicino, e gli ha detto: “ma tu non avresti dovuto farlo, semmai ne facevi un altro e glielo affiggevi accanto. Invece tu sei andato a strapparlo”. Una parola tira l’altra. Così Giuseppe, quando è uscito, è inciampato ed è caduto. E l’altro ci è salito sopra. Allora è venuto un signore di qua vicino, un palermitano: “signora, signora!”, mi ha detto, “hanno aggredito a suo figlio!”. “Ih, Ih, Ih”, ho detto: “chi è stato?!”. Avevo un vaso con dei fiori, mi sembrava di averlo appoggiato sul tavolo e invece mi è caduto dalle mani, lascio tutto ed esco. Vado e grido: “aiuto, aiuto”, ma nessuno accorreva. Mi ci butto sopra, allora, e l’acchiappo per i capelli. Io ho lottato e sono stanca… Però ho avuto delle soddisfazioni, me le sono prese alcune soddisfazioni. Dopo Tano, basta) (D): I 23 anni passati per avere Giustizia non sono stati troppi? (R): Certo, però ora… (D): Ora si aspetta l’ultima sentenza… (R): Amu avuto ‘nna soddisfazione. Quannu arrivano ccà 10 parlamentari rappresenta lo Stato, 10 parlamentari, 10 di tutti li partiti. A Cavallaro ci risse: “come la pensano li mafiose? Pensano como si ci rassimu un pugno nello stomaco, cu stu film. E un ci ha piaciuto”. Hanno stato svergognati ora. Ora che parlano tutti. ‘Nsumma, a Cinisi finalmente cuminciaro a parlare. Mi ‘nni venno di Caltagirone, di Messina, una signora di Mazzara del Vallo mi scrisse una lettera, vose una poesia di Giuseppe, e mi ricia: “haio lu marito e una figghia mo rta e un figghio risperso”, e mi riceva na poesia di so figghio, e mi ricea che avia a venere, a chiacchiarunare cu mia. Nannu vinuto di Caccamo, un prete di Napoli, puru, vinne. Mi scrisse una lettera bellissima, una bella lettera. Nna suora di Roma: chisti di cà nente, non esistono, si fanno i fatti suoi. Ho avuto soddisfazioni: professura, studenti, nanno venuto…(Abbiamo avuto una soddisfazione. Quando arrivano qui dieci parlamentari questi rappresentano lo Stato, dieci parlamentari, di tutti i partiti. A Cavallaro ho detto: “cosa ne pensano i mafiosi? Con questo film pensano di aver ricevuto un pugno nello stomaco. E non gli è piaciuto”. Sono stati svergognati di fronte a tutti, adesso. E parlano tutti. Insomma, a Cinisi finalmente si è cominciato a parlare. Vengono da me da Caltagirone, da Messina, una signora di Mazzara del Vallo mi ha scritto una lettera, ha voluto una poesia di Peppino, e mi ha detto: ho il marito e la figlia morti e un figlio disperso, e mi ha mandato una poesia di suo figlio, e mi ha detto che voleva venire, chiacchierare con me. Sono venuti da Caccamo, addirittura è venuto un prete da Napoli. Mi ha scritto una lettera bellissima, una bella lettera. Una suora di Roma, ma questi di qui niente, è come se non esistessero, si fanno i fatti loro. Ho avuto soddisfazioni: professori, studenti, sono venuti…) (D): Peppino sarebbe certo orgoglioso di vederla adesso e di conoscere tutto ciò che ha fatto per lui. (R): Si, mi pare ca me lu ficiro resuscitare a mia me figghio, mm’ha crirere! (Si, credimi, mi sembra che hanno fatto risuscitare mio figlio!) (D): Indagando un pò sulla vita di Peppino ho scoperto che lui non era soltanto un organizzatore di lotte contro la mafia, contro il sistema di potere clientelare e mafioso di Cinisi, ma un amante della letteratura, della musica e, addirittura, un poeta! Leggendo alcune sue poesie, molte mi hanno impressionato, mi hanno fatto rivivere le sue paure, le sue ansie, le sue frenesie e le sue esaltazioni… (R): Faceva nuttate sane, me marito ci disturbava a luce… (Trascorreva nottate intere -a leggere e scrivere-, e a mio marito disturbava la luce) (D): Peppino ha vissuto anche momenti tristi. Nella sua famosa lettera citata nel film, strumentalizzata da chi ha tentato di spacciare la sua morte anche per un suicidio, sembra quasi un Peppino affranto, deluso, amareggiato… (R): Amareggiato, non lo so, per i compagni. (D): Suo marito ha buttato fuori casa suo figlio definitivamente è stata cosa di un momento? (R): Si, fuori, fuori di casa. Maria santa… Viri ca io mi sapevo organizzare, e como! I due fratelli teneli uniti, picchì vulevano li parentuzzi ca diventavano Caino e Abele. Loro erano uniti, io ero unita con i miei figli. E con mio marito, insumma, ero come all’ubbidienza, mi hai capito. Chistu c’era…(Si, fuori di casa. Maria santa… Vedi ch e io mi sapevo organizzare, e come! Tenendo uniti i due fratelli, perché certi parenti desideravano che diventassero come Caino e Abele. Loro erano uniti, io ero unita con i miei figli. E con mio marito, in poche parole, ero come all’ubbidienza, mi hai inteso? Non c’era altra possibilità…) (D): Mi dica un’altra cosa. Ai tempi di cesare Manzella, il grande capomafia Luciano Leggio era pure qui? Lei lo ha conosciuto? (R): L’ho conosciuto, era robusto, bianco, colorito. Si, si, ma non a casa mia, picchì un lu vose a casa mia: “‘cca a casa mia niente”, ci rissi. “Perciò, se è un amico?”, mi riceva me marito. “No, un mi interessa, tu ci puoi affittare una casa, puoi fare tutto quello che vuoi, ma a casa mia niente”. E io unn’haio avuto mai contatto nné cu li mugghiere né ccu nuddo. Niente. Mi ci ha portato nnì Badalamenti, si, cocche due, tri volte, contro la mia volontà, ma poi me figghiu non era uno cca purtava odio, a dire: “picchì ci vai, chi ci va ffai”. Cc’avia a fare? Così era suo padre.(L’ho conosciuto, era robusto, bianco, colorito. Si, si, ma non era a casa mia, perché non l’ho voluto qui a casa mia. “Come, ad un amico?”, mi diceva mio marito. “No, non mi interessa”, rispondevo: “tu puoi affittargli una casa, puoi fare tutto quello che vuoi, ma a casa mia niente”. Ed io non ho avuto mai contatto né con le mogli né con nessun altro. Niente! Mi ha portato anche da Badalamenti, si, qualche due, tre volte, contro la mia volontà, ma poi mio figlio non era un tipo che portava odio, non mi diceva: “perché ci vai? Cosa ci vai a fare?”. Cosa doveva fare? Così era fatto suo padre) (D): Ma Tano Badalamenti che persona era? Una persona intelligente? (R): Cue, iddo? Ma se ave la terza elementare mancu ‘u saccio. Ora forse s’ha istruito ‘nmenzo l’avvocati.(Chi, lui?! Non so nemmeno se ha raggiunto la terza elementare! Ora forse si è un pò istruito in mezzo agli avvocati) (D): Quindi “vaccaru” (pastore) di soprannome e di fatto? (R): E’ un vaccaro! Un lu viri di lu parrare stesso? Iddo neanche na parola mi risse a mia. Io chiddo chi c’happe di dire ciù risse. Nne ca ni sparagnave, ma nun parrao.(E’ gre zzo come un pastore! Te ne accorgi dallo stesso modo in cui parla. Nemmeno una parola mi ha detto. Io quello che avevo da dirgli glielo detto. Non gli ho risparmiato nulla, ma non ha parlato) (D): Non sapeva come difendersi, evidentemente… (R): Deve fare la stessa fine di Vito Palazzolo, deve fare! (D): Nonostante tutto è riuscito a diventare un boss per come si deve, capo della Cupola… (R): Ma ‘u sai nne cca tanto valore ave come prima. (Ma oramai, sappi, che non conta più come una volta) (D): Ora, naturalmente, è solo un carcerato a vita… (R): Ccà, nun l’ave stu valore. Certo, se vene a Cinisi, cocch e liccapere l’avrà!(Qui, non conta più. Anche se, se viene a Cinisi, qualche leccapiedi lo avrà!) (D): Ancora non si è estinta la “mala razza” dei mafiosi? (R): Cca certo, e cca un si ponno.(Certo che no, e qui non si può estinguere) (D): E, di Peppino, cos’ha ancora da dirci? (R): Giuseppe era un ragazzo creativo, un ragazzo che, non lo so, teneva il commercio, il circolo Musica e Cultura, tutti sti ragazzi si li tirava a tutti. Voleva convincerli. Li voleva convincere. (Giuseppe era un ragazzo creativo, un ragazzo che, come posso dire, si occupava del commercio, del circolo Musica e Cultura, riusciva ad attrarre l’attenzione di tutti questi ragazzi, di tutti. Voleva convincerli, li voleva convincere) (D): Li voleva convincere, mi permetta di dire, che la mafia era una montagna di merda, un sistema sbagliato? (R): ‘Nna montagna picca nnì vene: di più di una montagna! Parramo ora. Me marito un morto è, e non mi rispunne cchiù. Ci sono rimasti vicini, dopo la sua morte, in pochi, come Salvatore, lui cc’ha stato sempre vicino, sempre, unn’ha lasciato mai. Sempre vicino. Di ragazzo lo conosco, veniva a cercare a Giuseppe, cc’ha rintra.(Una montagna non basta: di più di una montagna! Ora posso parlare. Mio marito è un morto e non mi risponde più. Ci sono rimasti vicino, dopo la sua morte, in pochi, lui -Salvatore- c’è rimasto sempre vicino. Sempre. Non ci ha mai lasciato. Sempre vicino! Lo conosco da quand’era ragazzo, e veniva a cercare Giuseppe, qua dentro) Salvatore Vitale: Sempre fornito di materiale che parlava di Mao, dove riusciva a trovarlo solo lui lo sa, in Cina forse! Sto parlando quando avevamo all’incirca 20 anni o poco più, quando eravamo maomisti. Qui, a Cinisi, ci chiamavano i “Mao Mao”. (R): Si, si, picchì ‘nna vota mi purtao nì Badalamenti me marito e c’era Ciccio Di Trapani. E allura rici: “e so figghio chi è, mao mao?” E chi ci fazzo -rici- c’è mao mao e ci n’è senza Mao Mao, puro. Nnatra vota, quann’eramo a vutare, c’era lu segretario -era di Palermo chistu. “Ma lei pi cchi vota” -rici- per Democrazia proletaria?” “Sì. ‘U partito ri me figghio. Chiddu re me figghio. O bono o tinto ‘u partito ri me figghio e megghio ‘ra Democrazia Cristiana” -ci riceva eo. No, ci rava filo ri torcere a tutti, no, no.(Si, si, difatti una volta mio marito mi ha portato da Badalamenti e c’era Ciccio Di Trapani. E allora disse: “suo figlio è mao mao?”. “E cosa vuole”, gli rispondo: “c’è chi è mao mao e chi non lo è”. In un’altra occasione, quando eravamo andati a votare, c’era il segretario, era di Palermo. “Ma lei per chi vota”, mi disse, per la Democrazia Proletaria?”. “Si. Per il partito di mio figlio. Quello di mio figlio. O bene o male, il partito di mio figlio è meglio della Democrazia Cristiana”, gli rispondevo. No, io davo filo da torcere a tutti, no, no…) (D): Lei diceva apertamente di votare per la Democrazia Proletaria? (R): Si, si: “pi me figghio”, ci riceva.(Si, si: “per mio figlio”, gli dicevo) (D): Non penso su consiglio di suo marito… (R): No, me marito nun mi riceva nente. “Ognuno, tu ti piace lu tuo e a mia mi piace lu meo”. Ecco. Così arrispunnio Maniaci e così è giusto. Fu una risposta giusta quella di Maniaci. Iddo, Filippo, cu li so figghie era un comunista accanito. So matre e so soro cc’aviano a dare lu voto. Ora, stu cristiano fu chiamato da li mafiosi ccà, ri Cesare Manzella e di tutti. Rici: &ldqu o;tu ha ammazzare a tto figghio”. “E pi chi cosa l’ha ammazzare a me figghio?”. “Picchi” -rice- “è un comunista”. “Ma ricitimimi na cosa”, rice, “io chiddo che posso fare un ci lassu nente, però me figghio un pò avire la testa mia, e manco io posso avere la testa ri me figghio. Ognuno per la sua strada”. La finero. Ccà no la musica! Ccà a musica un finio, picchì me marito gli dava retta. Maniaci (uno dei fondatori del partito comunista assieme al Venuti) ci risse na risposta bellissima: “Ognuno avemo na nostra testa. C’è cu fa u professure, cu fa u manuale, io nun posso fare chiddu chi fa me figghio e mancu me figghio pò fare chiddu chi fazzo eo”. Un cristiano chi si pirsuareva era! E tutti erano contro la mafia ddoco: so mugghieri, li figgi, tutti! (No, mio marito non mi diceva niente. “Ognuno è libero, a te ti piace una cosa e a me un’altra”. Ecco. Così ha risposto Maniaci e così è giusto. Fu una risposta giusta quella di Maniaci. Lui, Filippo, assieme ai figli, era un comunista accanito. Sua madre e sua sorella gli davano il voto. Così, questa persona è stata chiamata qui dai mafiosi, da Cesare Manzella e gli altri. Questi gli dicono: “tu devi ammazzare a tuo figlio”. “E per quale ragione devo uccidere mio figlio?”. “Perché”, dissero, “è un comunista”. “Ma ditemi una cosa”, gli rispose. “Io quello che posso fare faccio, però mio figlio non può avere la testa mia, e manco io posso pensarala alla sua maniera. Ognuno segue la sua strada”. In quel caso, la questione s’è chiusa lì. Nel nostro caso no! Nel nostro caso la musica non è finita così, perché mio marito gli dava retta. Maniaci gli ha dato un’ottima risposta: “ognuno di noi la pensa a modo suo. C’è chi fa il professore, chi fa il manuale: io non posso fare quello che fa mio figlio né mio figlio può fare quello che faccio io”. Lui sì che era una persona intelligente! E tutti erano contro la mafia nella sua famiglia, la moglie, i figli…) (D): Come ha reagito suo marito all’uccisione di Cesare Manzella? (R): Era malato, t’anno avia avuto nn’attacco di appendic ite. Sapiddo chi chiacchieravano fra iddi mafiose.(Era ammalato, aveva avuto in quei tempi un attacco di appendicite. Chi lo sa cosa si dicevano fra loro mafiosi? (D): Secondo lei, suo marito era mafioso oppure era un semplice colluso con la mafia? (R): Chi mafiusu era manco ‘u capisciu. Unn’era di alto livello, mi pare a mia, picchì quann’era cu mia, chi stese cu mia, un ci viria fare nisciute, cose -chi saccio- como l’avutre. Era che c’era so cugnato. Chi maf iusu era un tu saccio a dire. Como Badalamenti, como chisti nun c’era. Ma era mafiusu, però. Una famiglia di mafiusi.(Che tipo di mafioso era non lo capisco. Non era di alto livello, mi sembrava, perché quand’era con me, non notavo che facesse uscite, faccende, ecc… come tutti gli altri. La ragione era che suo cognato era mafioso. Che mafioso era non te lo saprei dire. Come Badalamenti, come questi, di certo, non lo era. Ma era mafioso, però. Apparteneva ad una famiglia di mafiosi) (D): Suo marito era riconoscente a Badalamenti per qualcosa? Che rapporto vigeva tra i due? < font face="Times New Roman">(R): Uhhh! Ma unn’era como li frati? Ppi Badalamenti nisceva fodde, e lu fici ammazzare ‘u lazzaroni! C’ammazza lu patre, ma poi lascialo sanu lu figghio. Lu ficiro come terrorista. E ddoco io mi accanive puro.(Uhhh! I due erano come fratelli! Per Badalamenti mio marito era disposto a tutto, e, nonostante tutto, questo brigante lo ha fatto ammazzare! Lo ha ucciso, ma, inoltre, perché non lasciava sano almeno suo figlio? Lo hanno fatto passare come un terrorista. E anche per questo io mi sono accanita in particolare) (D): Se suo marito fosse rimasto vivo la vita di Peppino sarebbe stata più lunga? (R): Se ammazzavano a Peppino e me marito era vivo… c’era la vera lotta di mafia, t’anno, mizzica! T’anno aviano a succerere cosi tinti, picchì lu figghio nun lu vulea ammazzato e iddi circavano di ammazzare a me marito.(Se ammazzavano a mio figlio e mio marito era vivo… sarebbe scoppiata, a quei tempi, una guerra di mafia, altroché! Sarebbero successe cose tragiche, perché lui non voleva ucciso suo figlio e loro hanno cercato di uccidere a mio marito per questo) (D): Quindi lei è convinta che suo marito non sia rimasto vittima di un banale incidente ma, piuttosto, sia stato ucciso? (R): Si, un potte parlare picchì me cugnato era vivo e cummighiaro tutte cose, ma fu ammazzato me marito. Ammazzaro ddu cristiane, lu patre e lu figghio. Una cosa troppo grossa!(Si, non ho potuto parlare perché mio cognato era vivo e hanno depistato tutte le cose, ma mio marito è stato ucciso. Hanno ucciso due persone, il padre e il figlio. Una cosa troppo grossa!) (D): Dopo la morte di suo marito, e specie di Peppino, come è cambiata la sua vita? Siete stati più soli o avete avuto più gente vicina? (R): Come cinisara no. Neanche i vicini di casa. No. Eramo soli, avogghia ‘cca li professura e ‘cca li professoresse ci riciano: “un virite a Giovanni Impastato, firmatelo, salutatelo, ite na la mamma di Peppino Impastato”. Niente da fare! (Come cinisensi nessuno. Neanche i vicini di casa. No. Eravamo soli, inutilmente i professori e le professoresse dicevano a tutti: “non vedete a Giovanni Impastato? Fer matelo, salutatelo, andate dalla mamma di Peppino Impastato”. Niente da fare!) (D): Colgo l’occasione per farle i miei complimenti per come porta bene i suoi 88 anni e per il coraggio che ha espresso fin’ora. (R): Mi saccio difendere: fino a ora, viri, chista (la testa) l’haio a posto. Quannu fu una mattina avia vinuto eo da lu spitale -avevo una settimana che ero rientrata da lu spitale- ero a letto e sento na vuce: “un telegramma, un telegramma”, dice, “Bartolotta Felicia”: io rispunnivi ri curcata, ci rissi: “no, non &eg rave; mio il telegramma, è ri me cucina, picchì ai na me cucina vicina di casa ‘cca si chiama puro Bartolotta Felicia”. ‘U telegramma -ci risse- non è mio, ri me cucina. “No -rici- Impastato Giovanni”. “Allora -ci risse- è lu meo”: e io, cu tutti li piaghe che avevo, mi sono alzata. Venni me figghiu Giovanni, e poi ci arriva na telefonata a me nora. Rici: “senta signora, semo quelli dell’antimafia, amo a parrare cu so suocera”. “E’ a letto, fu operata”, ci risse. E così finio. Quannu parse a idde ci ripinsaro arré, la richiamaro, ci rissiro: “ma mi ricisse na cosa, come memoria com’è?”. “A posto”. “Allora -rici- a purtasse, cca c’è na seggia a rotelle, c’ene barelle, c’ene duttura, c’è tutto”. Ci rissi eo: “ci vogghio iri”. Vaio a chiamare lu merico che mi curava -cc’havia ‘nna ferita- e ci risse: “m’ava fare na buona medicazione”. “Unn’ava ghiri?”, mi risse. “N’Palermo”. “Ma com’è pazza!”. “No” -ci risse- “a gghire n’Palermo”. E dissi: “Giuseppe, puro cu la seggia a rotelle vegno a difenderti!”(Fino ad ora, per fortuna, mi sono saputa difendere. Una mattina ero venuta dall’ospedale, da una settimana ero rientrata dall’ospedale, ero a letto e sento una voce: “un telegramma, un telegramma”, diceva, “Bartolotta Felicia”. Io risposi dal letto e gli dissi: “no, non sarà mio il telegramma, sarà di mia cugina” -perché ho una cugina vicina di casa che si chiama pure Bartolotta Felicia. “Il telegramma”, gli dissi, “non è mio, è di mia cugina”. “No”, disse, “è di Impastato Giovanni”. “Allora”, gli dissi, “è il mio”, ed io, nonostante tutte le ferite che avevo, mi sono alzata. Venne mio figlio Giovanni, e poi è arrivata una telefonata a mia nuora: “senta signora”, ci dissero, “siamo quelli dell’Antimafia, dobbiamo parlare con sua suocera”. “E’ a letto, è stata operata”, gli rispose. E così tutto è finito. In un secondo tempo, però, l’hanno richiamata, gli dissero: “mi dica una cosa, sua suocera ha ancora una mente lucida?”. “Si”, gli rispose mia nuora. “Allora”, gli dissero, “la porti da noi, che qui ci sono sedie a rotelle, barelle, dottori, c’è tutto l’occorrente”. Io gli risposi: “ci voglio andare”. Ho chiamato il mio medico curante e gli dissi: “mi deve fare una buon a medicazione”. “Dove deve andare?”, mi chiese. “A Palermo”. “Ma com’è pazza?”. “Non m’importa, devo andarci”, gli risposi. E dissi dentro di me: “Giuseppe, pure con la sedia a rotelle verrò a difenderti!”) (D): Questo quando è andata a deporre al processo contro Badalamenti? (R): Si, si. Ci risse: “ammazzaro a me figghio e nun ficero nessuna indagine, picchì lu purtaro in un casolare e lo misero in un sedile e in un muretto runne culava lu sangu”. A me figghio l’ammazzaro ddà -è giusto- a corpa di petra n’testa, cu lu sangu cca culava na li petre. Aviano a fare ‘nna perizia. Lu binario era tutto aperto ma lu misero subito a posto e perizia u’nni fu fatta pi me figghio. Lu presidente di l’Antimafia vose sapire tutto. Un’hanno fatto nessuna indagine ri me figghio, niente. Poi truvaru lu pere ri me figghio e la pietra insanguinata, chiddu ca faceva la raccolta ri sti cosa l’ha consegnato ad un carabiniere. Unne a purtaro ca la ficiro spirire?! Insomma, fu una cosa, una cosa troppo brutta. No, no, non c’è perdono pi sta gente per me. Ogni tanto ci penso e dico: “no, quale perdono, mi ni vogghio ire al’unferno!” “Unnè lu pere ri me figghio”, ci risse?! Hanno fatto una cosa tragica, una cosa spaventosa! Ora, rice, sta babba di so matre e stu babbo ri so figghio passano tutto accusì… No, invece! Avevamo l’aiuto puro, picchì da soli chi putiamo fare? Ci fu l’aiuto, i compagni di Palermo, e amo arrivato a stu punto. E hanno insistito -u primo Salvatore- ca so matre si siddiava.(Si, si. Io dissi: “hanno ucciso mio figlio e non hanno condotto nessuna indagine, nonostante lo abbiano portato in un casolare e lo abbiano messo in un sedile e in un muretto dove colava il suo sangue”. A mio figlio l’hanno ucciso lì, è chiaro, con colpi di pietre in testa, con il sangue che colava nelle pietre. Dovevano fare una perizia. Il binario era divelto ma è stato rimesso subito a posto e non è stata fatta alcuna perizia per mio figlio. Il presidente dell’Antimafia volle sapere tutto, e io gli dissi: “non hanno fatto alcuna indagine per mio figlio, niente!”. Poi hanno trovato un piede di mio figlio e una pietra insanguina ta e quello che si è impegnato nella raccolta di questi resti li ha consegnati ai carabinieri. Dove li hanno portati, visto che sono spariti?! Insomma, è stata una cosa, una cosa troppo brutta! No, no, non ci può essere perdono per questa gente! Ogni tanto ci penso e dico: “no, quale perdono, accetto pure di andare all’Inferno!”. “Dov’è il piede di mio figlio”, dissi?! Hanno fatto una cosa tragica, una cosa orribile! “Ora”, avranno pensato, “questa innocente di sua madre e di suo figlio accetteranno le cose impassibili”. No, invece! Abbiamo avuto pure l’aiuto di altri, certamente, altrimenti, da soli, cosa potevamo fare? C’è stato l’aiuto dei compagni di Palermo, e così siamo arrivati fino a questo punto. E hanno insistito, primo tra tutti, Salvatore, benché sua madre se la prendeva) Salvatore Vitale: una volta mia madre -avevamo appena finito di fare una trasmissione alla radio contro Lima- mi disse: “quando t’ammazzano mi metto una vesta rossa!”. (R): Na vesta russa, si, si.(Si, si, una vesta rossa) (D): Comunque non abbia rimorsi, perché si perdona la gente, non le bestie! (R): No, quale perdono, no, no, non c’è perdono per questa gente! Lo potevano ammazzare e lasciarlo sano, no fare questa vendetta così terribile! La carne era a pezzettini, in fracello sinnio me figghio! No, non è possibile…(No, no, quale, perdono, no, no, non c’è perdono per questa gente! Lo potevano ammazzare e lasciarlo sano, senza fare questa vendetta così terribile! La carne era a pezzettini, mio figlio se n’è andato sfracellato! No, non è possibile…) (D): Peppino, proprio nell’anno della sua morte, si era candidato alle elezioni comunali come consigliere… (R): Nnu municipio, e io telefonava a California, ci risse a me cucina: “vogghio mannare a Giuseppe subito in California, tu u rricivi?” “Pronto, subito!”. “Giuseppe” -ci risse- “pu u riposo, ti vogghio mannare in California. Ci vo ire?” “Si ca ci vaio(!)”. “Ti pago tutto, un ti fazzo mancare nente”. “Però… sai… mi porto”, rice. “Dopo le elezioni”. Chistu fu a rovina… Picchì, senno, si ‘nnieva a California e finia tutto. Ma se avevano davvero intenzione di ammazzarlo ‘u ievano ammazzare puro dà, e c’è poco di fare. (Si, per il Comune, ed io ho telefonato in California per dire a mia cugina: “voglio mandare Giuseppe subito in California. Tu lo ricevi?”. “Pronto, subito!”. “Giuseppe”, gli ho detto, “per il tuo riposo voglio mandarti in California. Ci vuoi andare?”. “Si che ci vado(!)”. “Ti pago tutto, non ti faccio mancare nulla”. “Però… sai… mi candido alle elezioni”, mi disse. “Dopo le elezioni”. E questa è stata la rovina… Perché poteva andare in California e tutto finiva lì. Ma se avevano davvero intenzione di ammazzarlo sarebbero andati ad ammazzarlo pure lì, c’è poco da fare) (D): Dopo la sua morte, Peppino è stato fatto passare, come se non bastasse, per un terrorista. Lei come l’ha presa? (R): Ah, è terribile, chi cc’entra! Ca certo ca la vireva ‘nna cosa brutta, ma subito lu capero idde, subito. (Ah, è stato terribile, naturalmente! Certo che pensavo a ciò come una cosa brutta, ma subito loro lo hanno capito, subito) (D): Ucciso e diffamato… (R): Si, si. Di tutto fice, ha fatto di tutto, ca sinnio como un maiale, e la gente parra, come un maiale sinnio Palazzolo. Che la gente parra: come un maiale sinnio, accompagnato dai carabinieri. Hanno a fare questa fine, ca ficero fare a me figghio!(Si, si. Di tutto ha fatto, ha fatto di tutto, ma se ne andato come un maiale, e la gente lo dice, come un maiale se ne andato Palazzolo. La gente parla: come un maiale se n’è andato, scortato dai carabinieri. Devono fare la stessa fine che hanno fatto fare a mio figlio!) -Palazzolo era un altro mafioso di Cinisi, i cui funerali si sono svolti sotto scorta poco tempo prima dell’intervista…-< span style="font-size: 10pt"> (D): Sembra che lei stia aspettando la morte di tutti coloro contro i quali chiedeva non vendetta ma giustizia. Ora tocca a Gaetano Badalamenti? (R): E’ vero, nottate che faccio, mi curco all’una, all’una e mezza, perché tutti i telegiornali l’ha taliare io, tutte le notizie l’ha taliare eo, e penso a Badalamenti. Ora domando a Giovanni come finisce cu chistu morto sta causa, sta cosa, nne cca la ponno lassare piddaccusì? Insomma, di dare un’esempio, chi bene a dire! “Ccà” -rice- “se l’appellano”. E io ci risse a me figghio: “e io me l’appello puro!”. Mi vinnu puro l’occhi, ecco. Io ci rico sempre a Giovanni: “veni presto”. Nna vota vinne verso le quattro. “Foco ranni” -rissi eo- “unni sinnio?”. Ci fu il 9 maggio ccà e poi u richiamaro a nn’atra banna, verso un paisi ri cca. “Giovanni”, ci rissi, “verso mezzanotte/l’una taglia a cosa, e vene”. Giovanni sinnio. L’una? Ma quannu mai, alle quattro vinni! Quannu vinni mi risse: “stattento si fai iucciria”. L’afferro ‘n machina e ci risse: “io vulia ire ‘nnu maresciallo. Tu t’ha presentare” -ci rissi- “un dico, magari, a mezzanotte, ma all’una, in tempo. Io nun mi va curco si tu un ti presenti”. Ma chistu modo d’agire era? Ma iddo sta vita a pò passare una cu sta gen te? Chi si li purtassero ddà, all’inferno!State attenti ragazzi, la testa bassa purtatela, un la purtate accussì!(E’ vero, faccio nottate, vado a letto all’una di notte, all’una e mezza, perché io devo seguire tutti i telegiornali, tutte le notizie le devo sentire, e intanto penso a Badalamenti. Ora chiedo a Giovanni come finirà con questo morto improvviso questa causa, né possono lasciarla così, penso. Insomma, devono dare un esempio, senza ombra di dubbio. Egli dice che appelleranno la sentenza, e io ho detto a mio figlio: “e io l’appellerò pure”. Sono disposta a vendermi pure gli occhi, ecco! Io dico sempre a Giovanni: “vieni presto”. Una volta &egrav e; venuto verso le quattro. “Che tragedia”, pensai, “dove è andato?”. Era il 9 maggio -ricorrenza della morte di Peppino- e lo avevano invitato da un’altra parte, in un paese limitrofo. “Giovanni”, gli raccomandai, “verso mezzanotte/l’una lascia perdere tutto e vieni”. Giovanni, così, se n’è andato. All’una? Ma quando mai! Alle quattro è venuto. Quando è arrivato mi ha detto: “attenzione a non fare baccano”. L’afferrai nella macchina e gli dissi: “io volevo andare a denunciare la tua scomparsa dal maresciallo! Tu devi fare ritorno, non dico a mezzanotte in piana estate, ma all’una. Io non vado a letto se tu non fai ritorno a casa”. Ma questo era un modo saggio d’agire? Come si fa a vivere sereni con certa gente? Che andassero tutti all’inferno!State atten ti, ragazzi, la testa dovete portarla bassa, non così) Salvatore Vitale: Alta la devon

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