Nelle sue dichiarazioni programmatiche e poi nelle sue repliche alla discussione parlamentare, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non ha spalancato le porte del dialogo, come suggerisce qualche osservatore superficiale, per un calcolo di pura convenienza politica. Il che, sia chiaro, è ampiamente lecito nella strategia politica.
Berlusconi ha trasformato una vittoria elettorale, vasta e incontestabile, in una leva formidabile per smuovere l'intero quadro politico. La strategia del dialogo era una delle opzioni sul campo, ma non la sola. Era e rimane, invece, la scelta obbligata per chi, come Berlusconi, ha l'ambizione di resettare il quadro politico e il gioco fra maggioranza e opposizione per farlo uscire da una stagione solcata da veleni e miasmi, oltre che da una feroce vocazione alla delegittimazione politica.
Veltroni, non si può negare, ci ha messo del suo ponendo la premessa per quella “normalizzazione” tante volte invocata negli anni passati da Massimo D'Alema. Non c'è dubbio, però, che è Berlusconi a caricare sulle proprie spalle la maggioranza politica che gli italiani hanno voluto accordargli, e insieme un'opposizione smarrita, per un verso, ma determinata a uscire dal vecchio schema della contrapposizione ideologica. L'Italia comincia ad avere “un'opposizione di governo” come accade in tutte le democrazie occidentali. E questo è, a ben vedere, un altro importante obiettivo conseguito con le elezioni del 13 aprile. Il dialogo serve a dare un respiro alla nuova stagione politica. Da questo punto di vista, il dialogo serve al Paese prima ancora che ai partiti.