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LE BANCHE ITALIANE STROZZANO SENSI

SI APRE LA STRADAALLA FINANZA EBRAICA CHE HA CONQUISTATO IL CALCIO INGLESE E STA PER DILAGARE IN ITALIA

(La Velina Azzurra) – Vendono o non vendono. Altro che. Con 340 milioni di debiti ufficiali, i povera Franco e Rossella Sensi venderanno di sicuro, di corsa, disperatamente. Venderanno a qualcuno ma venderanno. Negando l’interesse a cedere la Roma calcio volevano fare i furbi con i potenziali compratori, tra cui quel George Soros che nel 1992 stese a terra in pochi giorni la Lira italiana e la Sterlina britannica. E che ora, guardando altrove come il gatto fa quando ha già preso il topo tra le zampe, li sta strozzando con l’aiuto delle banche italiane creditrici che spingono su Italpetroli per un rientro immediato. Due banche per la memoria futura: Unicredit e Antonveneta (ormai quasi di proprietà del gruppo Montepaschi, quello di D’Alema e compagni). Perciò Soros, se davvero ha deciso di comprare il club giallo rosso farà firmare un assegnuccio al proprio segretario. E della società e dintorni (i terreni di Trigoria e Torre Vecchia) si occuperanno solo i suoi fiduciari italiani.

Quanto a Papà e figlia, hanno già dovuto vendere la catena degli alberghi (Cicerone, Filippo II, Residence Villa Pamphili), la quota in Aeroporti di Roma e alcune istallazioni petrolifere sulla costa tirrenica. Grasso che cola se riusciranno a salvare dal disastro qualche lotto per assicurare un sereno futuro anche familiare all’intraprendente Rossella. La stampa sportiva sembra averli già abbandonati, a giudicare dalle sviolinate verso il nuovo presunto padrone, inaugurate mercoledì scorso dal Corriere dello Sport. Ma temiamo proprio che con Soros i tempi grassi sarebbero finiti per gli amici giornalisti e per un intero mondo variegato di furbi e di imbecilli che ha ruotato per decenni attorno alle tribune giallorosse.

Infatti, nessuno ha detto ancora che il mercato del calcio europeo è stato preso d’assalto dalla finanza ebraico-americana ed ebraico-russa che in pochi anni ha già ingoiato il campionato inglese di prima serie. Nella rassegna stampa dell’Ucei, la comunità israelita italiana, si rileva con orgoglio che “oggi gli israeliani – e gli ebrei in genere – sono i protagonisti del calcio britannico”. L’elenco dei club acquistati da magnati americani o russo-britannici di origine ebrea, oltre ovviamente al Chelsea di Roman Abramovic (pare azionista sotto banco anche di altre squadre) comprende l’Arsenal, il Manchester United, il Liverpool, l'Aston Villa di Birmingham, mezzo Portsmouth. La rassegna dell’Ucei presenta con soddisfazione anche una notevolissima lista di manager, allenatori e agenti procuratori di origine ebraica e persino di calciatori israeliani di grande successo.

Il fatto è che dagli stadi e dall’infinito indotto televisivo, industriale, commerciale ed edilizio del foot ball, sapendoci fare, non si ricavano solo montagne di soldi, ma si controllano fenomeni e tendenze politiche, sociali e culturali di intere Nazioni: voti, costumi, simpatie, antipatie. Ad esempio non è forse un caso che Abramovich voglia comprare il Bari della famiglia Matarrese, puntando a una città strategica del sud Italia, prossimo terminale del gasdotto russo South Stream, che guarda ai traffici di ogni genere tra l’Adriatico e i Balcani. Qualcuno dovrebbe cominciare ad insegnare alla gente che le geo strategie delle grandi potenze si sono aggiornate. E le basi militari che giustamente spaventano la gente hanno pur tuttavia un ruolo subalterno e complementare rispetto ad altri flussi profondi che preoccupano molto meno dei bombardieri.

Anche l’eclettico George Soros si occupava da tempo di club sportivi, oltre che di assalti alle monete e di rivoluzioni arancioni nei Paesi già alleati della Russia. Finanzia notoriamente squadre nel basket e di calcio. E’ proprietario del DC United, apprezzabile club del soccer americano. Nel 2004 ha tentato un colpo grosso, l’acquisto della Washington National, squadra icona di base-ball della capitale USA. Ma la politica USA glielo ha impedito, alla faccia del mercato. E lui ha abbozzato, avendo scoperto nel frattempo che la vera Mecca è l’Europa. Il suo interesse per la Roma è quindi credibile, anche se qualcuno sospetta che l’ipotesi Soros sia solo uno sbarramento contro altri concorrenti esteri ansiosi di irrompere negli stadi del Bel Paese.

Comunque è un segno dei tempi vedere ridotta quasi sul lastrico una delle famiglie di media potenza della prima repubblica, che tutti credono erroneamente romana. Nessuno ricorda più che papà Franco Sensi, con la protezione del democristiano Arnaldo Forlani, era passato dal mestiere dei diretti ascendenti (ovini e ricotte transumanti) agli idrocarburi e al quotidiano Corriere Adriatico, diventando il ras economico democristiano delle Marche. La seconda repubblica, con le sue follie bancarie lo ha portato fuori dall’anonimato marchigiano, ai vertici della Roma calcio e -ca va sans dire- alle grandi lottizzazioni della capitale, fatte e ancora da fare.

Dopo l’epoca dei buffi a man salva, il grosso guaio per i Sensi giallo-rossi è stata la dipartita giudiziaria dell’omologo patron laziale Sergio Cragnotti, con conseguente, rapidissima fuga dal business del calcio del comune protettore, il banchiere frascatano di Capitalia Cesarone Geronzi. A questo punto, in un crescendo di strette alle coronarie di Papà Franco, il destino dei Sensi era segnato nonostante i consigli dell’assiduo vicino di tribuna Pippo Marra. Ed ora ecco l’assalto degli stranieri. Se Soros si prende la Roma colpirà al cuore, direttamente nella capitale. Poi toccherà anche ad altri. Il mercato calcistico italiano è ricco di opportunità per i professionisti della speculazione planetaria, così lontani dai nostri miserabili affaristi di provincia. Un caro nostro amico, parafrasando Von Clausewitz, ha teorizzato che il calcio italiano “è la continuazione della politica con altri mezzi”. Se ciò è vero –e ne siamo convinti- anche questo strumento potrebbe finire presto in mani non italiane.

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