RADIO BARCELLONA E LA SCUOLA CHE NON C’È PIÙ
13 novembre 1936, Radio Barcellona libera trasmette la conversazione-appello di Carlo Rosselli conosciuta sotto il titolo Oggi in Spagna, domani in Italia:
“Aiutate, italiani la rivoluzione spagnola. Impedite al fascismo di appoggiare i generali fascisti e faziosi. Raccogliete denari. E se, per persecuzioni ripetute e per difficoltà insormontabili, non potete nel vostro centro combattere efficacemente la dittatura, accorrete a rafforzare le colonne di volontari italiani in Spagna. Quanto più presto vincerà la Spagna proletaria, tanto più presto sorgerà per il popolo italiano il tempo della riscossa”.
Il richiamo a Radio Barcellona libera non è casuale: non aveva diritto di esistere chi allora avversava la dittatura così come non ha diritto di esistere chi oggi, non schierato per gli uni a danno degli altri, rivendica la propria indipendenza.
“Nel 1937” – anno in cui circa il 35 per cento dei confinati fu condannato, su scala nazionale, per fatti connessi in qualche modo con la guerra di Spagna: tentato espatrio, disfattismo, contatti epistolari con le organizzazioni di arruolamento in Francia, ascolto di Radio Barcellona, raccolta fondi, propaganda – “Mussolini e i suoi leccapiedi mi espulsero dal partito fascista e mi radiarono dall’albo dei giornalisti per disfattismo. Ero stato mandato dal Messaggero a seguire la guerra civile spagnola” – 3.327 morti e 11.227 feriti tra i fascisti italiani – “e avevo scritto che la battaglia di Santander” – 14/26 agosto – “definita sanguinosa dagli altri giornalisti, era stata in realtà una lunga passeggiata militare con un solo nemico, il caldo”.
L’asserzione è del “più grande giornalista italiano”, la voce dall’emittente repubblicana spagnola è del leader del movimento Giustizia e Libertà, assassinato poi in Francia con il fratello Nello da sicari fascisti. Eccidio dei Rosselli cui seguirono a caratteri cubitali i titoli chiarificatori della stampa mussoliniana, “A quando i parenti?”, che fece ricadere tali morti sugli anarchici, sui comunisti, sugli amici di Carlo e Nello Rosselli, facendo intendere che, preoccupati dal pericolo che Carlo, intermediario suo fratello, tradisse la causa antifascista e tornasse in Italia, avevano fatto fuori l’uno e l’altro.
Il Telegrafo (organo personale di Galeazzo Ciano, mandante dell’assassinio), diretto da Giovanni Ansaldo, il 12 giugno 1937 dà la prima notizia sotto il titolo: Si tratta senza dubbio di una “soppressione” dovuta ad odi tra le diverse sette estremiste:
“Ambizioso e tenace nelle sue ambizioni, – scrive Ansaldo parlando di Carlo Rosselli, – era senza scrupoli nell’uso dei mezzi pratici, dispregiatore degli uomini di cui egli stesso si serviva …). Fondò il periodico ‘Giustizia e Libertà’ e – per isfogare in qualche modo la torbida voglia di azione che lo tormentava – si diede ad organizzare attentati e manifestazioni abortive di antifascismo. Fu così lui che, da Parigi, armò e pagò la mano di Bovone, autore delle esplosioni di Genova, e finito fucilato; fu lui che spinse a perdersi l’illuso Lauro de Bosis; fu lui, infine, che non potendo più far altro, preparò il lancio di palloncini antifascisti dalla Svizzera. In queste imprese, tra tragiche e ridicole, egli consumò anche buona parte del suo cospicuo patrimonio, senza ottenere altro frutto che di cenere e tosco (…). A quanto pare, il Rosselli, che negli ultimi tempi era diventato nettamente comunista, aveva espresso, in privato e in pubblico, la sua approvazione per la ‘soppressione’ del Berneri. Questa approvazione gli aveva attirato gli odi degli anarchici italiani e catalani, residenti in Francia; qualcuno dei quali avrebbe pensato a vendicare su di lui la morte del pubblicista sovversivo”.
Il 1937, giova ribadire, è l’anno in cui circa il 35 per cento dei confinati fu condannato, su scala nazionale, per fatti connessi in qualche modo con la guerra di Spagna: tentato espatrio, disfattismo, contatti epistolari con le organizzazioni di arruolamento in Francia, ascolto di Radio Barcellona, raccolta fondi, propaganda.
“Nel 1937 Mussolini e i suoi leccapiedi mi espulsero…”, espulsione che rientrava nei provvedimenti disciplinari quali potevano essere:
– la deplorazione,
– la sospensione a tempo determinato (da un minimo di un mese a un massimo di un anno),
– la sospensione a tempo indeterminato,
– il ritiro della tessera,
– la radiazione,
– l’espulsione.
Punizioni o paventate punizioni a qualunque livello di cui resta testimonianza venendo rese pubbliche a stampa: “Su segnalazione del Segretario Federale di Pola ho sospeso a tempo indeterminato dal P.N.F. il fascista Battaglino Guglielmo di Giovanni Michele per il seguente motivo: ‘infrazione alle norme sulla disciplina dei consumi’”; “l’avanguardista Bassi Enrico è stato proposto per la sospensione per indisciplina e insubordinazione”; provvedimenti che oggi appaiono di poco conto: “avanguardista Pollastrini Silvio destituito dalla carica di scritturale per scarso rendimento, avanguardista Becchio Natale: rimprovero solenne per il seguente motivo: ‘Richiamato dal suo Comandante alzava le spalle in atto indisciplinato’”.
“Nel 1937 Mussolini e i suoi leccapiedi mi espulsero dal partito fascista e mi radiarono dall’albo dei giornalisti per disfattismo”, affermazione cui fa da contraltare, a proposito dei leccapiedi di Mussolini, e una ragione dovrà pur esserci:
“L’adesione incondizionata di tutta la nostra gioventù a Mussolini non è l’ossessione – come spesso si pensa oltre Alpe e oltre Oceano – sebbene la figura di Mussolini sia di tale grandezza da giustificare anche l’ossessione, ma è coscienza chiara della Rivoluzione che in Lui si identifica”.
Indro Montanelli, 1937
“Cosa facevano i fascisti con quelli che non erano buoni camerati? Li allontanavano dalle cattedre o dagli impieghi e li spedivano al confino”, si è sentito in dovere di riferirci non eludendo la storia il “saggio” Enzo Biagi, “irrinunciabile testimone del nostro tempo”, puntualizzando: “Ma in questi sistemi dittatoriali c’era almeno un aspetto chiaro: l’evidenza. La punizione veniva proclamata alla luce del sole; non esistevano le insidie sotterranee, le manovrette sconce dei corridoi ministeriali, i ricattini escogitati nelle stanze dei vari poteri”.
Si è sentito in dovere di non eludere la storia e di puntualizzare essendo lui oggetto delle insidie sotterranee.
Cosa facevano invece i fascisti con quelli che combattevano la dittatura parrebbe sulla bocca di tutti, salvo distinguere chi ha avversato il fascismo durante la dittatura da chi lo ha avversato solo dopo la sua caduta, tali e tanti sono i vuoti di memoria di chi per età può ricordare.
Del resto, conferma Enzo Biagi, “sul fascismo, abbiamo letto, anche di recente, certe approssimazioni. Ci sono avvenimenti che bisognerebbe sapere della Storia del nostro Paese, che va oltre Pietro Micca e Muzio Scevola, i grandi gesti e gli eroi”.
Poiché più delle parole, “nel 1937 Mussolini e i suoi leccapiedi mi espulsero dal partito fascista e mi radiarono dall’albo dei giornalisti per disfattismo”, valgono i fatti, come suggerirebbe lo stesso Montanelli, essi anziché proporcelo, ad esempio, in clandestinità al fianco dei vari perseguitati politici italiani antifascisti, dissentendo da ciò che il fascismo rappresentava, lo individuano, ad esempio, in visita in Albania per descriverla “con impressioni vive, autentiche” nel libro Albania una e mille edito da Paravia (1939 – XVIII) recensito da Gerarchia.
Gerarchia, la rassegna mensile della rivoluzione fascista fondata da Benito Mussolini in cui mai si sarebbe potuto cadere in malintesi e dove, tra l’altro, si leggeva: “Occhio dunque agli ebrei. Se essi sono – come i fatti documentano – fra i nostri nemici dichiarati, i nemicissimi, non perdiamoli di vista. Si direbbe che il pensiero della guerra abbia fatto un poco dimenticare una delle principali ragioni della guerra, che è un’Europa senza ebrei e quindi, e prima di tutto un’Italia senza i medesimi. Discriminare è giusto; ed abbiamo discriminato”.
Gerarchia, ben più di un qualsiasi giornale asservito comunque al fascismo, quale poteva essere il Corriere della Sera o Il Messaggero o La Stampa, che passata di forza da Frassati ad Agnelli, mentre tutti i redattori venivano esclusi dalla professione perché attivi antifascisti e l’editorialista Luigi Ambrosiani moriva di crepacuore a seguito delle ripetute minacce della Milizia, inaugurerà una rubrica di indubbio significato: “La piovra giudea”; quale poteva essere, nella provincia italiana, la Voce di Bergamo che, quando Ernesto Rossi fu ripreso dopo la fuga dal treno, titolò:” Una carogna al laccio…”.
La “carogna al laccio” è l’autentico antifascista Ernesto Rossi, ma da imitare sono i comportamenti di Indro Montanelli, e stomachevole è che a sostenerlo sia quell’area antifascista – ma quanto oggi? – che con Ernesto Rossi subì anni e anni di carcere, anni e anni di confino, mentre l’”antifascista” Montanelli era in Albania, e non è che un esempio, per descriverla “con impressioni vive, autentiche” in quanto, come scrive nella sua premessa ad Albania una e mille: “Chiamato a visitare l’Albania… consegnai questo mio ‘panorama’ a Chi di dovere… Il primo dovere di un amico è quello di dire all’amico le sue manchevolezze. E dunque questo libro sarà utile specialmente al popolo schipetaro. Ma spero che lo leggano con un po’ di interesse anche gl’Italiani, perché essi si sono ormai assunto, verso l’Albania, un grave compito. Questo compito – ne siano certi i miei amici albanesi – l’Italia di Mussolini lo assolverà. Lo assolverà in pieno”, Indro Montanelli, Maggio 1939-XVII
RADIO BARCELLONA E LA SCUOLA CHE NON C’È PIÙ è un capitolo tratto da TUTTI ZITTI (un’edizione fuori commercio), giudicato da Vittorio Sgarbi “veramente divertente e vero”.
Vittorio Sgarbi che il 31 marzo 1994, da Canale 5, così si era espresso:
“Quel modesto giornalista, sopravvalutato dalla nostra cultura del consenso…il più mediocre, il più modesto storico italiano”. “Indro Montanelli non è quello che avete pensato per tanto tempo; è un vigliacco, un pavido, un uomo che ha tradito. Un uomo che è stato fascista, razzista, antisemita. Tutto”. “Questa copertina” (afferrata “La Voce” e mostrata la prima pagina alle telecamere), “è la prova della vigliaccheria di Indro Montanelli: un uomo che, fascista fino in fondo, traditore fino in fondo, ribalta contro l’altro quello che è lui”.
3 ottobre 2001: alla Biblioteca Nazionale di Roma viene ricordato, a due mesi dalla scomparsa, Indro Montanelli; tra i presenti Vittorio Sgarbi, sottosegretario ai beni culturali, evidentemente pentito del giudizio lapidario dato su Montanelli, se si è sentito in dovere di non mancare ad una cerimonia che ne ha magnificato la figura insigne.
TUTTI ZITTI, fedeli al titolo e ai sottotitoli, VILI, CONNIVENTI E COMPLICI – ANTIDEMOCRATICI DI IERI, ANTIDEMOCRATICI DI OGGI, finanche chi, come Vittorio Sgarbi, lo ha giudicato “veramente divertente e vero”, per poi affossare tanto l’esistenza del testo, quanto quella del suo autore.
TUTTI ZITTI: fedele testimonianza di un sistema ben radicato e diffuso, che di democratico conserva solo il nome, predominando la viltà, la connivenza, la complicità, come non predominarono neppure sotto la tanto esecrata dittatura fascista.
Fa testo, ad esempio, in contrapposizione all’insegnamento di Carlo e Nello Rosselli, Corrado Augias, mostrandosi evidente quanto lontana sia da lui la lezione di vita che hanno dato i fratelli Rosselli e quelli che, come loro, non hanno sbugiardato se stessi rinunciando al diritto di essere liberi.
Altrettanto si può dire di Fausto Bertinotti, che miglior lezione non poteva dare tradendo, infangando, con i suoi reiterati “silenzi”, la memoria di chi non combatté a chiacchiere, per i propri ideali e per il futuro di un’Italia migliore, il nazi-fascismo e prima ancora il fascismo, in ottemperanza a quello che “ogni uomo ha di più sacro: l’amore e il rispetto della verità” come rivendicava a chiare lettere “La nostra lotta” (stampa clandestina del Partito comunista).
“Amore e rispetto della verità” che a Fausto Bertinotti e a tutti quelli che come lui si comportano, non ultimo Giuliano Ferrara, non devono andare proprio giù.
TUTTI ZITTI, ancora oggi come allora, nel 1995, per interessi che nulla hanno a che spartire con norme e leggi che la riconquistata democrazia si è data contro ogni genere di discriminazione.
P.S. Fedele testimonianza di un sistema in cui tuttora prevale la cultura dell’omertà o la legge antidemocratica del più forte sono i recenti inediti L’ITALIA ILLEGALE DEL CONDISCENDENTE PRESIDENTE ED EX PRESIDENTE CARLO AZEGLIO CIAMPI – inimmaginabile realtà e IL PERPETUO IMBROGLIO. Per contattare l’autore indirizzare a: Silvano Strazza, Casella postale n. 1141 – 16121 Genova centro; e-mail: silvanostrazza@libero.it