20 guerre dienticate nel mondo (15°): Filippine

tratto da:
Guida del mondo 2005/2006. Il mondo visto dal Sud – Ed. EMI (Editrice Missionaria Italiana)

L'indipendenza del 1946 non portò cambiamenti sociali. Nel paese vige ancora il sistema della hacienda, in cui grandi estensioni di terreno vengono coltivate da mezzadri. Più della metà della popolazione è contadina e il 20% degli abitanti possiede il 60% della terra. Il mezzadro, che ha a disposizione solo 2 ettari di terra, riceve all'inizio del contratto la metà del raccolto però, di fatto, la gran parte delle entrate serve per pagare i debiti da usura contratti con il cacique, il padrone.
Il Partito Nazionalista (conservatore, legato ai latifondisti) continuò a governare fino al 1972, quando Ferdinand Marcos, presidente dal 1965, dichiarò la legge marziale. Nel 1986 le forze d'opposizione si ribellarono ai continui abusi di Marcos, aprendo così il cammino alla democratizzazione. Durante la sua presidenza vi fu una progressiva crescita della repressione, tanto contro i movimenti armati (dagli indipendentisti musulmani di Mindanao al Nuovo Esercito del Popolo, diretto dal Partito Comunista, di ispirazione maoista), quanto contro l'opposizione politica e sindacale. Frequentemente la repressione usufruì dell'appoggio militare statunitense.
La presenza della Chiesa cattolica è ben radicata nella società: ancora oggi il 75% dei filippini al di sopra dei dieci anni ha imparato a leggere in istituzioni cattoliche. Nel 1976 la Chiesa svolse un ruolo cruciale nella denuncia di brogli quando il referendum del 1976 approvò la legge marziale. Cinque anni dopo, 45 organizzazioni politico-sindacali si unirono nel boicottaggio delle elezioni fraudolente e anticostituzionali con cui Marcos pretendeva di restare al potere. Nel settembre del 1981, migliaia di persone manifestarono a Manila chiedendo la fine della dittatura e il ritiro dei militari statunitensi.
Il 21 agosto 1983, il leader dell'opposizione Benigno Aquino (Partito del Potere Popolare, socialdemocratico), vissuto a lungo in esilio negli Stati Uniti, fu assassinato mentre scendeva dall'aereo che lo riportava a Manila – crimine del quale venne accusato Marcos -. Ai funerali parteciparono circa 500 mila persone. La gente che sciamava per le strade si rifiutò di tornare a casa finché non fosse stato cacciato il dittatore.
Nel 1986, in un clima di crescente violenza e repressione, gran parte della popolazione fece pressione su Marcos esigendo elezioni anticipate e appoggiando la candidatura di Corazón Aquino, vedova del leader assassinato.
Nel febbraio del 1986 si svolsero le elezioni, con nuovi brogli elettorali volti a impedire la vittoria di “Cory” Aquino. Fu allora la leader stessa a esortare il popolo alla disobbedienza civile. Il ministro della Difesa di Marcos, Juan Ponce Enrile, tentò invano di attuare un colpo di stato: un milione di civili circondò i militari golpisti nel campo in cui si erano rifugiati. Marcos optò per l'esilio e Cory Aquino assunse la presidenza con Enrile quale ministro della Difesa.
La nuova Costituzione, approvata dalla maggioranza dei votanti nel referendum del 1987, concesse l'autonomia alle regioni di Mindanao e Cordillera; ciò rese possibile, in seguito, una tregua con i movimenti armati. Tuttavia, all'inizio del 1990 il Nuovo Esercito del Popolo abbandonò i negoziati di pace, dopo una serie di provocazioni contro i movimenti popolari e attentati a leader civili. La riforma agraria, che avrebbe dovuto essere il pilastro del governo per la trasformazione sociale, si diluì in un piano dagli obiettivi limitati dopo essere stata discussa in Parlamento, dove i latifondisti avevano una forte rappresentanza. Il futuro delle basi militari americane di Clark e Subic Bay iniziò a essere discusso nell'aprile del 1988, poiché il contratto con gli Stati Uniti sarebbe scaduto nel 1991.
Grandi disastri naturali, sommati ai conflitti sociali, misero a rischio soprattutto la popolazione infantile. Nel 1990 il 39% dei filippini aveva meno di 14 anni. Gli sforzi delle ONG per alleviare la situazione di questi bambini arrivarono a coprire solo una terza parte delle necessità. Il governo creò centri di accoglienza per i cosiddetti “rifugiati interni”, dove, seppure in maniera precaria, si prestò assistenza a un milione e 250 mila persone.
Nel corso del 1991 le pressioni di differenti gruppi regionali ed etnici, l'urgente necessità di una migliore distribuzione della terra e delle ricchezze e, forse, la vicinanza delle elezioni presidenziali del maggio 1992 fecero sì che Corazón Aquino istituisse l'Ufficio delle Comunità del Nord, che si occupò delle tribù e delle etnie della zona montuosa di Luzon, e l'Ufficio delle Comunità Culturali del Sud, che però non si occupava dei musulmani. Il personale di tali uffici fu reperito nelle comunità stesse.
Nel giugno del 1991 l'eruzione del vulcano Pinatubo uccise più di 700 filippini, rase al suolo un intero villaggio, causò l'esodo di oltre 300 mila persone e fece sì che la base aeronautica degli Stati Uniti (Clark) finisse completamente sepolta dalle ceneri, dopo essere stata evacuata.
Poiché la base aerea era inutilizzabile e i negoziati si rivelavano sempre più difficili a mano a mano che ci si avvicinava alla scadenza del contratto, gli Stati Uniti optarono per l'abbandono dell'isola. Il 26 novembre 1991 ebbe luogo il ritiro formale e definitivo dalla base di Clark, che contava più di 6 mila effettivi statunitensi e occupava più di 40 mila filippini in mansioni spesso umilianti.
25 dei 32 milioni di filippini con possibilità di votare parteciparono, nel maggio del 1992, alle elezioni, considerate le più ordinate e trasparenti nella storia del paese. Il vincitore fu Fidel Ramos, ex ministro della Difesa di Aquino.
Nel 1994 il governo di Ramos dovette ricorrere alle opposizioni per controllare l'evasione all'imposta sul valore aggiunto del 10%. Questa misura economica ottenne la fiducia del FMI, che concesse crediti al governo di Ramos e permise una crescita del PNL del 5%. Il vicepresidente Estrada lanciò una campagna contro il crimine che portò al licenziamento del 2% dei poliziotti e alla denuncia per associazione a delinquere di un altro 5%. La guerriglia comunista del NPA perse forza a causa delle divisioni interne e di un'amnistia accordata ai suoi membri dal governo.
Nel 1995 Imelda Marcos fu eletta deputata, benché fosse accusata di corruzione e avesse dei processi in corso. La Banca Svizzera restituì al paese 475 milioni di dollari depositati da Ferdinand Marcos. Il governo riteneva che esistessero miliardi di dollari nascosti in diversi conti.
L'eliminazione delle restrizioni sugli investimenti, la riduzione delle barriere doganali e la presenza di manodopera a basso costo attirarono gli investimenti esteri e il PNL crebbe del 6%. Nel 1995 entrarono nel paese 2 miliardi di dollari, corrispondenti alle rimesse di 4,2 milioni di lavoratori emigrati, per lo più collaboratori domestici residenti all'estero.
Alla fine del 1995 scoppiò una crisi alimentare senza precedenti, con un aumento del prezzo del riso del 70%. Si calcola che più di due terzi della popolazione vivesse in povertà. Le organizzazioni contadine accusarono il governo di attuare una politica agraria incoerente e corrotta, e chiesero una riforma che includesse l'industrializzazione delle attività rurali, l'autosufficienza alimentare e la protezione dell'ambiente.
Nonostante le proteste dei filippini cristiani, che costituiscono la maggioranza, il 30 settembre 1996 il governo e la guerriglia musulmana firmarono un accordo di pace. Nul Misuari, il leader del Fronte di Liberazione Nazionale Moro, divenne governatore di Mindanao, una regione autonoma che comprende circa un quarto del territorio nazionale.
Nel gennaio del 1998 migliaia di bambini di vari paesi del mondo marciarono per le strade di Manila per protestare contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Cominciò qui una campagna mondiale per migliorare la situazione di 250 milioni di bambini lavoratori.
In maggio il vicepresidente Joseph Estrada fu eletto presidente con il 37% dei voti. Nel marzo 2000 Salamat Hashim, leader del più importante gruppo islamico ribelle delle Filippine, propose un referendum per l'autodeterminazione dei musulmani del sud. I musulmani costituiscono circa il 5% della popolazione e vivono prevalentemente a Mindanao.
Centinaia di migliaia di filippini scesero in piazza in ottobre per chiedere le dimissioni di Estrada, mentre l'opposizione chiese che il presidente fosse messo sotto processo dopo che un suo amico lo denunciò per aver ricevuto tangenti per milioni di dollari dal racket del gioco d'azzardo illegale.
Il Parlamento indisse un processo contro il presidente al fine di deporlo. Dalle indagini emerse che Estrada era titolare di milioni di dollari in conti bancari aperti sotto falso nome. Questo scandalo scatenò proteste di massa che portarono alle dimissioni di Estrada. Il 20 gennaio 2001 il suo incarico fu affidato alla vicepresidente Gloria Macapagal Arroyo.
Lo scandalo delle tangenti coinvolse da vicino anche la presidente in carica in quanto, nell'ottobre 2001, il marito fu accusato di corruzione. Un ex impiegato del palazzo presidenziale accusò l'avvocato José Miguel Arroyo di avere accettato una tangente di oltre 900.000 dollari da un'impresa di telecomunicazioni in cambio dell'annullamento del veto presidenziale su un accordo di franchigia. Sia la presidentessa che il marito autorizzarono un'indagine ufficiale.
Nell'aprile 2002 fu dichiarato lo stato di allerta nella città di General Santos, nel sud del Mindanao, in seguito allo scoppio di diversi ordigni che causarono 14 morti. La polizia arrestò due sospettati, dichiarando che gli attentati erano opera del MILF.
In giugno il governo americano accusò cinque leader del gruppo filippino ribelle Abu Sayyaf, legato ad al-Qaeda e a Osama bin Laden, del rapimento e dell'uccisione di due cittadini americani. Nello stesso periodo, anche un'infermiera americana era stata rapita da Abu Sayyaf ed era rimasta uccisa durante un'operazione di salvataggio condotta dalle truppe filippine.
Nell'ottobre 2002 Abu Sayyaf, il cui obiettivo principale era la creazione di uno stato musulmano nel sud delle Filippine, compì una serie di attentati contro grandi magazzini e una chiesa, causando 8 morti e 170 feriti. Cinque persone furono arrestate e condotte a Manila.
Il 23 gennaio 2003, Rómulo Kintanar fu ucciso in un ristorante a Manila. Negli anni '80 Kintanar era stato un dirigente del Partito Comunista, dal quale però si era successivamente distaccato. Il partito si assunse la responsabilità dell'omicidio, attribuendolo al suo braccio armato, il Nuovo Esercito del Popolo.
In un rapporto pubblicato nel gennaio 2003, Amnesty International denunciò l'uso della tortura contro prigionieri politici nelle carceri filippine. Tra coloro che erano più a rischio di essere torturati vi erano i presunti membri di gruppi armati con i loro sospetti simpatizzanti, nonché criminali comuni e membri di comunità povere ed emarginate.
Nel marzo 2004, secondo il presidente Gloria Macapagal-Arroyo, quattro membri di Abu Sayyaf furono arrestati e 36 chili di esplosivo confiscati, scongiurando così un attentato terroristico delle proporzioni di quello compiuto a Madrid l'11 marzo. Secondo quanto affermò la Arroyo, uno degli arrestati si era dichiarato colpevole dell'esplosione del 27 febbraio a bordo del SuperFerry 14 in cui morirono oltre 100 persone. I sospetti, che erano stati addestrati dalla rete terroristica Jemaah Islamiah, legata ad al-Qaeda, progettavano attentati contro treni e negozi a Manila, città con dieci milioni di abitanti.
Alle elezioni generali del maggio 2004 votarono per la prima volta centinaia di migliaia di filippini che vivono e lavorano all'estero. La maggioranza di questi lavoratori inviano denaro alle loro famiglie rimaste nelle Filippine. Gli analisti politici affermano che il voto degli emigranti potrebbe essere cruciale per i destini del paese. Uno dei gruppi politicamente più attivi di emigranti filippini è quello di Hong Kong (quasi 90.000 votanti registrati). Connie Bragas-Regalado, leader del Partito degli Emigranti che rappresenta i lavoratori di Hong Kong, ha dichiarato che bisogna salvaguardare i diritti degli emigranti filippini che lavorano in 186 paesi e che è necessario fare leggi per proteggerli.
Nello stesso mese, almeno 19 persone morirono e centinaia rimasero senza tetto a causa del tifone Nida che colpì duramente le province orientali delle Filippine.
Alle elezioni presidenziali, Gloria Arroyo vinse il suo secondo mandato, contro Fernando Poe junior.
In giugno, iniziarono in Norvegia nuovi colloqui di pace tra il governo e il partito ribelle Nuovo Esercito del Popolo.
Il 15 luglio, Manila decise di iniziare il ritiro del piccolo contingente di truppe filippine mandato in Iraq. Il ritiro si verificò prima del previsto a causa delle minacce alla vita di Ángelo da Cruz, un camionista filippino sequestrato da un gruppo di ribelli iracheni. La decisione rappresentò un rovescio per gli USA, perché fece seguito al ritiro dei contingenti di Spagna, Repubblica Dominicana e Honduras. Il 21 luglio, quando ancora le truppe filippine non avevano terminato il loro ritiro dall'Iraq, Ángelo da Cruz fu liberato dagli iracheni. Da Cruz si trattenne nella capitale degli Emirati Arabi Uniti, Abu Dhabi, per una visita medica prima del rimpatrio.
Nell'aprile 2005 il MILF e il governo annunciarono che durante i negoziati di pace in Malaysia hanno raggiunto un accordo sulle terre ancestrali di cui i ribelli rivendicavano la proprietà da trant'anni.
Nel febbraio 2006 la presidente Arroyo proclamò lo stato di emergenza in seguito all'arresto di molti ufficiali dell'esercito, accusati di congiurare contro di lei. Anche 4 deputati di sinistra e 12 leader dell'opposizione vennero accusati di complicità nel tentato golpe.
In giugno Arroyo firmò una legge che aboliva la pena di morte. 1.200 condanne alla pena capitale furono così commutate in ergastoli.
Nel dicembre 2006 il tifone Durian provocò oltre 1.000 morti.(conflittidimenticati.it)

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