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UN’ALTRA ECONOMIA àˆ POSSIBILE

di Nino Lisi

La Sinistra l’Arcobaleno è attesa nell'immediato da un impegno fortissimo: lottare allo stremo perché siano risarciti quanti hanno vissuto (i pensionati) e vivono di lavoro – subordinato, parasubordinato e fintamente autonomo che sia – e per evitare che la crisi incombente scarichi su di loro, più che su altri, i propri deleteri effetti.
Per farlo avrà bisogno di tutta l' intelligenza, la scienza e la passione di cui potrà disporre. Speriamo che se la cavi.
Ma bisogna essere realisti e franchi. Per ben che vada, quel che riuscirà ad ottenere starà tutto dentro i limiti segnati dalle stramaledette compatibilità del sistema. Non c'è da farsi illusioni. Ciò non dipenderà dall'insipienza né dalla debolezza della sinistra. Dirò di più. Anche se la Sinistra invece che in minoranza andasse in maggioranza e controllasse il governo, non potrebbe fare di più. Non potrebbe andare al di là delle compatibilità, perché rischierebbe il collasso del sistema le cui conseguenze sarebbero pagate in misura catastroficamente maggiore proprio da coloro che la sinistra intende tutelare: cioè dai più deboli, da chi non vive che del proprio lavoro e da chi neppure ce l'ha.
Per questo non ci si può fermare al risarcimento e alla difesa. Bisogna andare più in là.
In effetti La Sinistra l’Arcobaleno ci sta provando, proponendo la centralità del lavoro.
Ma che vuol dire, che senso ha in una società in cui tutto è funzionale ad un'economia il cui motore è il profitto e che si basa sul paradigma della crescita, secondo cui se non c'è crescita non c'è ricchezza da ripartire? In una società così strutturata e in un'economia siffatta, la centralità è del profitto non del lavoro. In questa fase del capitalismo – che la si chiami post fordista o globalizzazione – il lavoro non può che essere marginale e precario.
Marginale: non perché i lavoratori siano scomparsi o si sia ridotto il loro numero, ma perché la grandissima libertà nella scelta della localizzazione degli investimenti (consentita dalla possibilità di controllare da lontano l'organizzazione e l'andamento delle produzioni) e la sostituzione del lavoro vivo con ritrovati tecnologici che lo hanno detronizzato dal ruolo di fattore sul quale imperniare l'organizzazione dei cicli e dei processi produttivi. In altri termini il lavoro da fattore pregiato e non abbondante è divenuto abbondante e meno apprezzato. Essendo mercificato è svalorizzato, come avviene in condizioni del genere per qualsiasi merce.
Precario: perché la produzione, per aderire al meglio all'andamento dei mercati ed ottimizzare l'impiego dei fattori, è divenuta flessibile; di conseguenza anche il lavoro è divenuto flessibile. Ma quando vi è sproporzione tra domanda ed offerta, la flessibilità del lavoro si traduce inevitabilmente in precarietà.
Proporre la centralità del lavoro significa dunque proporre un altro modello di economia e di società.
La Sinistra l’Arcobaleno, probabilmente, ne sta prendendo coscienza dal momento che dichiara che va messo in discussione questo modello di società e di economia. Ma questa affermazione che senso ha?
Vuol dire che si è posta nella prospettiva di una società non più soggetta alle compatibilità del sistema economico e di un'economia che non sia più l'asse intorno al quale l'intera società è organizzata, ma torni ad essere una sua funzione, importante ma non dominante? Vuol dire tendere ad un'economia che miri a diffondere benessere in tutta la società e non a massimizzare i profitti? Vuol dire avere assunto consapevolezza che il benessere, che pure non può non avere una base materiale, si sostanzia soprattutto della ricchezza che sta nell’intreccio delle relazioni che ognuno/a ha con tutte/i gli altri e le altre e con l'ambiente, e nella possibilità per ognuno/a di partecipare alle decisioni che più da vicino lo/a riguardano?
Agli occhi di molti questa prospettiva potrebbe apparire come un'utopia o, peggio, una stupidaggine, una folle scemenza. Non è così. Gli economisti più avvertiti ne sono coscienti. Lo testimonia l'ampia letteratura che tratta di un'economia diversa, di volta in volta chiamata del benessere, della felicità, dei beni relazionali. Bisogna ora fare entrare anche nel senso comune che un'altra economia è possibile, anzi che è necessaria e che condizioni e soggetti per costruirla esistono già.
Non ci vuole molto a chiarirlo.
Quanto alle condizioni, è vero che la globalizzazione non è per ora arrestabile perché i rapporti di forza non lo consentono. Ma la globalizzazione non segna la fine della storia, non investe tutta l'economia e non coinvolge né tutte le aree territoriali né tutte le fasce sociali. Inoltre, mentre c'è una abbondanza eccessiva di prodotti che in parte non piccola vanno ad alimentare il fiume dei rifiuti, c'è una grande domanda non solo di servizi ma anche di beni, ed in particolare di beni relazionali, che resta inappagata, perché appagarla non darebbe profitti interessanti per chi si muove nella logica della massimazione del profitto. Infine, per quanto solido e capace ancora di lunga vita, il modello economico nutre in sé contraddizioni insanabili che ormai stanno venendo alla luce.
Si tratta dunque di sfruttare queste opportunità, ovviamente non per soppiantare d’un tratto il modello economico dominante, ma per costruirne un altro che con esso coesista, competa e, occorrendo, confligga. Per poi, nel lungo periodo, sottrargli spazi con la tecnica del “cuci e scuci” che si adopera quando si vuole costruire un edificio senza abbatterlo: edificando un pezzo nuovo prima di tirare giù quello che va sostituito..
Quanto ai soggetti coinvolgibili in una operazione del genere, vi è una pluralità di forme nuove di intraprendere che vanno dalle imprese sociali ad esperienze di autogestione, ad attività di vicinato; tutte queste vanno ad aggiungersi ad una parte non trascurabile del mondo cooperativo e del settore no-profit e a quella moltitudine di imprese che secondo alcuni costituirebbero il “capitalismo molecolare” e che secondo Sergio Bologna di capitalistico hanno ben poco o nulla. E poi c'è l'arcipelago delle iniziative volte ad organizzare un consumo responsabile.
Portare a sistema questi soggetti, che ora operano il più delle volte ignorandosi e nemmeno avendo chiara la propria specificità, non è impossibile se si mettono in atto politiche di sostegno adeguate e soprattutto se si diffonde una cultura appropriata, della cooperazione, della solidarietà e del fare. Cominciamo, a questo riguardo, con lo smascherare la grande menzogna che trova credito non raramente anche a sinistra, secondo cui se non c’è crescita, la ricchezza non aumenta sicché non vi sarebbe nulla da ridistribuire. Diciamolo che non è vero. Che è una truffa che serve per fare andare avanti le cose così come sono.
Certo quella che si delinea è un'operazione difficile, da condurre contemporaneamente su due piani, perché mentre si lavora per costruire dal basso l'alternativa al modello di economia e di società esistente, occorre difendere strenuamente ciò che si è conquistato in termini di diritti e di welfare. Ed è anche un'operazione che non si compie in poco tempo. Ma cominciarla subito si può. Quel che occorre è una politica che parta dal basso, dai territori, riconosca la valenza politica della società civile e da una parte ne sostenga gli sforzi di trasformarsi in una società solidale e dall'altra supporti la formazione di un'economia del benessere.
La Sinistra l’arcobaleno se l’assume questa sfida? E’ questo che intende dire quando afferma di voler mettere in discussione l’assetto attuale della società e dell’economia? Intraprendere una politica che parta dalla società e non dalle alchimie partitiche?
Se così fosse, o sarà, riuscirà a suscitare speranze e mobilitare le energie che le occorrono per vincere la sfida(sin.dem.it)

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