di Michele Prospero
Pare ormai acquisito il quadro di queste elezioni, che sembrano così grigie eppure sono piene di conseguenze durevoli sugli assetti del sistema politico. La rincorsa del Pd (ma c’è mai stata davvero?) è ferma al palo. Solo il soccorso di una stampa amica (e anche qualcosa in più che amica) ha costruito un po’ ad arte l’immagine di un voto conteso, con prospettive reali di recupero. Storie, solo piccoli trucchi per nascondere la mediocre cronaca di un successo annunciato. La vera posta in gioco del voto, proprio per le allegre scelte del Pd di presentarsi alla testa di una microcoalizione che imbarca di tutto (Ichino e Nerozzi, Binetti e Bonino, Del Vecchio e Pardi) ed è tenuta insieme solo dalla ferrea esclusione della sinistra (di ogni sinistra autonoma, dai socialisti alla sinistra arcobaleno), non è certo la conquista del governo. Berlusconi, purtroppo, Palazzo Chigi l’ha già in tasca, per grazia ricevuta e può persino permettersi di mostrare trasparenti segnali di stanchezza. Il pullman girovago, l’inflazione di promesse (per le imprese, per i pensionati, per le casalinghe, per i giovani, per gli studenti, per le famiglie, per i precari) non hanno spostato un solo voto dalla destra al Pd. La strada di gareggiare con Berlusconi sottraendogli l’arma un tempo letale delle promesse-spot non ha funzionato. Anche perché il cavaliere, che purtroppo fiuto ne ha da vendere, ha giocato stavolta una partita diversa, quella di un’Italia inginocchiata e in declino che deve pensare solo a rialzarsi e quindi non può essere più ingannata con la seduzione dei miracoli. Gli annunci di miglioramenti che ogni settimana Veltroni snocciola con un predeterminato (e alquanto ingenuo) scadenzario urtano troppo con il vissuto reale dei cittadini e con il disincanto sulle reali azioni di governo per essere presi sul serio.
Il populismo mite, che salta ogni referenzialità della proposta programmatica, più che prova di una bella politica è un ulteriore e micidiale colpo alla credibilità della politica infestata da una inflazione di promesse leggere. Ricevere lezioni di realismo politico da Berlusconi è proprio il colmo e comunque non dev’essere un indizio di accettabile stato di salute della classe dirigente italiana. Forse quando Veltroni dice che non è mai stato comunista c’è da credergli perché mai il Pci (che in condizioni di crisi parlava di austerità e persino di sacrifici senza contropartite!) avrebbe ridotto la politica a spot a buon mercato. La serietà della proposta e il rigore dell’analisi politica sono ormai svanite. La democrazia è ridotta a rincorsa della stravaganza (della ragazza ben introdotta che viene portata a Montecitorio solo per far fruttare lì, così dice, tutta la sua inesperienza), a scoperta, complice il sondaggio, del regalo più gradito agli elettori-spettatori. Il colpo che così Veltroni infligge alla politica è davvero mortale: i diritti, le conquiste, i miglioramenti non sono il risultato di conflitti o battaglie civili e sindacali ma sono il frutto non più proibito del sondaggio che rivela dove si rivolgano gli umori di soggetti passivi e induce il politico a promesse senza costi. Questa spregiudicata campagna mediatica che concede magnifici diritti per tutti pur di salire di un decimale nei sondaggi non consentirà al Pd di vincere, lo aiuteranno però a rendere ancor più la politica un furbesco chiacchiericcio, un gioco futile a chi la spara più grossa. Più che statisti, gli uomini del Pd sembrano degli aspiranti babbo natale.
In questa cupa metamorfosi di una forza riformista moderata in agenzia pubblicitaria che promette le magnifiche sorti e progressive, forse si nasconde un po’ di disperazione, la paura per una inevitabile resa dei conti interna dopo il voto. Con un centro destra sempre più sbilanciato a destra e che nondimeno annuncia misure impopolari, il Pd rivela tutte le sue difficoltà competitive. Sempre più indistinta formazione di centro, il Pd non sfonda però tra i moderati. Non ha ai loro occhi la serietà programmatica dell’Udc, che blocca ogni ipotetico afflusso di voto centrista, denuncia la deriva populista del “Veltrusconi” e resiste con ammirevole determinazione alle sirene berlusconiane del voto utile. Trovando tutte le strade ostruite, al Pd non resta, per rendere meno amara la sconfitta, che cercare di incassare qualche voto in più con trovate stravaganti. Un briciolo di voti, quelli in grado solo di portarlo un po’ più in su, fino a qualche decimale oltre quel 33 per cento che già aveva sommando i voti dei radicali. A questo chiasso per il voto utile e per un pugno di schede si riduce tutto il clamore delle piazze del “si può fare”. La vera posto in gioco di domenica allora è chiara. Non il governo, quello l’hanno già assegnato alla destra. Ma una piccola crescita del Pd ai danni della sinistra, questa è la posta in gioco di una campagna dispendiosa che alla fine lascerà solo cocci e illusioni fastidiose e un po’ puerili.
In questo oceano di inganni, fiere delle vanità e annunci di prodigiosi miracoli la sola cosa tremendamente seria è proprio la persistenza della sinistra in Italia. Il Pd intende eliminare la sinistra pensando di farne facile terra di conquista con l’arma impropria del voto utile. Il rischio che passi questa leggenda di un voto utile a contrastare la marcia di Berlusconi è reale. Dopo il danno, di una vittoria graziosamente concessa a tavolino al cavaliere, anche la beffa, di una sinistra scomparsa o marginale. Un paese consegnato proprio dal Pd nelle mani di Berlusconi prima ancora di combattere e anche senza più una sinistra di qualche rilievo sarebbe un disastro di portata storica. Sulle istituzioni cadrebbero macerie e più nessun argine esisterebbe al presidenzialismo che Pd e Pdl hanno già messo in agenda. Per questo la posta in gioco più importante, quella di maggiore rilevanza storico-politica, non è certo quella di aiutare Veltroni a perdere meglio /(per poi stravolgere la costituzione con Berlusconi) ma è quella di contribuire alla sopravvivenza di una autonoma sinistra di governo. Dovrà anch’essa rinnovarsi molto in culture, forme di rappresentanza, soggettività e organizzazione. Ma intanto la sinistra che c’è deve vivere, non ci sono alternative. La vera novità delle elezioni è il risultato della sinistra, ma anche dei socialisti e, nei settori moderati, dell’Udc, forze che possono spezzare l’asfissiante duopolio in gestazione ed evocare un nuovo e più sobrio sistema politico destinato a prendere il posto dello sgangherato bipolarismo antico. Berlusconi e Veltroni hanno invece giocato con le armi vecchie (potere di ricatto del cospicuo premio di maggioranza) in una fase politica nuova che non è più quella delle megacoalizioni e dei presidenzialismi striscianti. Il loro disegno è anacronistico e spregiudicato, anacronistico perché sogna un impossibile bipartitismo, spregiudicato perché a corto di argomenti e di analisi politica autentica si ritrova sorretto solo dal potere coercitivo della legge elettorale. Ad aprile si scontrano due idee della democrazia: quella cesaristica e presidenzialista condivisa da Pd e destra e quella partecipata e parlamentare difesa dalla sinistra costituzionale. Come in tanti altri passaggi della storia repubblicana, il voto utile è quello che mette al riparo la democrazia dalle fughe neoautoritarie.(sin.dem.it)