“Sì, possiamo”

Fino a non molti mesi fa solo pochi immaginavano che il sen. Barack Obama avrebbe avuto tutte le carte in regola per farsi eleggere candidato alla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Le primarie americane non sono ancora finite (finiranno il 25 agosto), ma Obama sembra avere ormai la maggioranza dei consensi. La sua immagine, benché decisamente nuova, ricorda alcuni aspetti del presidente F. D. Roosevelt (1882-1945), in particolare la sua capacità di legare il superamento della crisi degli anni Trenta all’allargamento del consenso, al coinvolgimento di tutto il popolo americano con programmi di politica economica che cercavano l’integrazione del cittadino dentro alla società del benessere. Vinse la sfida attraverso il New Deal e consentì al suo paese di affrontare da vittorioso la tremenda prova della seconda guerra mondiale. I fatti ci diranno se sul terreno del governo dell’economia Barack Obama sarà all’altezza di un riferimento così importante.
Uno degli argomenti discussi durante le primarie americane è quello della crisi dei mutui “subprime” per la casa, crediti concessi dalle banche senza vere garanzie di solvibilità e che, con il rallentamento del ciclo economico, hanno messo migliaia di famiglie in condizioni di insolvenza. L’attenzione si è poi spostata sulle possibili soluzioni. Segno dei tempi che cambiano. Un tempo argomenti del genere erano riservati ad un pubblico ristretto. Parlare di banche, fondi di investimento, borsa, riguardava una fascia ristretta di elettorato. Oggi non più. Dimostrare di avere soluzioni credibili da proporre ai cittadini sulla crisi finanziaria che il paese attraversa e sul governo dell’economia con proposte che tutelino i più deboli senza esagerare con il populismo, tutto ciò costituisce per i candidati un banco di prova di notevole importanza.
Naturalmente non ci sono solo questi problemi. Il rallentamento dei consumi, le incertezze della “middle class”, il conflitto in Iraq e i lutti che esso comporta, la legislazione sull’immigrazione che impedisce a milioni di immigrati irregolari, ma presenti da anni, di regolarizzare il soggiorno, anche questi sono problemi che il nuovo presidente dovrà risolvere.
Sullo sfondo della crisi delle ipoteche immobiliari si profilano cambiamenti epocali che pongono ai candidati il problema di elaborare strategie non più solo congiunturali, ma all’altezza delle attuali trasformazioni del sistema economico e finanziario mondiale. Nuovi paesi che ancora solo uno o due decenni fa si affacciavano sulla scena mondiale, la Cina, l’India, il Sud-Est asiatico e il Brasile, ne sono ormai diventati protagonisti a tutti gli effetti. La crisi delle banche e delle istituzioni finanziarie americane private come la Meryll Lynch e la Morgan Stanley è stata risolta con acquisizioni miliardarie da parte delle banche centrali asiatiche. Esse detengono inoltre quote rilevanti di titoli del debito pubblico americano. Singapore, la Cina, Abu Dhabi e Dubai, paesi esportatori di beni di consumo o di petrolio, hanno fondi che ormai crescono di mille miliardi di dollari all’anno e sono diventati in questo modo proprietari di quote importanti del sistema bancario mondiale.
Quali regole definire per disciplinare i mercati finanziari, dopo anni di “de-regulation”, e quale debba essere il ruolo della politica per fare in modo che al cittadino sia assicurato il potere di decidere qualcosa della vita propria e del proprio paese? Potrebbero sembrare temi esclusivamente americani ma non lo sono e gli effetti della crisi finanziaria che si sono riversati sulla nostra Europa sono estremamente al riguardo.
Su questi temi ci pare che Barack Obama stia dicendo cose importanti. Parleremo del suo programma politico quando, se vincerà le primarie, avrà un maggiore grado di definizione. Pensiamo che Obama sia il candidato capace di porre gli Stati Uniti nuovamente come punto di riferimento delle aspirazioni di democrazia per tutti quei paesi del mondo un tempo “emergenti” e ora definitivamente emersi. Certo, se Obama vincerà le primarie e poi le elezioni, per tanti motivi, non ultimo per come ha saputo trattare la questione razziale nel suo paese, saremo in molti a festeggiare un presidente che sentiremo un po’ anche nostro.
(www.franconarducci.com)

Editoriale pubblicato sul “Corriere degli Italiani”

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