Perchè la cultura italiana é tanto trascurata per noi?

LA TRIBUNA DI MARIO BASTI

Pochi giorni fa, il 9 marzo la comunitá italiana dell’Argentina ha perduto uno dei suoi componenti benemeriti, alla cui memoria ognuno di noi dovrebbe inchinare il capo in segno di cordoglio e di omaggio, di un omaggio pienamente meritato, anche se non erano numerosi quelli che lo conoscevano, soprattutto perchè alla Sua competenza professionale, e alla sua azione efficace univa una modestia esemplare: non era un dirigente, eppure con la sua vita esemplare ha meritato il rispetto, l’ammirazione di tutti quelli che hanno a cuore la diffusione della cultura italiana in Argentina. Vita esemplare di professore della Lingua e cultura italiana, nella Casa che la comunitá degli italiani operanti in Argentina ha edificato come centro principale di diffusione della nostra lingua e della nostra cultura, la Dante Alighieri, cui seppe dare diffusione e prestigio l’indimenticabile avv. Dionisio Petriella.

Il benemerito che ci ha lasciato il 9 marzo, meritevole dell’omaggio di tutta la comunitá italiana é il prof. Walter Gardini, che a tanti ha insegnato ad esprimersi nella lingua di Dante, a tanti ha trasmesso i valori universali della nostra cultura. Ha infatti insegnato anche alla Scuola Cristoforo Colombo e all’Universitá argentina El Salvador.
La nostra cultura: la sua diffusione é stata sempre trascurata da Roma qui, cioé in un paese come questo, nel quale la presenza italiana é tanto rilevante e avrebbe potuto essere perció notevolmente valorizzata, anche rispondendo ad aspettative che piú diffuse non potevano essere.
Consentimi, caro Lettore, di ricordare al riguardo un episodio personale di una trentina di anni fa. Ero allora direttore del “Corriere degli Italiani” e il presidente di Feditalia, Luigi Pallaro mi invitó a partecipare ad una riunione di Associazioni italiane che aveva organizzato nell’accogliente sede dell’Associazione Italiana di Gral. Pico, nella Pampa. Credo che fosse quella la prima visita alla Associazione di un gruppo di italiani di varie provincie dell’Argentina ed é pertanto comprensibile che fosse considerata un evento di notevole importanza. Quando Luigi Pallaro -che ovviamente non era ancora senatore, ma giá allora con passione era impegnato a risvegliare i sentimenti di italianitá nell’unione, cominció a parlare, uno dei presenti lo interruppe e ad alta voce gli chiese: “Mandateci un insegnante di italiano, chiedete al governo italiano che ci mandino un insegnante di italiano”. Pallaro chiese a chi di dovere, perchè è chiaro che FEDITALIA non disponeva di insegnanti, ma gli italiani di Gral. Pico stanno ancora aspettando che arrivi l’insegnante che avrebbe dovuto mandare lo Stato italiano o forse non l’attendono piú perchè il sentimento di attesa non puó avere una durata di decenni…

La morte del prof. Gardini mi ha fatto ricordare questo episodio e mi ha fatto pensare ancora, come tante volte prima, che dovrebbe avere prioritá l’impegno per ottenere dal governo di Roma che imposti rapidamente la soluzione di questo problema. Soluzione che significa anzitutto che in un Paese come l’Argentina, ove sono tanti, piú che in tutti gli altri Paesi, gli italiani emigrati e i loro discendenti, non basta stanziare pochi milioni di sussidio per poche scuole o associazioni (meno delle dita di una o due mani) per inviare qui una diecina di professori di alto prestigio ad occuparsi dell’insegnamento dell’italiano ai figli di emigrati e credere di fare cosí una politica culturale, solo con l’Istituto di Cultura. E allora, trascurati gli emigrati perchè da mezzo secolo parlano abitualmente in spagnolo, si trascurano anche i loro figli che sentono la fierezza delle radici italiane, ma non hanno scuole o associazioni ove apprendere la nostra lingua e cosa è l’Italia. Non possono apprenderlo nell’unica scuola italiana con professori e contributi adeguati, scelta soprattutto perchè era necessaria per i figli dei funzionari pubblici e privati che non sono emigrati.
E allora – trascurati gli emigrati, perchè da mezzo secolo parlano abitualmente in spagnolo, si trascurano anche i loro figli che sentono la fierezza delle proprie radici italiane ma non hanno scuole italiane, sicchè dove va a finire l’italianitá presente da un secolo e mezzo in questo Paese? A chi la raccomandiamo, da chi aspettiamo una vera organica soluzione, visto che, a quanto si dice, l’Italia é agli sgoccioli?
Quale puó essere allora la soluzione? Penso e ripenso, credo che possa essere una sola. E cioé che i pochissimi senatori e deputatiche eleggiamo perchè informino al Parlamento -Senato e Camera – sulla nostra realtá, e lo impegnino a stanziare piú, piú, piú fondi anche per la comunitá italiana in Argentina, affinchè non svanisca fra breve la nostra presenza culturale italiana, di cui della metá dell’Ottocento ci vantiamo giustamente.
Speriamo allora negli Onorevoli che eleggeremo fra meno di un mese, speriamo che come noi, essi credano nella prioritá della cultura e perció siano impegnati a risolvere soprattutto questo gravissimo problema.

Ma dipende solo da loro?
Da un po’ di tempo ho i miei dubbi! Da quando, circa un mese fa, ho letto in fondo alla prima pagina del “Corriere della Sera” (25 febbraio) un corsivo, come sempre brillante, ma questa volta tanto sconfortante di Francesco Alberoni, nel quale si dice che nelle scuole italiane la Storia non é piú di moda. Scrive Alberoni:
“Un tempo si studiava la storia dell’Occidente (Egitto, Grecia, Roma, Italia, Europa) una prima volta alle elementari, poi nelle medie inferiori e di nuovo, in modo piú approfondito, nelle medie superiori. Con la mondializzazione si sarebbe dovuto aggiungervi l’India e Cina. Invece nel nome della lotta al nozionismo e in base al principio marxista che non contano le personalitá ma i fattori economici, sono stati cancellati i nomi dei personaggi, gli accadimenti piú importanti e le date. Il risultato é che gli studenti che arrivano all’universitá non sanno quando sono vissuti Buddha e Confucio, quando é stato ucciso Giulio Cesare, quando é vissuto Maometto, quand’é avvenuta la prima crociata, quando é vissuto Dante, quando sono accadute la guerra dei cent’anni o la Riforma Protestante”
E dopo valide osservazioni su cosa significa non conoscere la propria storia. Afferma:
“Noi siamo la nostra storia. Chi la dimentica, lo smemorato, non sa piú che é. E lo stesso vale per i popoli, per le civiltá.
Se volete capire la forza, la vitalitá, la solidarietá di una coppia, di un’impresa, di un partito, di una nazione fate parlare la gente della sua storia”.
Alberoni, citate quindi Grandi nazione fiere delle loro origini: Francia,USA,musulmani, ebrei”,cosí conclude: “Se gli italiani hanno smesso di insegnare la storia ai loro figli é perchè stanno perdendo la fiducia in se stessi, non sono piú orgogliosi di ció che hanno fatto nel passato, non credono piú di poter fare cose importanti nel futuro.Chi cancella la sua storia perde la speranza. Solo chi la ritrova, ritrova la speranza.”
Ma… gli Onorevoli italiani – i pochi di qui, i molti di là – delle due Camere, condivideranno?

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy