Partito Democratico ma senza socialismo

di Paolo Pillitteri

La concomitanza del voto spagnolo, ma anche francese, con le elezioni italiane, porta a inevitabili similitudini e, ovviamente, ai non meno schivabili, ancorchè ingannevoli, wishfull thinking. Le cosiddette pie illusioni. Le quali hanno colto il pur agile Veltroni – agile nel senso di acrobazie ideologiche nelle scelte degli stessi candidati – facendolo speranzosamente parlare di vento favorevole che spira in Europa, di onda lunga destinata a lambire il “suo” Pd, prima o poi. Per chi suona la campana, se non per i socialisti? Le cose stanno così? Non credo. E ciò non solo o non tanto per la diversità dei tre casi, quanto, e soprattutto, per la distanza del “suo” (di Veltroni) Partito Democratico dal Psoe di Zapatero e da quello francese, socialismi entrambi col vento favorevole. Intanto, un leader come Zapatero, che ha vinto ma non stravinto al suo secondo mandato, si guarderebbe bene dal riempire le liste del Psoe di contraddizioni viventi come se non esistesse nessun criterio di minimo comun denominatore per cui, vedi certi esempi nel Pd ma non solo, si registrano, fra i candidati della stessa lista, posizioni assolutamente divaricanti dove la sintesi spetta al leader unico Veltroni. Dicono: è un effetto del Porcellum. No, è a causa di una democrazia del nulla svolta in contenitori senza alcuna identità precisa ma, semmai, sommatoria. Peraltro, il socialismo di Zapatero, oltre a possedere radici profonde nel tessuto storico, sociale e culturale spagnolo (ricordate Felipe Gonzales?), è fondato sulla laicità irreversibile dello Stato (come quello francese) dalla quale fa derivare il culto e l’estensione dei diritti civili – il cosiddetto socialismo dei cittadini – in un quadro di libertà, di garanzie e di tolleranza. L’altra discriminante è la politica economica zapateriana che, come quella di Blair dopo la Thatcher, è agevolata dalle scelte liberiste e modernizzanti di Aznar, riprese ed estese da Zapatero. Chapeau per entrambi. Da noi è accaduto l’opposto, non solo per la limitatezza liberalizzatrice del governo Berlusconi ma anche per la scelta prodiana di (s)governare con le estreme pur di battere il Cavaliere, conducendo nel baratro la sinistra, soprattuto quella massimalista o arcobaleno che dir si voglia. La cui sconfitta a Madrid, quella sì risuona come una campana, ma a morto. Veltroni, e ciò va detto a suo merito, correndo da solo ha rotto con la convivenza nella gauche plurielle. Il fatto è che quando parla di onda lunga e di vento socialista europeo dimentica che il “suo” Pd non è affatto socialista, non affonda le radici in una storia, in una tradizione, ma in più storie, in più tradizioni. Ciò che Veltroni ha compiuto è di una radicalità senza precedenti in Italia: ha cambiato il Dna della “sua” sinistra amalgamando ex pci berlingueriani ed ex dc dossettiani – antisocialismo, stato etico, giustizialismo di fondo, integralismo religioso, riassumunedoli sotto una cifra nuova, diversa, all’americana senza l’America, socialista senza il socialismo, laica senza la laicità. Non il ma anche, ma il “ma senza”. Per di più in debito permanente con il potente partito dei giudici, da cui l’accordo con l’emblematico Di Pietro e il ripudio di Boselli. Intanto, Pannella inglobato e “ingannato” da Veltroni, fa lo sciopero della sete. Veltroni come Zapatero, ma va…

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