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A UNDICI ANNI DALLA STRAGE DI OTRANTO

di Giuseppe Chimisso *)

L’umile e di sovente solitario ma determinato impegno, dell’associazione albanese Skanderbeg di Bologna, nel ricordare con molteplici iniziative nel corso degli anni, la strage del venerdì di Pasqua del 1997 seguita all'affondamento della Qater i Radës dopo lo speronamento da parte della corvetta militare Sibilla, impegno teso nell’auspicare la ricerca della verità e della giustizia per il centinaio di vittime ed i familiari, si scontra con la tragica realtà odierna caratterizzata dalla rimozione dalla coscienza civile di questa terribile strage della quale non si ricorda quasi più nessuno e soprattutto quasi nessuno parla, il che stride assai con l’asserita necessità di conservare la “memoria storica”, parola d’ordine tra le più gettonate, ma che puntualmente si conferma come pura retorica.
Eppure l’affondamento della motovedetta albanese merita di essere accostata ai numerosi, mostruosi episodi di strage che caratterizzano la storia recente dell’Italia. Senza suggerire una somiglianza d'ispirazione, è innegabile una similarità formale ed esecutiva, anche in ordine ai reiterati tentativi di insabbiamento, non solo per gli estenuanti tempi dilatatori delle vicende processuali, giunte nel 2005 a salomoniche conclusioni giudiziali, …… ma per il funesto strascico di intimidazioni, depistaggi e morti sospette. Nel caso in questione occorre però registrare, e non dimenticare che la coscienza umanitaria della Sinistra – allora al governa in tutte le sue componenti – rimase olimpicamente indifferente alla tragedia, come d’altro canto non si possono tacere le efferatezze della Destra che non si contarono, basta ricordare le truci affermazioni della Irene Pivetti di pochi giorni prima dell’affondamento: “buttateli a mare!” o di altri politici che invitavano ad usare ‘proiettili intelligenti’ e che sollevarono trasversali cori di plauso e di solidarietà con i carnefici.
Quest’anno nell’undicesimo anniversario della strage di Otranto, un momento di riflessione collettiva sarebbe stato oltre che opportuno, civile, non solo per quella tragedia, ma anche per le numerose altre che si sono succedute fini ad oggi nel canale di Sicilia; un momento di riflessione inteso nel fare memoria del presente ed immane scempio che l’umanità vive nella carne di milioni di suoi figli costretti dalla povertà, dalle guerre, dalle discriminazioni ad abbandonare i propri paesi, a costo di grandi sacrifici e lutti, per giungere qui fra noi e vivere troppo spesso miseramente da paria nell’indifferenza generale, antesignana dell’espulsione violenta.
Comunque questa è una strage che a differenza delle altre non sembra meritare nessuna commemorazione pubblica, nessuna contrizione di politici: forse perché le vittime erano “stranieri” e nella fattispecie albanesi?
Abbiamo chiesto, a suo tempo, una onorificenza per l'avvocato arbëreshë Giuseppe M. Baffa, legale di molte delle famiglie delle vittime, morto nel gennaio del 2000 in uno strano incidente stradale mentre si recava a Brindisi per la prima udienza del processo e nel gennaio del 2003 alla moglie veniva consegnata la Medaglia d'Oro al Valor Civile della Repubblica albanese.
I governi italiani invece hanno avuto fretta di dimenticare: noi chiedevamo un indennizzo extragiudiziale per i familiari delle vittime, per agevolare la loro partecipazione al processo, sono stati stanziati, invece, cinque milioni di euro resi disponibili alla condizione che le somme spettanti a ciascuna vittima a vario titolo si intendessero come completa e definitiva soluzione delle liti.
L'inganno dopo la beffa. – Tacitare, distogliere l'attenzione dalle gravissime responsabilità, far dimenticare: questo è stato l'atteggiamento dell'Italia ufficiale, che si presenta così diversa dall'Italia di Baffa, della solidarietà spontanea delle popolazioni rivierasche che hanno prestato le cure che potevano ai profughi che si presentavano sulle loro coste.
L'Associazione Skanderbeg ancora una volta invita a riflettere, invita a pretendere giustizia vera, invita la classe politica tutta a prendersi carico sino in fondo delle proprie responsabilità.
Fare memoria, allora, è ridare ai vivi, ai morti, ai dispersi, a chi vive fra noi da clandestino e non può far sentire la sua voce, è ridare a noi stessi quella dignità che è inscindibile di ogni essere umano, al di là di ogni definizione giuridica, di ogni individualità e diversità di provenienza e di cultura.

*) Associazione albanese Skanderbeg, territorio metropolitano di Bologna

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