Riforma della scuola

di Cristian Ribichesu

riceviamo e volentieri pubblichiamo

Dal documento d’analisi della Scuola italiana, il Quaderno bianco, stilato attraverso il lavoro concertato del Ministero all’Istruzione con quello dell’Economia, risulta che gli studenti italiani, con buone competenze di lettura nella scuola primaria, peggiorano qualitativamente sia in competenze che in conoscenze durante gli anni delle scuole secondarie di primo e secondo grado, distinguendosi in Europa per i bassi livelli di preparazione.
I dati rilevati, confermati anche dalle indagini OCSE-PISA, Invalsi e Tuttoscuola, non lasciano dubbi sul malfunzionamento del nostro sistema scolastico, pur considerando che gli studenti italiani sono quelli che “consumano” più ore all’interno delle stesse scuole. Probabilmente, anche da una realtà emersa dal lavoro di tecnici che si occupano d’istruzione, in quel passaggio che vede uno spostamento dell’attenzione verso la valutazione delle competenze in luogo delle conoscenze, con l’agevolazione dei laboratori scolastici per l’acquisizione di competenze trasversali, si è teso verso uno sbilanciamento a favore di attività afferenti a diverse materie scolastiche, per altro importanti e non accessorie. Purtroppo lo sbilanciamento si è esplicato in una ridotta attuazione, e quindi valorizzazione, proprio di quelle materie scolastiche, quali le materie letterarie (italiano, storia e geografia) e logico-matematiche, che servono agli alunni per analizzare meglio la realtà, comunicare e interagire con il mondo che li circonda. Da questo spesso scaturiscono problemi capaci di generare diatribe sull’interpretazioni delle valutazioni con la certificazione delle competenze minime che consentono il passaggio degli alunni ai diversi gradi e cicli superiori dell’Istruzione.
Da più parti, e sono le indagini che lo certificano, si tende alle promozioni attraverso l’acquisizione di competenze sempre minori, con un abbassamento dei livelli culturali su scala nazionale. Infatti, a parte i dati che vedono l’Italia fra gli ultimi posti in Europa e, purtroppo, la Sardegna fra le ultime regioni in Italia, la preparazione dei nostri studenti è tale che, nelle selezioni per l’ammissione a corsi universitari a numero chiuso, capiti di constatare risultati pessimi. Così, quella che doveva essere una maggiore diffusione della cultura, per una crescita sociale e anche economica del nostro Paese, come detto, si è trasformata in un sistema in cui i livelli sono diminuiti e, sempre riferendosi agli studenti che, spesso anche per penuria di lavoro, intendendo con questo un lavoro fisso e non certo quella pletora degradante, per le persone, di lavori a tempo determinato, a progetto o a collaborazione, frequentano le Università italiane e arrivano alla laurea riportando grosse lacune di base, per non dire del fatto che spesso non sanno scrivere in un corretto italiano la stessa tesi, e basterebbe chiederlo ai nostri colleghi dei vari atenei.
Sovente, quindi, le promozioni sono immeritate, rispetto a una buona formazione d’un futuro cittadino, e se alcuni sostengono che in questo modo il sistema dell’Istruzione aiuti chi proviene dalle fasce più deboli della società, allora dovrebbero considerare il fatto che invece questo processo non fa altro che aumentare le “forbici sociali”. Esemplificando, infatti, tutti ottengono il titolo di studio, ma solo chi proviene da un contesto socio-culturale e economico elevato, in questo modo, avrà più possibilità di successo lavorativo con un percorso che, ormai, arriva ben oltre la laurea.
Anche alcuni tecnici, analizzando il “Quaderno bianco”, hanno affermato che bisogna recuperare molte conoscenze per migliorare le competenze e indubbiamente, quindi, occorre tornare a una scuola meritocratica con un innalzamento dei livelli culturali: sapere e saper fare ma in alcuni casi sapere per saper fare. I laboratori di qualsivoglia materia sono importanti, ma i nostri studenti devono migliorare le competenze in cui sono più carenti, quelle letterarie e logico-matematiche.
Ponendo nuovamente il dito sulla piaga, non per mortificare quanto per criticare la situazione e richiederne un miglioramento, proprio i giovani della regione sarda sono quelli, in Italia, che leggono meno, se ne deduce così che, se devono essere creati laboratori pluridisciplinari, questi dovrebbero privilegiare la lettura e l’amore per i libri, pure in funzione dello studio delle materie tecnico-pratiche.
Altro grave problema è quello del numero degli alunni per classe, che si prospetta debbano aumentare a una media di 33 per docente (già adesso siamo a medie di 26/30 alunni per classe, che in alcune statistiche risultano meno per calcoli che vengono falsati dai casi di piccole realtà o dal computo, nel totale, degli insegnanti di sostegno, ma le situazioni scolastiche urbane, dove si concentra la maggior parte della popolazione studentesca, non lasciano dubbi sull’elevato rapporto alunni/docente). A volte può capitare di sentire che i docenti, generalizzando, non prendano in considerazione la situazione contestuale di un alunno, se non anche le esigenze e le problematiche dell’alunno in quanto persona in formazione. A volte, anche, s’indicano agli insegnanti diverse strategie di lezione per coinvolgere gli studenti, riversando le problematiche dell’insegnamento sulla supposta mancanza di queste. Evidentemente si generalizza nuovamente, si sminuisce l’operato degli insegnanti, tecnici dell’istruzione che adottano le più differenti tipologie d’insegnamento, e non si coglie il nucleo centrale del problema, ovvero che, per effettuare lezioni quasi individualizzate, nel rispetto del singolo, è necessario avere classi meno numerose, di 16/18 alunni. Fa piacere, comunque, sentire che anche tra i tecnici del Ministero all’Istruzione e/o degli uffici scolastici regionali si dica che in tanti sarebbero favorevoli alla diminuzione numerica del rapporto alunni/docenti, magari destinando alcuni soldi per i progetti a favore dell’assunzione degli insegnanti.
Ragionando onestamente risulta che questo tipo di scuola, con classi sempre più numerose, abbassamenti dei target e frammentazioni eccessive tra discipline e laboratori da una parte e riduzioni delle conoscenze negli stessi libri di testo, non rende. Evidentemente, dato che la verità è palese agli occhi di tutti, anche per riformare il sistema dell’Istruzione è urgente affrontare un problema di questione morale.
Da tempo, ormai, e in diversi spazi, si chiede una riforma dell’Istruzione che veda la diminuzione degli alunni per classe e il conseguente aumento di assunzioni nel corpo docente (e tra l’altro occorrerebbe controllare le destinazioni dei docenti, ovvero se, insegnanti assunti con contratti di 18 ore alla settimana per l’insegnamento di determinate materie, vengono utilizzati per questo o per attività legate alle materie per cui ogni insegnante è tecnico), un ritorno ad un sistema meritocratico, il recupero di una educazione persa e l’innalzamento dei livelli culturali.
Per altre categorie di lavoro gli stessi lavoratori si muovono per richiedere le dovute migliorie. Sarebbe importante, adesso, al di là dello schieramento che salirà al Governo, che gli stessi insegnanti, i vari collaboratori scolastici, le associazioni sindacali e tutte quelle altre persone che lavorano nell’Istruzione, si adoperino per richiedere i cambiamenti suddetti, magari attraverso qualche forma di petizione firmata. Il sistema scolastico italiano non può più essere agli ultimi posti della classifica europea, la Scuola deve ritornare a dare speranze ai giovani, formandoli, rendendoli meritevoli e preparandoli per diventare ottimi cittadini!

già pubblicato su www.italoeuropeo.it

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