di TOMMASO MERLO
E' un luogo comune sbagliato ritenere che gli inglesi siano meglio di noi in tutto. Chi ha avuto la possibilità di vivere in Inghilterra non da turista, sa che i problemi sociali che affliggono il Regno Unito hanno la stessa puzza di ogni altro paese industrializzato, e anche peggiore. Nella campagna elettorale in corso c'è però un punto su cui gli inglesi ci possono aiutare a riflettere, quello della gerontocrazia. Il Ministro degli esteri inglese David Miliband ha 43 anni, il Ministro dello sviluppo internazionale (cioè della cooperazione che da noi neanche esiste) Douglas Alexander ha 41 anni, quello del lavoro James Purnell ha 38 anni. Il Ministro dei Trasporti Ruth Kelly ha 40 anni e quello dell sport e dello spettacolo Andrew Burnham ha 38 anni. Il Ministro dell'educazione Ed Balls ha 41 anni mentre gli altri, compreso il Primo Ministro Brown, sono tutti intorno ai 50. Insomma, dei ragazzini rispetto ai dinosauri italici che superati ampiamente i settanta ancora ritengono le propria intelligenza politica necessaria al Paese. Lasciamo stare i risultati concreti di tale intelligenza, ma concentriamoci su quel tarlo nella cultura politica che impedisce all'Italia un sacrosanto e democratico ricambio generazionale. Nominare un giovane implica una dose di rischio più alta rispetto alla nomina del solito disonauro. Un rischio che in realtà rileva una forte dose di fiducia. Fiducia nel contributo portato dalle nuove generazioni, fiducia nelle nuove cononoscenze, fiducia nel sistema politico e istituzionale nel quale quel giovane opererà. Significa credere nel cambiamento e nella sua necessità e positività. E soprattutto, la nomina di un giovane significa credere nel merito e nella capacità del proprio sistema di selezionare i migliori. Molti giovani ministri inglesi si sono distinti nelle università, se in Italia si adottasse lo stesso criterio rischieremmo di trovarci tra i piedi i vassalli di qualche barone (meglio cercare quelli bravi tra i cervelli in fuga). Ma puntare su un giovane è anche desiderio e voglia di innovazione. Spinta, curiosità, determinazione verso nuove frontiere e quindi fiducia che il progresso non venga dalla vittoria intestina col nemico politico o dalla difesa ad altranza del vecchio, ma dalla ricerca costante di nuove soluzioni. In Italia le poltrone che contano sono frutto dei soliti equilibri di potere all'interno del Palazzo. Nomine fatte pensando al tornaconto di qualche corrente e non al contributo che quella persona può offrire alla collettività. Insomma, il ricambio generazionale è frutto di una cultura politica aperta al futuro e meritocratica. Ed è una pratica indispensabile al buon funzionamento di una democrazia che l'Italia non si può più permettere di ignorare.