Site icon archivio di politicamentecorretto.com

IL PIACERE ASSOLUTO DELL’OMERTA da IL PERPETUO IMBROGLIO

“È mai possibile che in un paese civile e democratico, quale l’Italia si professa, nessun organo di informazione abbia almeno colto l’occasione per riprendere, se non per approfondire, quanto l’allegato: “A me piace parlar chiaro per chi ci ascolta”, Michele Santoro, pubblicato su politicamentecorretto.com, denuncia e svela, quando ci si sofferma o ci si dilunga su argomenti che spesso lasciano il tempo che trovano?
E’ mai possibile che ad oggi tanto la cultura dell’omertà quanto la legge antidemocratica del più forte abbiano il sopravvento, affossando così la democrazia, sui valori tanto conclamati, sull’onestà, sui diritti inviolabili dell’uomo?”.

Premesso, a scanso di giustificazioni di comodo, che è scontato che tutto sia possibile, salvo l’immortalità, si è preso atto che LA TV DELLA LIBERTÀ (“entra nella tv della libertà: la tua voce”), ha ritenuto del tutto irrilevante che i valori tanto conclamati, che non escludono la libertà, possano venire affossati come non si fa neppure con i rifiuti di casa propria.
LA TV DELLA LIBERTÀ che vanta di essere “la tv della gente fatta dalla gente. Fai sentire la tua voce alla tv della libertà, potrai raccontare, denunciare i problemi piccoli e grandi dell’Italia”, “…per un’informazione davvero completa; telefona, scrivi alla tv della libertà”, ma che, al contrario, testimonia quanto i lavaggi del cervello e la propaganda siano ancora in auge e contraddicano, nella realtà, il loro messaggio.
Se a Michele Santoro piace parlar chiaro per chi lo ascolta, è probabile che sia così, perlomeno a chiacchiere, anche per Gianni Riotta, direttore del Tg1. Di certo, tv della libertà o no, Gianni Riotta ha continuato ad eludere, proprio lui che a suo tempo rimproverò al brigatista dissociato Enrico Fenzi di eludere tutti i perché, tutto ciò che nel corso di un ventennio gli è stato denunciato. Perché?
Se un’incognita poteva invece essere rappresentata da Sergio Romano, relativa essendo già stato contattato nel marzo del 1996, non c’è voluto molto per ricredersi:

19 marzo 1996
“Egregio dottor Romano,
non Le sembra un po’ strano che fino ad oggi tutte le persone da me interpellate abbiano eluso, con il loro silenzio, che l’omertà è patrimonio della cultura mafiosa o di regimi autoritari?
Ovvero che “una che è una” non abbia considerato che il caso di palese omertà che l’allegato Tutti zitti descrive non riguarda solo il suo autore in una società che si ritiene civile?
Confido che Lei, al contrario dei finti ciechi, dei finti sordi e dei finti muti, come ciechi, sordi e muti si sono sempre dimostrati i codardi, nonché coloro i quali temono la verità perché hanno qualcosa da nascondere, zitto non stia.
Spero, quindi, ammesso che sperare in Italia abbia ancora un senso, di non dare modo, un domani, ai benpensanti del momento, di speculare sulla mia pelle, magari rammentando che costringere o spingere un uomo al suicidio è omicidio.
Scusandomi per la crudezza del linguaggio, inevitabile se si vuole rappresentare la realtà per quella che è, resto nell’immaginabile attesa, l’attesa di chi si vede via via letteralmente affossare vivo, e porgo i miei migliori saluti”.

Non c’è voluto molto per ricredersi in quanto il direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli, ha anche dimostrato, come direttore editoriale di Rizzoli-Corriere della Sera, occultando nel più classico degli stili della cultura mafiosa quanto gli si è denunciato, che è possibilissimo, e non da oggi, in un paese civile e democratico, quale l’Italia si professa, che tanto la cultura dell’omertà quanto la legge antidemocratica del più forte abbiano il sopravvento sui valori tanto conclamati – per i quali non pochi hanno dato la vita, andrebbe sempre ricordato non solo quando conviene – sull’onestà, sui diritti inviolabili dell’uomo.
Se ciò non fosse Sergio Romano, dalle colonne del “Corriere della Sera” diretto da Paolo Mieli: Lettere al Corriere – Risponde Sergio Romano, avrebbe affrontato senza alcuna remora, con le prevedibili ripercussioni che casi del genere suscitano, quanto si è sistematicamente impedito che arrivasse all’opinione pubblica violando – reiteratamente – i tre principi deontologici ai quali la legge dell’Ordine vincola tutti i giornalisti, Paolo Mieli incluso: la ricerca della verità, la lealtà e la buona fede.
Legge a cui Eugenio Scalfari mai ha smesso di richiamarsi, prendendo e riprendendo posizione al riguardo: “La nostra deontologia ci fa obbligo di dire tutta la verità, soltanto la verità, nient’altro che la verità da buoni testimoni quali vogliamo essere. E la verità è appunto questa che ho appena scritto, piaccia o non piaccia”.
Salvo poi sentirsi svincolati dalla verità tanto invocata ed ingannare i lettori per non dover fornire loro tutti gli elementi indispensabili per la costruzione di un proprio autonomo giudizio. Non ultimo in tal senso Eugenio Scalfari, sono i fatti a parlare, piaccia o non piaccia.
Dati di fatto che testimoniano come Eugenio Scalfari, in questa come in altre circostanze, abbia dato davvero poco peso a quella deontologia di cui all’occorrenza si fa scudo.
Che “i dati di fatto vanno rispettati” lo sentenziò l’indiscusso e indiscutibile Indro Montanelli, il che non è poco se a ciò si uniscono i tre principi deontologici ai quali la legge dell’Ordine vincola tutti i giornalisti: la ricerca della verità, la lealtà e la buona fede, in quanto “è obbligo inderogabile” dei giornalisti “il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”, eppure ad essi ci si richiama solo quando conviene, per ragioni di parte, altrimenti si calpestano come ciottoli del selciato.
Un dato di fatto, ad esempio, tra i molteplici già ampiamente descritti in più e più pagine che documentano episodi raccapriccianti per un paese civile e democratico, è che per Indro Montanelli – mostro sacro del giornalismo, maestro di vita, nonché storico di grido – il fascismo non fu un regime spietato e vessatorio: silente, accondiscendente Bertinotti e i comunisti come lui, ovvero tutti, plaudente Carlo Azeglio Ciampi che lo indicherà quale esempio da seguire.
Dati di fatto che l’allora condirettore dell’Unità, Piero Sansonetti, non mancò di porre sul banco degli imputati sostenendo, il 23 settembre 1997, che “è da ciechi negare che la stampa italiana sta vivendo un periodo di crisi acutissima”, con il rischio di divenire “subalterna al modello-Feltri”, ossia ad un campo di battaglia.
Piero Sansonetti che, fingendosi a sua volta cieco, nonché sordo e muto, non ha cambiato registro in qualità di direttore di Liberazione, giornale comunista, modello-Bertinotti (si ricava dall’analogia dei comportamenti), per non dover riconoscere quei dati di fatto che in “A me piace parlar chiaro per chi ci ascolta”, Michele Santoro, salterebbero inevitabilmente agli occhi di chiunque per viltà, connivenza o complicità non se li tappi.
Poteva distinguersi Enrico Mentana, non parlando o scrivendo delle cose di cui parlano tutti, Enrico Mentana allora direttore del Tg5 (“il nostro compito è darvi i fatti”), rendendo pubblico quanto gli è stato denunciato, non ultima la più bieca e reiterata violenza morale che una persona possa subire?
Poteva, ma non lo ha fatto né allora né oggi. Chissà che cosa intendeva dire, o quale messaggio, presumibilmente captato dal destinatario, intendeva lanciare, proclamando “il nostro compito è darvi i fatti”, per poi disattenderlo?
Se a tutto ciò c’è una risposta, Antonio Ricci, il padre e padrone di Striscia la notizia, la trasmissione fustigatrice per eccellenza di ogni sorta di “malcostume”, potrebbe, ribaltando il concetto secondo il quale la matematica non è un’opinione, non aver ritenuto opportuno intervenire in alcun modo sulle denunce (se non con la sua trasmissione almeno con altra forma), avallando quindi che possano rientrare nella norma e nella legittimità sia il predominio di puro stampo mafioso sia quello di matrice antidemocratica, a scapito, a costo di essere ripetitivi, dei valori tanto conclamati, dell’onestà, dei diritti inviolabili dell’uomo.
“Scherzi” di cattivo gusto a parte, SecondoVoi, trasmissione di Italia Uno che raccoglie le opinioni della gente sul tema del giorno, ma che SecondoNoi bacchetta, con Paolo Del Debbio, qualunque intervistato, peraltro sconfessandolo in sua assenza, che non risponda secondo le aspettative e che non sia in linea con il fine perseguito dalla trasmissione, ha maggiormente avvalorato con il suo silenzio complice, quanto sia facile prendersi gioco dei cittadini evitando di rispondere a due precisi e semplici interrogativi posti senza secondi fini.
Non avendo la verità in tasca, ma una nuda e cruda documentazione che l’attesta, diversamente da Corrado Augias, che sprizza verità da tutti i pori, a lui ci si richiama trascrivendo qui di seguito l’ultima lettera al suo indirizzo:
31 gennaio 2008
Invio a mezzo racc.
(consegnata il 4 febbraio)

Spett.le
Le Storie – Diario Italiano
Egr. Dr. Corrado Augias
Via Ettore Romagnoli, 30
0137-Roma

Egregio dottor Augias,
“a me piace parlar chiaro per ci ascolta”, ha affermato Michele Santoro, e altrettanto ha fatto Lei il 30 c.m. sostenendo: “qui non ci sono cose che non possono essere dette”.
Se così è, perché non affrontare quanto non da oggi denuncio e svelo, ad esempio proprio con l’allegato “A me piace parlar chiaro per chi ci ascolta”, Michele Santoro, pubblicato su politicamentecorretto.com il 30 novembre u.s.? O debbo prendere atto che Lei continui a ritenere giustificabile che vi siano casi in cui tanto la cultura dell’omertà quanto la legge antidemocratica del più forte possano avere il sopravvento sui valori tanto conclamati, sull’onestà, sui diritti inviolabili dell’uomo?

Corrado Augias, che mai si è sentito in dovere di rispondere, è evidente che continua a ritenere giustificabile che vi siano casi in cui tanto la cultura dell’omertà, quanto la legge antidemocratica del più forte, abbiano il sopravvento sui valori tanto conclamati, sull’onestà, sui diritti inviolabili dell’uomo.
Corrado Augias che, continuando a non riconoscere il sottoscritto in quanto soggetto dotato di una sua propria attività intellettiva che ragiona, riflette e argomenta, per non assumersi le sue proprie precipue responsabilità, continua a disconoscere la pari dignità tra cittadini.
Corrado Augias che, nell’Italia post-fascista, mai ha rettificato una virgola in merito al finto processo, tenuto a Cortina d’Ampezzo il 15 agosto 1992 e da lui presieduto, che ha avuto come protagonista assoluto Indro Montanelli: “adorabile imputato”.
Uno spettacolo, la messinscena tenuta a Cortina, degno della peggior dittatura con la consequenziale riprova che l’Italia mai è stata il paese che si dà ad intendere, non avendo generato il disgusto e lo scandalo (pur con le prediche quotidiane di moralisti, di opinionisti di ogni ordine e grado, di strenui difensori di libertà e di democrazia) che simili spettacoli avrebbero generato in paesi in cui non si ritiene disonesto solo chi è in debito con la giustizia, in paesi in cui i valori e i principi che li governano non vengono elusi impunemente, essendone preteso il rispetto.
Fatta eccezione per un numero ristrettissimo di voci, comunque destinate ad essere considerate pattume, siano pur esse di coloro, non pochi, i quali hanno dato la vita per i valori tanto conclamati, ma dal cui esempio pare non essere scaturita che una data: 25 aprile 1945, anziché l’insegnamento, ad esse ci si richiama riportando qui di seguito le loro reazioni ad una fedele ricostruzione del finto processo, occultata nel più classico degli stili della cultura mafiosa, per viltà, connivenza o complicità.
“Spettacolo veramente indegno”, è stato ritenuto dal comitato provinciale dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Pavia, “che anziché essere inchiostrato dalla macchina da scrivere andrebbe pubblicato su tutti i giornali d’Italia”, ha proposto l’Anpi di Vercelli, “spettacolo tale da far nascere amare considerazioni, che ogni democratico può senz’altro condividere, sulla vita e sull’opera, passata e presente, del giornalista Montanelli”, ha rilevato la commissione giuridica del comitato provinciale dell’Anpi di Trento, “macroscopica impudenza, tanto più grave in quanto scaturita da una regia di intellettuali”, ha sottolineato il comitato provinciale dell’Anpi di Macerata.
“Secondo me tener fede ai propri errori quando i fatti ci hanno dimostrato che tali sono, non è coerenza. È disonestà”, Indro Montanelli.

(IL PIACERE ASSOLUTO DELL’OMERTA’ è tratto da IL PERPETUO IMBROGLIO di Silvano Strazza, un libro che documenta quanto sia ancora lontana, prevalendo la cultura dell’omertà o la legge antidemocratica del più forte, un’informazione autenticamente libera e indipendente che, in quanto tale, anziché parteggiare per gli uni a danno degli altri, ha il compito di fornire, sia a chi legge sia a chi ascolta, tutti gli elementi indispensabili per la costruzione di un proprio autonomo giudizio. Per contattare l’autore indirizzare a: Silvano Strazza – casella postale n. 1141 – 16121 Genova; e-mail: silvanostrazza@libero.it).

Exit mobile version