DISASTRO PAKISTAN

Andrea B. Nardi

Il paese più importante nella guerra contro gli integralisti talebani sta vivendo uno dei momenti peggiori della sua storia, in primis perché si sono vanificate tutte le illusioni di progresso democratico e civile – lotta al terrorismo compresa – dei decenni scorsi, e in secondo luogo perché all’orizzonte non s’intravede alcuna soluzione. Fallimento su tutta la linea, quindi.
Il prossimo 18 febbraio c’è in calendario la consultazione elettorale, eppure togliamoci dalla testa che il suo significato sia anche lontanamente paragonabile al concetto occidentale di democrazia. Innanzi tutto non è affatto sicuro che la data venga rispettata arrivandosi veramente al voto. La gente ha paura, elettori e candidati: il terrore di fare la fine della Bhutto sta costringendo la campagna elettorale dei vari partiti in una dimensione di totale low profile, specie rispetto alle modalità faraoniche in voga da queste parti. Sulle strade campeggiano poster propagandistici, ma rari e sottotono sono i comizi, senza che nessun politico abbia intenzione di avventurarsi sulle strade e nelle piazze per parlare alla popolazione.
La popolazione… In realtà, il corpo elettorale è bel lungi dal rappresentare la popolazione pakistana. Anche se si votasse, l’eventuale presidente vincitore rappresenterebbe appena il 4-6% dell’intero popolo, infatti le liste elettorali hanno limiti molto stretti, tanto più che in tutto il paese solo il 10% degli abitanti possiede un documento di identità. In definitiva, chiunque venga eletto sarà ben lontano dal rappresentare la maggioranza della nazione.
Poi c’è il versante deprimente dei partiti. Fare politica in Pakistan è, oltre che molto costoso, anche terribilmente pericoloso. È un’élite assai chiusa e corrotta, fatta di dinastie politiche; il resto della società sana, i giovani, per esempio, si guardano bene dal partecipare: sanno di non avere speranza.
Il Ppp, quello di Benazir Bhutto, è guidato dal diciannovenne Bilawal Zardari, figlio di Benazir e di Asif Zardari. Quest’ultimo, marito di Benazir, è ampiamente detestato, e non sono pochi a crederlo implicato, assieme alla moglie, nell’assassinio del fratello di lei, Murtaza Bhutto, ucciso nel 1996, e su cui i Bhutto non richiesero mai indagini approfondite. La stessa Benazir era stata dipinta in Occidente come un’eroina martire della democrazia, ma nella realtà fu sempre un politico inetto e corrotto.
Il Pml-q è il partito di Musharraf. Le sue quotazioni sono ai minimi storici, sia fra coloro che lo credono implicato nell’attentato alla Bhutto, sia per il calo di popolarità fra chi ne comprende la demagogia populista e l’incapacità a governare.
In tutto questo si avvantaggiano le formazioni islamiche integraliste, le quali, senza bisogno di alcuna rivoluzione violenta, potrebbero allearsi in un grande partito nazionale e prendere il potere nel modo più democratico possibile: una tragedia per l’Occidente, considerando che per la prima volta i barbuti mullah avrebbero il controllo della bomba atomica.
Per questo nessuno in Pakistan auspica delle elezioni davvero libere e prive di brogli; per questo Washington e Londra parlano di un “ragionevole grado di addomesticamento del risultato elettorale”. L’obiettivo è far vincere una coalizione di partiti moderati per mantenere in vita il male minore: il regime di Musharraf, sperando che si decida a combattere almeno i talebani. Ma questa è una guerra impossibile, almeno sino a quando lo stesso servizio segreto pakistano, l’Inter-Service Intelligence (Isi), è colluso con gli jihadisti e considerato dal Foreign Office britannico il vero governo ombra del Pakistan di cui il medesimo Musharraf sarebbe ostaggio.
Nel frattempo i talebani sfruttano questo impasse organizzandosi. A dicembre nel South Waziristan c’è stata una riunione di quaranta capi d’organizzazioni militari per creare una nuova forza di guerra chiamata Tehrik Taliban-i-Pakistan, con lo scopo di combattere in Afganistan e in Pakistan.
Tuttavia, nonostante la pericolosità di queste strategie belliche e terroristiche, il punto focale della sconfitta del governo e degli alleati occidentali è un altro, ed è inquietantemente simile a ciò che accade in Medio Oriente. L’incapacità, cioè, del regime di fare ciò che fanno benissimo gli integralisti islamici alleati dei talebani: essere vicini alla gente. Essi ricevono consensi sempre maggiori perché si occupano direttamente di assistenza sociale, specie fra i più poveri, riempiendo il vuoto colpevole delle strutture statali. Nelle madrasa si mangia gratis, su studia, si fa parte di una comunità, ci si sente un po’ meno sfruttati e abbandonati, mentre il governo si occupa di far affari con le multinazionali straniere, incurante dei bisogni della gente.
Ancora una volta la colpa degli Usa e dell’Occidente è di puntare su leader lontani dalle necessità concrete delle popolazioni governate, salvo poi abbandonarli a sé stessi non appena perdano irrimediabilmente il consenso popolare. Così è capitato alla stessa Bhutto, convinta dalla Rice a tornare in politica, e lasciata sola appena diventata impopolare con dichiarazioni assurde che, più che pro-America, sembrarono agli elettori anti-Pakistan.
E se dovesse ritirarsi anche Musharraf, nessuno dubita che il suo successore sarebbe altrettanto insulso e subornato. Fino a che un colpo di stato non porterà al potere i famosi integralisti. Allora tremeremo.

Andrea B. Nardi, scrittore, il suo ultimo libro è il romanzo storico Ecce Deus (Robin Edizioni), www.andreanardi.it

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