Mi vergogno. Come cattolica, per il sostegno che i fedeli hanno espresso, sì, ma tardi, limitandosi a scuotere, silenziosi, la testa davanti alle proteste. Mi vergogno come abitante di Roma, la “città del dialogo” decantata dal sindaco Walter Veltroni, che non rifiuta asilo a nessuno, neanche ai criminali recidivi, ma nega il diritto di parola al Papa. Mi vergogno come laureata di quell’ateneo, che è stato teatro di una manifestazione, non di civile dissenso, ma di reale e ostentata intolleranza. Mi vergogno come ex-studentessa, perché se quelli che si sono messi in mostra sono i frutti degli insegnamenti che vengono impartiti nelle sue facoltà, mi chiedo se la laurea non sia veramente solo un “pezzo di carta” di cui vantarsi al bar.
Mi vergogno come italiana perché la costituzione che mi dovrebbe tutelare è stata violata. Articolo 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo». Articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Articolo 21: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». E così via… Mi vergogno come europea perché la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, all’articolo 9, riconosce che «ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti», e, in quello immediatamente successivo, che «ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee…». Mi vergogno. Semplicemente. Perché la mia città, la mia università e la mia gioventù sono balzati agli “onori” della cronaca internazionale per la loro “povertà”. Di intelletto e spirito. Mi vergogno e ho paura del futuro. Perché se i giovani, prima ancora di sentire un discorso lo condannano chiudendo cancelli, orecchie e cervello alle parole dell’Altro – qualunque altro – gli anni a venire non saranno facili per la società. E, forse, per l’umanità. Il laicismo intollerante, che si proclama “scienza” per difendere il proprio diritto al “razzismo”, è solo l’ennesima forma dell’estremismo che, davvero, spesso, occupa le pagine dei giornali. E titola i nostri timori. E mi vergogno perché non riesco a togliermi dalla testa il sospetto che quella manifestazione non sia stata spontanea, ma attentamente organizzata. Che non sia stata dettata da errore e intransigenza giovanili, ma una risposta meditata a tavolino alle preoccupazione espressa pubblicamente dal Papa, pochi giorni prima, per il gravissimo degrado in cui versa la città. Peraltro, «fotografia non lontana dal reale», secondo il prefetto di Roma, Carlo Mosca.
Al di là di ogni definizione o categoria, mi vergogno come individuo, cattolico o ateo non ha importanza, perché a un uomo è stato chiesto di parlare e poi è stato impedito di farlo. Perché nell’ateneo più grande d’Europa, è stata una minoranza di facinorosi a dettare legge, decidendo per tutti. E, soprattutto, per una maggioranza che ha preferito non esporsi, ma poi si è presentata in piazza San Pietro, la domenica successiva, per dire “ci sono”, nella sicurezza di un posto in cui non avrebbe dovuto difendere le proprie opinioni. Per questo mi vergogno. Non entro nel merito di ciò che il Papa aveva o avrebbe detto: contro le parole si può, a volte si deve, manifestare. Mi vergogno perchè qualcuno voleva impedire che quelle parole, quali che fossero – all’epoca della protesta, non si conoscevano – fossero dette. E questo mi pesa. Perché, essere dotato di parola e, quindi, sulla carta, della facoltà di dialogare, sono convinta che il pensiero diverso dal proprio debba essere, comunque, ascoltato. Occorre conoscerlo per valutarlo e anche per rifiutarlo e contestarlo, magari punto per punto, in modo – questo sì – scientifico. La tolleranza si fonda sulla cultura – e l’intercultura – del dialogo. L’uomo non accetta ciò che gli viene detto come “assoluto”. Ha il potere di capire, valutare e decidere. Massima espressione di libertà. Ha il dovere di correre il rischio di ascoltare chi ha un pensiero diverso dal proprio. Se le parole vengono “vietate”, rimangono i numeri. Il sondaggio di un portale universitario, eseguito quando il Papa ha rinunciato all’incontro, ha registrato l’83 per cento di studenti italiani favorevoli alla visita. Non per “fede” ma per difendere la libertà di parola. Di ogni uomo. Anche del Papa. I commenti corrono sul web, in forum e blog. Uno per tutti, Yahoo answers. Al quesito «Cosa ne pensate della Sapienza-Papa?», Andreino risponde: «Vergogna mondiale. Dopo la spazzatura, anche questa notizia. Ci piace stare sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo in maniera negativa». Ilaria aggiunge: «Lo spirito della scienza è che ognuno possa esprimere in libertà le proprie idee senza che nessuno gli vieti di farlo. Questa è la vittoria della stupidità». «La Sapienza era un tempo l’università del Papa, ma oggi è un’università laica con quell’autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere»: uno stralcio del discorso di Benedetto XVI.