Inconsistenza

di Giovanni Sarubbi

La nuova crociata neocon contro la 194. I responsabili diventano accusatori e le vittime colpevoli. E’ ora di dire tutta la verità su un fenomeno, l’aborto, tutto “cattolico”.

E’ ricominciata la crociata contro l’aborto. Protagonisti ancora una volta i “maschi”, Giuliano Ferrara ed il Card. Ruini in primis, ma poi Bondi, Buttiglione, Casini….
E ancora una volta si distorce la verità dei fatti, si mistifica il problema con i colpevoli che diventano gli accusatori e le vittime poste sul banco degli imputati.
Si perché l’aborto, così come il divorzio, è un problema che riguarda principalmente quanti si dichiarano “cattolici”. E’ noto, per esempio, che l’80% dei divorzi in Italia avviene in coppie che hanno celebrato il loro matrimonio in chiesa, davanti “al Signore”, magari con benedizione apostolica. Così come gli aborti, soprattutto quelli clandestini, che sono praticati la dove più forte e radicato è “il cattolicesimo” inteso come religione di Sato, con tanto di santi patroni, processioni, flagellazioni e quant’altro va sotto il nome di “pietà popolare”. E’ quanto, per esempio, ho potuto appurare con una mia inchiesta di qualche anno fa nella provincia di Avellino che detiene il record di aborti di tutta la regione. La spiegazione di questo “record” veniva attribuita, soprattutto negli ambienti cattolici, alle donne “napoletane” che venivano nell’ospedale di Avellino per abortire, dove con il termine “napoletane” si sottintendeva quello di “donnaccia” (il razzismo è proprio senza confini!). Durante il mio lavoro di indagine scoprii che in realtà le cose non stavano così. Il primato di aborti per la provincia di Avellino era tutto irpino. Anche le “cattolicissime” donne irpine abortivano ed anch’esse andavano in altre città ad abortire, per evitare lo “scandalo” di una maternità in minore età derivante da assoluta mancanza di educazione sessuale ed in particolare per il mancato uso di anticoncezionali, di cui nessuno mai parla. Ho scoperto poi che la “cattolicissima” irpinia aveva anche un altro primato, quello delle ragazze madri minorenni abbandonate dai propri genitori, “cattolicissimi”, ed assistite dagli enti locali, comune e provincia, per non aver voluto abortire. Sono convinto, dalla lettura delle statistiche Istat, che la realtà che ho potuto constatare direttamente in Irpinia sia rappresentativa dell’intera realtà italiana, soprattutto di quelle zone “tipicamente cattoliche”.
L’aborto, passatemi l’espressione, è in realtà una “malattia” tipicamente “cattolica”, figlia del perbenismo, dell’ipocrisia, di un mondo che con il Vangelo di Gesù non ha nulla a che vedere. L’aborto è figlio di una religione nella quale la donna è considerata una schiava, del padre prima, del marito poi, diseducata alla gestione dei propri sentimenti, del proprio corpo, della propria sessualità, dei propri diritti di essere umano. Di una donna considerata sempre come tentatrice, peccaminosa, sporca, buona esclusivamente a prostituirsi e a vendersi al miglior offerente, causa di tutti i mali possibili. Il famoso film “Magdalene”, che racconta la vicenda ambientata nella “cattolicissima” Irlanda di una ragazza violentata da un “cattolicissimo” ragazzo maschio, traccia un quadro assolutamente reale di ciò che è il “cattolicesimo”. L’aborto ed anche il divorzio rappresentano inequivocabilmente il fallimento di una religione, quella “cattolico romana”, impossibile da praticare per i suoi adepti, tanti sono i precetti che la contraddistinguono, e che quindi adottano comportamenti che in natura avvengono solo in presenza di gravi malattie che impediscono alla madre di portare a termine la propria gravidanza. Così come tipicamente “cattolico” sono i cosiddetti “figli della madonna”, bambini e bambine abbandonati appena nati negli orfanotrofi dalle ragazze madri, private del loro diritto a crescere la creatura che hanno portato in grembo per “la vergogna” di una nascita avvenuta “fuori dal matrimonio”, il tutto con la benedizione delle istituzioni ecclesiastiche che da sempre hanno gestito tali strutture.
Questa è la realtà vera che sta dietro l’aborto, soprattutto all’aborto clandestino che ancora oggi, anche se i misura ridottissima grazie alla 194, viene praticato nel nostro paese. Del resto che l’Italia sia un paese a maggioranza cattolica (oggi poco più dell’80% della popolazione si dichiara tale), c’è lo ripetono in tutte le salse in ogni occasione. E’ quindi del tutto logico, e le statistiche confermano, che anche coloro che praticano gli aborti o i divorzi siano nella loro maggioranza cattolici. Ma da questo dato di fatto nessuno vuole trarre le dovute conseguenze e porre sotto accusa chi deve esserlo per precise responsabilità oggettive.
E sul banco degli accusati dovrebbero sedere le gerarchie cattoliche, le loro dottrine assurde e disumane, l’inconsistenza che esiste fra il loro pontificare sull’aria fritta ed il fare dei “fedeli cattolici”, l’ipocrisia di cui hanno riempito la società, a cominciare da quella che li vede condannare il divorzio facendosi poi sostenere nelle loro rivendicazioni da pluridivorziati nonché plurimiliardari. Dovrebbe essere lo stato Italiano a chiedere alle gerarchie cattoliche il risarcimento per tutte le spese sanitarie e assistenziali improprie derivanti dal fallimento della loro predicazione e delle loro dottrine, altro che mettere in discussione la 194 o voler imporre un’etica che fa acqua da tutte le parti.
Ed invece no. Unici al mondo coloro che dovrebbero essere condannati per i veleni che diffondono si trasformano in accusatori, mettono sul banco degli imputati le vittime, cioè le donne, criminalizzano quanti per esempio parlano di educazione sessuale, di anticoncezionali, giungendo persino, loro presunti difensori della “vita”, ad impedire anche le tecniche per la fecondazione assistita per le coppie sterili. Ipocrisia elevata all’ennesima potenza!
Ci sono organizzazioni religiose che impongono ai loro adepti norme di comportamento etico molto particolari. Penso per esempio ai Testimoni di Geova che vietano ai propri adepti di accedere alle trasfusioni di sangue. Chi non rispetta tale norma viene escluso dalla congregazione. Altre religioni hanno norme e regole etiche che i rispettivi fedeli accettano pena l’esclusione, quali ad esempio il non mangiare carne di maiale per i musulmani. Nessuna di queste religioni però chiede allo Stato di introdurre questa o quella norma etica a livello legislativo così come invece fa la religione cattolica romana, che ha scambiato il nostro paese per una succursale dello “Stato Città del Vaticano”, riedizione in sedicesimi di quel potere temporale dei Papi che con il Vangelo di Gesù non ha proprio nulla a che vedere.
Chi non ha la forza morale di far rispettare le proprie regole etiche ai propri fedeli abbia quantomeno il buon gusto di tacere. Il miglior modo per educare qualcuno a seguire una certa etica è quella della pratica personale, fatta per convinzione profonda e non per coercizione da parte dello Stato.
Non abbiamo ovviamente nulla da insegnare ad alcuno ne primogeniture o verità da rivendicare. Ma crediamo sia ora che i cattolici italiani, semplici fedeli o chierici che siano, facciano un bilancio serio della propria religione, delle proprie dottrine, dei frutti che tali dottrine hanno prodotto nella società, della responsabilità che i cattolici hanno per come nel corso dei decenni si è venuta configurando la società italiana. Di ciò che si fa e di ciò che si dice bisogna avere il coraggio di saper cogliere sia le cose buone sia e soprattutto le cose cattive. E se, come diceva qualcuno duemila anni fa, è dai frutti che si giudicano gli alberi, sappiano poi i cattolici trarre tutte le conseguenze del caso, compreso quello di tagliare l’albero non buono alla radice per poi ricominciare a seminare.(Il Dialogo)

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