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L’emigrato e i suoi denti

di Antonio Laspro – CGIE

Non ricordo chi sia stato, ma un grande politico europeo della meta dell’800, parlando di noi italiani disse che: “Abbiamo un grande appetito, ma anche pessimi denti”.
Realmente questa è un’opinione che non fa davvero onore, ma se esaminiamo la questione, arriveremo allá conclusione che una certa verità vi esiste. Quanto al grande appetito nulla da vergognarci. Infine, per la prima volta, nella sua storia millenaria, l’Italia da poco si era formata dal punto di vista di nazione unitária, con tutti i problemi inerenti, portati e incrementati da questa unione. Era quindi giustificabile che ci fosse un grande appetito per poter camminare con lo stesso passo degli altri Paesi, che da secoli avevano raggiunto una situazionre di Stato unitário nazionale.
La seconda parte, ossia i denti necessari per soddisfare questo appetito per un progresso, è stato realmente il nostro punto debole. Dalla morte di Cavour, fino a quasi la metà del ‘900, non abbiamo più avuto, – come eccezione che conferma la regola forse Giolitti – nessun uomo di Stato che potesse sostituire degnamente i due personaggi citati.
Passato oltre un secolo da questo período, possiamo tranquillamente trasferire questa opinione all’Itália fuori d’Italia, cioè all’Italia dell’emigrazione., che è stata sempre relegata ad un secondo piano in relazione ai nostri diritti, sanzionati dalla Costituzione in vigore, anche se a parole eravamo considerati cittadini, senza nessun diritto, ma appena con i doveri dei cittadini italiani.
Era quindi giustificabile che avessimo anche noi emigrati un certo appetito, per avere inoltre ai nostri doveri, anche i diritti. É stato questo un appetito che è durato senza interruzioni per oltre un secolo, già che non ci era stato mai permesso il diritto di avere anche noi i nostri denti.
Ultimamente però le cose sono cambiate. Da “emigrati” siamo adesso “Cittadini italiani residenti all’Estero”, ed abbiamo anche avuto la possibilità di votare e di poter votare i nostri rapprentanti alla Camera ed al Senato, scelti tra elementi del nostro ambiente.
Per il poco tempo, in che abbiamo potuto usarli, non possiamo evidentemente farsi un’idea definitiva per di come si comportano per soddisfare il nostro appetito di equiparazione. Appena di equiparazione, già che per i doveri non c’e necessità di masticare, dobbiamo appena ingoiare. Sembra però che questi denti, non abbiano la durezza necessaria, per poter masticare come si dovrebbe il nocciolo duro delle questioni che ci interessano, ossia i problemi inerenti di chi emigra e continua a considerarsi legato visceralmente alla terra di origine.
Ho detto appunto pare, perche sono denti che non conoscono la reale consistenza del nocciolo che devono frantumare. Questo non perchè ne siano incapaci, al contrario, ne sono capacissimi per questo tipo di masticazione, ma per ben farlo, ripeto ancora una volta, è necessario che questa dureza sia stata anteriormante testata dall’esperienza di averla provata sulla propria pelle, il che è saper concretamente cosa sia essere un emigrato.
Pare che i nostri denti attuali conoscano la teoria, che può essere anche acquistata attraverso letture e studi, ma a loro manca esenzialmente la pratica, quella reale, quella che si presenta senza nessuna ombra, ben concreta nella sua luce cruda.
Adesso, sempre parlando di denti, potremmo consolarci dicendo che sono appena denti da latte, e che con il tempo dovranno essere sostituiti dai definitivi, quelli che ci accompagneranno durante la nostra esistenza.
E adesso cari amici, lasciamo da parte le metafore, e parliamoci chiaro. Questa sostituzione dovrà essere concretizzata próprio da noi, quando saremo chiamati a votare nelle prossime elezioni.
Non dovremo più farci incantare dalla bellezza dei nuovi denti, che si presenteranno alla ribalta delle elezioni. Quello che dovrà valere e interessarci non dovrà essere la smagliante presenza, ma la solidità e la campattezza, per poter portare avanti la soluzione delle nostre necessità.
La nostra scelta dovrà ricadere próprio su chi è realmente emigrato nel senso ristretto del termine. E per favore non mi si venga a dire che “emigrato” è un termine non molto elegante.
“Emigrato” è in verità un titolo d’onore, un titolo che milioni di “emigrati” italiani hanno saputo creare all’Estero, con il proprio lavoro, onorando la loro Pátria e innalzando un concetto che onora tutto il popolo italiano.
Continuando com lo stesso sistema di clientelismo, sarebbe come se un comitato di fabbrica, o um sindacato di categoria operaria elegesse come suo presidente il proprio datore di lavoro…!.

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