CHE LA SENTENZA FACCIA SCUOLA… IN POSITIVO

di Domenico Bilotti

Spesso leggiamo di sentenze della Corte di Cassazione che, o per il contenuto innovativo o per la motivazione giuridica persino troppo limata e costruita, comunque si candidano a diventare precedenti importanti per il diritto italiano. Nulla quaestio sul merito di una recentissima pronuncia: non è reato chiamare un sindaco buffone. Vediamo a quali condizioni…
Nel caso in esame, durante un incontro dell’amministratore comunale presso la locale università, questi era stato apostrofato come “buffone” ad opera di un partecipante. Si discorreva in particolare della mancata autorizzazione sulla chiusura di una strada in concomitanza con alcune manifestazioni culturali che in quei dintorni avrebbero dovuto svolgersi. La pronuncia 4129 ha di nuovo tentato di inverare un principio desumibile secundum Costitutionem: se l’amministratore gode di determinate immunità nell’esercizio delle proprie funzioni (di diverso grado, ed è chiaro, in base al tipo di funzione e di status di rappresentanza), il conseguente cittadino che ne criticasse l’operato non può rispondere del reato di ingiuria. In tal caso, era inoltre da dirsi, stando a una probabile prospettazione difensiva, che il mancato provvedimento del sindaco era stato invece a parole assicurato e poi nei fatti denegato. Una situazione purtroppo frequente, che forse non meritava di aprire il fianco al procedimento giudiziario, ma tanto accadeva e accade anche perché spesso dietro l’ingiuria corrono questioni di prestigio politico che si predilige comunque affrontare, pur incerti nell’exitus, per dar battaglia, mettere in mostra la propria coerenza politica.
La pronuncia della Cassazione potrà far scuola in almeno due sensi: o che l’ingiuria non si configuri in caso di reazione del cittadino a promessa espressa non concretizzata da parte dell’amministrazione o che, più estensivamente e più auspicabilmente, il giudizio contro il politico possa comunque esser reso, se relativamente a un qualunque atto da questi promosso in quanto amministratore e carica pubblica. Sarebbe poi compito dello stesso dimostrarsi irresponsabile dell’accaduto e soprattutto compito dell’opinione pubblica comprendere dove inizi la iattanza dell’oppositore politico e dove l’effettivo demerito dell’amministratore. Situazione auspicabile, si diceva, e persino suggestiva.
C’è un terzo senso, estraibile dalla compiuta sentenza, che invece si presterà ad esser pacificamente disatteso, ma che quivi val la pena sottoporre comunque, lasciandone l’applicazione ai “destinatari di buona volontà (civica)”. Un politico non dovrebbe mai irretire un elettorato, reale o potenziale che sia, con una promessa di provvedimento che non realizzerà: non si parla dell’imprevedibile impedimento cogente -che potrebbe esser anche il caso della pronuncia, come probabilmente risulta nella prospettazione accusatoria-, ma della sistematica declamazione di atti che vengono promessi in un modo o in un altro in base al favore che possano riscontrare presso una fascia di elettorato. Un caso di scuola diverrà quello del reddito e dei salari: si dirà che si lotta per alzarli (premessa generale condivisa), legandoli alla produttività d’impresa (modus particolare condiviso da una parte sociale, l’impresa), ma anche mirando ad irrobustirli in ogni altro indeterminato modo (modus generico condivisibile dalla parte sociale spesso strumentalmente contrapposta, il lavoratore). Insomma, benvenuta ogni sentenza che qualcosa ci dice di questo Paese e di questo suo modo di fare politica.
Radicali di Sinistra
Coordinatore Regione Calabria

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