Intervista a Cesare De Sessa

“…per anni certa “cultura” ha lanciato strali contro ciò che con un termine spregiativo
era definita, come ricorderai, meritocrazia.
L’attacco al merito e alle capacità credo, peraltro, sia stato strumentale…
… Oggi mi sembra evidente che oltre il merito e le capacità
fioriscano solo mafie e corruttele di ogni ordine e grado.
Per cui Zevi, essendo ormai fuori dal sistema universitario,
da un punto di vista di carriera accademica non poteva fare più molto.
Invece ha influito in modo deciso nella mia crescita culturale.
Dopo la laurea ho seguitato a collaborare alla rivista che lui aveva fondato e dirigeva, avendo così modo di cominciare a scrivere….” (Cesare De Sessa)

CANZANO 1 – Il sud in questi ultimi decenni ha ‘prodotto’ tanti intellettuali che, sia prima della laurea che dopo, hanno scelto di vivere e lavorare nell’altra metà dell’Italia, la tua storia, come uomo, intellettuale e architetto: Roma ti ha dato quello che cercavi?

DE SESSA – La mia è una storia comune, uguale a quella di tanti altri. Concluso il liceo mi iscrivo all’università a Roma, in parte perché catturato dal fascino della grande città, in parte, come scrivo in un racconto, perché attratto dalle rovine, siano esse umane che storiche. Trovo che le rovine rappresentino una formidabile metafora della vita. Non so se vivere a Roma sia stata davvero una mia scelta o piuttosto, con fatalismo meridionale, un’accettare che la vita scegliesse per me. Quel che sapevo e che non volevo tornare a vivere giù. Credevo, a torto, che per svolgere un lavoro intellettuale bisognasse necessariamente vivere in una metropoli. Sì, insomma, in un centro pulsante. Gli anni mi hanno insegnato che forse non è così. Ma allora ero molto giovane, e come tutti i giovani confondevo, scambiavo il noioso gioco della mondanità con altro. Se Roma mi ha dato quello che cercavo? Non saprei, in realtà forse io non ho cercato qualcosa di specifico. Per un po’ di anni sono stato semplicemente avido di vita, mi bastava sentirmi vivo o avere la sensazione di esserlo. Roma ha di bello che è una città che ti lascia campare, vi è come se vi fosse radicata un’indolenza secolare, mista a una sorta di spocchia. Per cui sembra che accolga tutti, che permetta a tutti di fare ciò che ognuno vuole. In realtà sei solo un numero tra tanti e a nessuno gliene frega niente di te, col tempo anche tu ti adegui e alla fine nemmeno a te frega più molto degli altri.

CANZANO 2 – Bruno Zevi, il grande critico, che influenza ha avuto nella tua carriera universitaria e nella tua vita?

DE SESSA – Nella carriera universitaria nessuna. Io sono stato l’ultimo suo allievo a laurearmi con lui, perché subito dopo si dimise dall’università per protesta contro il degrado che già allora avanzava nel mondo accademico, inesorabile come uno tsunami. In realtà l’università, un po’ come tutto il sistema Italia, funziona secondo logiche di appartenenza, di lobby. Se fai parte di una cordata, prima o poi ti sistemano, a prescindere dalle tue qualità intellettuali e/o capacità professionali. Altrimenti resti fuori. D’altronde per anni certa “cultura” ha lanciato strali contro ciò che con un termine spregiativo era definita, come ricorderai, meritocrazia. L’attacco al merito e alle capacità credo, peraltro, sia stato strumentale. Gli incapaci infatti, si sa, sono più facilmente controllabili, sono servi più fedeli e affidabili. Oggi mi sembra evidente che oltre il merito e le capacità fioriscano solo mafie e corruttele di ogni ordine e grado. Per cui Zevi, essendo ormai fuori dal sistema universitario, da un punto di vista di carriera accademica non poteva fare più molto. Invece ha influito in modo deciso nella mia crescita culturale. Dopo la laurea ho seguitato a collaborare alla rivista che lui aveva fondato e dirigeva, avendo così modo di cominciare a scrivere.

CANZANO 3 – Parliamo di Bruno Zevi: come descriveresti il suo pensiero?

DE SESSA -Non è facile sintetizzarne in poche parole il pensiero. Tornato in Italia dopo alcuni anni trascorsi negli Stati Uniti, dove si era rifugiato, in quanto ebreo, a causa delle leggi razziali promulgate dal fascismo, Paese che gli aveva offerto la possibilità di entrare in contatto con maestri come Gropius (con il quale si laurea) e Wright, comincia subito dopo la Liberazione un’intensa attività culturale e civile, anche perché lui vedeva la cultura soprattutto come uno strumento per la crescita civile della società. Fonda Movimenti come l’APAO (associazione per l’architettura organica) e riviste quali Metron e l’Architettura Cronache e Storia. Opera così uno svecchiamento della cultura architettonica, diventando per molti un maestro, o comunque un punto di riferimento importante. Per decenni la casa di via Nomentana 150, dove viveva, ha rappresentato un “indirizzo importante” della cultura italiana e non solo. Con una visione mutuata da Benedetto Croce, aveva della storia una concezione dinamica, che lo portava a riattualizzarne gli insegnamenti. Atteggiamento che, naturalmente, non dando mai nulla per scontato induce ogni volta a riproblematizzare, per tentare di vedere da un diverso punto di vista quanto viene magari dato per scontato. In un mio libro di alcuni anni addietro, dal titolo Capire lo spazio architettonico, che dedico appunto a Zevi, motivo la dedica dicendo che è stata la persona che mi ha educato al dubbio. Ecco, in queste poche parole credo possa essere sintetizzato uno dei suoi insegnamenti, quello di dubitare ininterrottamente, chiedersi sempre ‘perché’, per cercare di capire se possono esserci altre spiegazioni oltre a quelle note e/o ufficiali. Un dubbio che però non deve mai indurre all’indifferenza e all’insensibilità, ma da vivere con passione, come strumento per ricercare la propria verità.

CANZANO 4 – Il tuo libro – Capire lo spazio architettonico – che dedichi a Zevi, che, come tu dici, ti ha educato al dubbio: puoi parlarmene?

DE SESSA – Si tratta di uno saggio di vari anni addietro, che a riscrivere oggi rivedrei in alcune parti. Tuttavia l’idea guida la reputo ancora valida. In pratica il testo muove dall’idea che sia lo spazio, ossia il vuoto racchiuso tra le mura, il fatto prioritario e caratterizzante dell’architettura. Nel libro vengono così individuati e analizzati dieci modelli spaziali, organizzati per coppie contrapposte, cioè spazio aperto/spazio chiuso, spazio statico/spazio dinamico ecc. Il saggio ambisce a costituire una vera e propria anatomia spaziale, che permetta di capire quali messaggi veicoli ogni modello spaziale, quali progetti politici e ideologie (più o meno occulte più o meno evidenti) muovono l’ideazione di ciascun modello spaziale analizzato. L’architettura, più di ogni altra arte, è quella che è maggiormente connessa con il potere e a questo sottoposta, in quanto si tratta di una disciplina in cui prassi e teoria sono inscindibilmente connesse. Infatti, mentre pittori, scrittori, musicisti ecc. possono chiudersi nei loro studi e produrre le proprie opere, l’architetto se vuole vedere i suoi progetti realizzati deve inevitabilmente interagire con delle committenze, cioè rapportarsi con altri. Il libro prova quindi a cogliere e illustrare il sommerso reticolo di intenti non espressi (che sussistono proprio per questo obbligato rapporto tra architettura e società), che connettono in modo indissolubile la disciplina architettonica con tutte le altre forze presenti nella società, prima tra tutte quelle economiche e politiche.

CANZANO 5 -Parlami del tuo nuovo libro ‘Ladro di sogni’…

DE SESSA – Parlare del proprio lavoro risulta sempre un po’ imbarazzante, per questo mi piace di più sentire i pareri espressi dagli altri. E comunque, questa mia seconda raccolta di racconti tenta di vedere, da una prospettiva un po’ diversa, la società, o quantomeno alcuni suoi aspetti, che forse rappresentano un pericolo. Diciamo che provo a scrutare quanto ci accade intorno con uno sguardo apparentemente fantastico. In realtà si tratta di una sorta di “trucco letterario” per parlare di cose assolutamente concrete, cose che anche con una violenza malcelata interferiscono e condizionano la nostra vita di tutti i giorni. Forse sarò un po’ pessimista, tuttavia mi sembra che la notte dell’etica che tutt’intorno sembra divorare ogni cosa, non sia un fenomeno circoscritto solo al mondo politico o a quello economico. Piuttosto, un dato di fatto, assolutamente pericoloso, che coinvolge tutta la società. Credo che bisogna invertire la rotta, cominciare a capire che se non si ritrova una dimensione più spirituale prima o poi questo sistema finirà per esplodere. Consumiamo troppo, di tutto e di più, e nonostante ciò una sorta di malessere, una specie di stanchezza esistenziale, opprime molte persone. Sempre più alto il numero di quelli che devono ricorrere a psicofarmaci per non soccombere a depressione, crisi di panico ecc. Credo che ciò rappresenti una controprova che viviamo in un sistema che produce danni all’animo della gente. E questo anche perché siamo bombardati da messaggi che ci inducono a desiderare come fondamentali cose assolutamente irrisorie se non addirittura inutili. Vedi Giovanna, voglio farti un esempio molto semplice, quasi banale, per spiegare cosa intendo dire. I bisogni veri, naturali, quelli primari diciamo, conoscono il senso del limite. Io per quanto possa essere una buona forchetta, arriva un momento in cui sono del tutto sazio e non posso mangiare più nulla, altrimenti mi sentirei male. Per i cosiddetti bisogni indotti, quelli stimolati dai media e dalla pubblicità, non esiste invece senso del limite. Per quanti vestiti abbiamo ci costringono a desiderarne uno nuovo, insomma siamo coartati a consumare, a prescindere dalle nostre reali esigenze. Ecco questo, ad esempio, è uno degli argomenti del mio Ladro di sogni, trattato ovviamente con una veste letteraria e ricorrendo al gioco del fantastico per intrigare il lettore.

CANZANO 6 – Come architetto hai voluto descrivere 'filosoficamente' anche gli spazi interiori?

DE SESSA – Diciamo che come architetto sarebbe difficile parlare degli “spazi” dell’animo. Quello che ho provato a trasmettere in Ladro di sogni è un grido di preoccupazione e allarme. Preoccupazione che nasce dal vedere come gli “spazi interiori” della gente vengono sempre più sfruttati, usurpati, violentati. Credo che in nessuna altra epoca storica si sia verificato questo processo di spersonalizzazione come in questi ultimi venti-trenta anni. Un processo spacciato come l’apice della libertà. Giornali e televisioni gareggiano a raccontarci come il nostro mondo sia migliore di altri, in realtà a me sembra una grossa bugia. Il benessere materiale che la nostra civiltà occidentale ostenta, quasi a dimostrazione della sua superiorità, sempre più mi sembra uno specchietto per allodole. Credo che questo benessere materiale, che dubito durerà in eterno, almeno con gli sprechi e le follie che lo caratterizzano oggi, lo paghiamo quotidianamente e pesantemente con le varie patologie dell’anima che sempre più ci affliggono. Senza voler essere pedante, ma secondo alcune cifre che ho letto, oggi in Italia ci sono oltre dodici milioni di persone che ricorrono a psicofarmaci. Un dato che ancor prima che gli psicologi dovrebbe mettere in allarme i sociologi.
Oltre trenta anni fa, nel 1973 se ben ricordo, Marco Ferreri con il film La grande abbuffata, descriveva con preveggente lucidità l’assurda condizione che viviamo. La storia, come ricorderai, era quella di quattro amici che si isolavano in una villa per mangiare sino a morirne. Il regista in quella pellicola metteva a fuoco dinamiche e aspetti affatto fantastici ma, per quanto possa sembrare assurdo, presenti nel sociale. In particolare l’oscuro impulso autolesionista che ci sembra spingere, al di là di ogni buon senso, verso la dissoluzione. Il tutto celato sotto una maschera di allegria che, se la guardi bene, è invece una smorfia di dolore e sgomento. Insomma, a me sembra che ormai un po’ tutti noi ci stiamo trasformano nei personaggi del film di Ferreri. Camminiamo verso una fine prossima, anche se non saprei come avverrà. E tuttavia, a nessuno sembra fregargli granché di questo disastro imminente. Ognuno sta solo attento a cercare di ritagliarsi la sua piccola fetta di piacere e appagamento.

Scheda biografica

Cesare De Sessa è nato a Cosenza e ha trascorso infanzia e adolescenza a Cariati, un paese calabrese sulla costa ionica, sino al momento di iscriversi all’università, attualmente vive a Roma. Si è laureato in architettura con Bruno Zevi, che è stato il suo maestro. Anche grazie a Zevi subito dopo la laurea si dedica prevalentemente al lavoro critico/teorico, pubblicando vari saggi di critica architettonica e numerosi articoli in riviste specializzate. Grazie al “nomadismo intellettuale” che caratterizza gli anni della sua formazione, e che lo porta a leggere in maniera onnivora e caotica, riesce a non chiudersi nell’ambito della disciplina di competenza e mantenersi attento anche verso altri ambiti culturali.
Come per molti della sua generazione, vive una giovinezza più o meno sregolata e sopra le righe, frutto anche del particolare momento storico nel quale gli è toccato in sorte essere giovane. Viaggia quando le magre finanze glielo permettono, svolge lavori manuali all’estero, studia. Da inguaribile (e anacronistico) romantico sognatore è sempre pronto a innamorarsi di idee, progetti e soprattutto di donne, pagando sulla propria pelle un falso luogo comune che presenta le donne, appunto, come romantiche e sognatrici. Mentre, in realtà, sono di un pragmatismo spietato che, nei casi estremi, sfiora il cinismo. Finisce così per registrare disinganni e naufragi. Appena la vita lo richiama al senso del dovere, con il “rappel a l’ordre” che sempre le responsabilità impongono, cessa l’esistenza disordinata e improntata al carpe diem vissuta sino ad allora, per assumersi, senza rimpianti né recriminazioni, gli impegni derivanti dalla nuova, diversa età. Non più giovanissimo approda al lavoro letterario, in parte per gioco, in parte per scommessa e curiosità. Provando a misurarsi con testi che tentano di coniugare, al contempo, un minimo di scrittura con plot narrativi che ambiscono a porsi fuori dalle attuali tendenze letterarie, e di cui Ladro di sogni rappresenta la prova più matura.

Libri Pubblicati

1) Plotino e l’architettura. Le radici storiche del movimento Moderno; Edizioni Dedalo, Bari 1984.
2) Luigi Piccinato Architetto; Edizioni Dedalo, Bari 1985.
3) Musei e Gallerie; nei volumi di aggiornamento dell’opera: Architettura pratica, di P. Carbonara, Edizioni UTET, Torino 1989.
4) Capire lo spazio architettonico. Studi di Ermeneutica spaziale; Edizioni Officina, Roma 1990.
5) Zaha Hadid. Eleganze dissonanti;. Edizioni Testo & Immagine, Torino 1996.
6) CoopHimmelb(l)au. Spazi atonali e ibridazione linguistica; Edizioni Testo & Immagine, Torino 1998.
7) Marcello Guido. L’impegno nella trasgressione; Edizioni CLEAN, Napoli 1999.
8) Franco Pedacchia. Le libertŕ della ręverie; Edizioni CLEAN, Napoli 1999.
9) Amedeo Schiattarella. La dialettica codice/dissonanza; Edizioni CLEAN, Napoli 1999.
10) Luca Zevi. Il territorio come problema e premessa. Edizioni CLEAN, Napoli 1999.
11) Luigi Cosenza. Razionalitŕ senza dogmi. Edizioni Testo & Immagine, Torino 2001.
12) Conversazioni sul contemporaneo; (con L. Finelli) Edizioni Officina, Roma 2001.
13) Le voci: 1) Zaha Hadid, 2) Manfredo Tafuri, 3) Bruno Zevi; per enciclopedia: Le Muse. Edizione: Istituto Geografico De Agostini 2003/2004
14) Innesti/ Ibridazioni/ Contaminazioni; Gangemi Editore, Roma 2004.
15) Catalogo Il sogno è segno, per la mostra dell’arch. J. M. Schivo, Casa dell’Architettura, Roma novembre 2004. L’arca Edizioni Milano 2004.
16) Il delirio di Ulisse (racconti) Manni editore, Lecce 2004.
17) Ladro di Sogni (racconti), Avagliano editore, Roma 2007.

giovanna.canzano@email.it
skype: giovanna canzano roma
messanger: giovanna.canzano@hotmail.it

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