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Chi non vuole le elezioni? E perché? E chi le vuole?

di Francesco Paparo

Questo è il nodo più importante da sciogliere per il Presidente Napolitano e per tutti quelli che dicono la loro. Tutelando solo gli interessi di partiti e coalizioni, piuttosto che il bene supremo dell’Italia. Come al solito, insomma.

In queste poche ore di consultazioni alcuni politici si sono affrettati a fare dichiarazioni, proclami, a lanciare anatemi sulla deriva dell’Italia e sulle conseguenze che le urne porterebbero alla stabilità del Paese, se domani si andasse a votare con questa legge elettorale. Strano. Davvero strano che si preferisca un Governo di larghe intese adesso, piuttosto che quando ce n’era davvero bisogno.
Chi le vuole queste elezioni? E soprattutto, chi è che non le vuole proprio?
Cominciamo, come al solito, da sinistra. Veltroni e il suo Partito Democratico non le vogliono proprio.
Perché il buon Walter si affanni a dichiarare che le urne comporterebbero un consolidamento dell’instabilità dell’Italia trascinandoci nel baratro dell’ingovernabilità è piuttosto intuibile. In caso di scioglimento delle camere, infatti, sarebbe lui, gioco forza, ad essere il candidato premier della coalizione (tutta da aggregare come programma e come forze politiche coinvolte) che andrebbe incontro a disastrosa e certa sconfitta.
Il buon Veltroni, dicevo, avrebbe, in tal caso, la sfortuna di bruciare, tutto insieme, la sua immagine “pura” di riformatore moderato “prestato” alla politica ed il suo “partito” progressista di carta pesta votato al maggioritario che non c’è. Bella jattura per chi ha già scoperto tutte le sue ambiziose carte abbandonando politicamente il feudo di Roma Capitale per lanciarsi alla scalata del Governo.
Ad essere sinceri (ma è un dono di pochi…), la legge elettorale in vigore, sebbene niente affatto perfetta, secondo gli attuali sondaggi, consegnerebbe con buona approssimazione l’Italia a Berlusconi ed alla sua rinnovata Leadership. Per lungo tempo.
Difficile, infatti, che gli Italiani, dopo il disastro e l’immobilità del Professore, siano disposti a rinnovare la fiducia a chi non ha fiducia neppure in sè stesso. A meno che non siano pazzi. E non servirebbe nemmeno attaccarsi alla “indispensabile” esigenza di riforme (totalmente ignorata per 2 anni da Prodi stesso) per supplicare un incarico tecnico. Ed il tanto chiacchierato conflitto di interessi, strombazzato durante la precedente campagna elettorale, evidentemente non interessa a nessuno. Visto che nulla ha fatto Prodi ed il suo Governo. Se tanto mi dà tanto, tali argomentazioni non potranno neppure essere sfruttate dai comunisti per fare audience. Oramai sono troppo inflazionate ed è noto che vengono tenute in piedi grazie proprio all’impatto che esercitano sul livore di una certa parte di Italiani che odiano Berlusconi per il suo successo.
Queste già sarebbero ottime motivazioni per invocare disperatamente, come sta facendo Veltroni in questi giorni, un “Governo di responsabilità per 8-12 mesi”.
Ma i motivi non sono solo questi. Ricordiamoci sempre che ci sono in ballo le poltrone in scadenza delle grandi Aziende statali e non sarebbe carino, per chi fa della lottizzazione la propria filosofia di vita, lasciare tutto in pasto all’altra parte. Infatti, quando Berlusconi, proprio all’inizio di questa sciagurata legislatura, auspicò un governo di larghe intese, Prodi e la sua superba (non in senso di meravigliosa, ma in senso di presuntuosa…) coalizione preferirono non ascoltare con disprezzo e procedettero alla conquista a mani basse di tutte le cariche possibili ed immaginabili (vedi, tanto per gradire, presidenze della Repubblica, del Senato e della Camera… ).
Adesso è troppo forte il pericolo che Silvio & Co. si turino le orecchie e procedano, grazie all’assist di Romano Prodi, a rendere la pariglia. Sarebbero ingenui se non lo facessero.
Ora a destra. Tra i titubanti e prudentemente schierati a favore del Governo tecnico c’è “l’amico” Casini. Uso le virgolette, perché d’obbligo per chi si ricorda di appartenere al centrodestra quando, conti alla mano si accorge di non avere i numeri neppure per fiatare. La politica oscillante che ha caratterizzato l’UDC e le alterne vicende giudiziarie di qualche uomo politico ad esso appartenente, amplificano il rischio di un crollo di consensi per la piccola anima democristiana di Pierferdinando a favore di altri partiti di area.
Che disdetta! Neanche il tempo di guardarsi intorno per fare “maquillage” e campagna acquisti.
Ma come sciogliere il nodo di chi le vuole, invece, queste elezioni? Dilemma per Napolitano. Chiamato, forse per la prima volta dal suo insediamento, ad assumere un vero ed impegnativo ruolo istituzionale, senza colori.
I comunisti, da sempre battaglieri e poco attenti all’esigenza di stabilità, appena hanno sentito circolare nomi del calibro di Draghi, Marini, Montezemolo e Letta, hanno subito messo le mani avanti promettendo forca e piazza contro il ventilato inciucio (“quasi” testuali parole di Diliberto in un’intervista lampo andata in onda ieri sera su un Tg) e dichiarando di preferire il voto alla definitiva dissoluzione del sogno bolscevico.
Berlusconi per primo si agita (giustamente) e pregusta una vittoria a mani basse. Fini, rinnovato fedelissimo, lo segue. Mastella stesso, contro ogni previsione, ma certo della resurrezione, spinge per le urne (e per l’intreccio di nuove e proficue alleanze…).
Le vuole, secondo il mio umile parere, persino Prodi stesso, queste elezioni, ansioso di godere nel silenzio della disfatta di quei detrattori che lo hanno delegittimato in casa sua, facendogli il funerale ancor prima di attenderne l’exitus.
Chi non parla, infine, da destra a sinistra, evidentemente esercita il diritto silenzio- assenso.
Come dipanare questa intricatissima matassa? Vedrete, per dirla con Murphy e le sue famigerate leggi, che il problema si risolverà da solo. Almeno è quello che spera Napolitano. Elezioni subito!(Agorà Magazine)

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