La nostra collettività  e quella degli Usa

“Una volta ho chiesto a mio padre, perché era venuto in Argentina e non era andato invece negli Stati Uniti. Lui mi rispose che a suo tempo era emigrato in Canadà e negli Stati Uniti, ma solo in Argentina era stato accolto con umanità. A quei tempi l’Argentina era la quarta potenza economica mondiale e tanto valeva emigrare negli Stati Uniti che venire al Plata”. Così ci raccontava l’amico Antonio Martinelli l’esperienza di suo padre, emigrato da Palena in Abruzzo nel 1928 e che lui aveva raggiunto nel 1935.
Altri tempi, altra emigrazione, altra Argentina.
Il giorno prima, un altro amico, il nostro Walter Ciccione, si lamentava perché aveva visto alla Rai un programma dedicato all’emigrazione italiana negli Stati Uniti, su come erano stati durissimi i primi decenni ma come, a forza di lavoro, di intelligenza e di orgoglio, gli italiani degli Stati Uniti hanno conquistato un posto di rilievo nella grande potenza mondiale. Il programma raccontavaa tanti successi degli italiani negli States e l’influenza che la comunità italiana ha avuto nel Paese del Nord, così come l’importante contributo dato in tanti settori della sua vita, dall’economia alla cultura, dalla scienza alla politica.
“Ma noi qui in Argentina, non abbiamo fatto altrettanto o forse di più? Non è stata determinante la nostra presenza in Argentina? Essa non è stata decisiva e le testimonianze si registrano in ogni angolo del Paese?” si chiedeva il nostro Walter.
Certo. L’Argentina è sicuramente il Paese dove l’influenza italiana è stata maggiore, più costante, più massiccia, più diffusa. Forse nell’Uruguay il fenomeno è uguale, forse nel sud del Brasile anche, ma certamente l’estensione nel tempo e nel territorio della presenza italiana in Argentina non ha uguali.
E allora, non meriteremmo noi almeno un programma simile a quello fatto sulla comunità italiana negli Usa?
Certamente. E come noi tante altre comunità italiane sparse in una trentina di Paesi nel mondo. E i programmi andrebbero trasmessi su alcuna delle tre reti nazionali italiane perché in Italia conoscano e ci conoscano. Comunque da pochi giorni chi in Italia vuole vedere i programmi di Rai International può farlo se ha il collegamento satellitale.
Ma la domanda di Ciccione può farci riflettere su quella che è stata la parabola dell’Argentina e della comunità italiana che ad essa ha legato la sua vita da oltre duecento anni.
C’è da ricordare, come ha fatto Martinelli, che fino alla prima metà del XX secolo, l’Argentina era considerata una potenza o comunque un paese di enormi possibilità di sviluppo e di successo.
In quell’Argentina la comunità italiana ha lasciato la sua impronta determinante in ogni settore. L’agricoltura che ha fatto diventare l’Argentina il granaio del mondo alla fine del XIX e inizi del secolo successivo, è stata opera degli italiani. Il processo di industrializzazione avviatosi nei primi del ’900 e poi ancora nell’ultimo dopoguerra, ha visto un’altra volta protagonisti gli italiani. Gli emigrati italiani lavoravano sodo, costruivano le loro case, costituivano le loro famiglie e risparmiavano, facendo grande l’Argentina.
Fino alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso, la collettività era una grande collettività, della quale facevano parte praticamente tutti. I grandi imprenditori, gli intellettuali, gli artigiani, gli operai, i commercianti. E tutti si sentivano parte integrante della collettività, per cui partecipavano attivamento o, almeno, si interessavano alla sua vita.
In quegli anni cominciò un crisi in Argentina che, con alti e bassi, non ha conosciuto soste. Intolleranze e violenze politiche, processi inflazionistici, rottura dei comportamenti sociali, cicli di ripresa con successive ricadute, corruzioni e recessioni, pauperizzazioni e crescenti emarginazioni hanno costellato il paesaggio di questo Paese negli ultimi decenni.
Nello stesso periodo, la collettività ha conosciuto un progressivo invecchiamento non sanato, come era successo nei decenni precedenti, da nuove ondate di emigrati giunti dall’Italia. Inoltre è successo che un fenomeno in sè positivo, com’è è stato un progressivo approfondimento del dialogo con l’Italia, che per molti decenni era rimasta troppo lontana, ha avuto come conseguenza non voluta, la ricerca da parte di molti di nuovi contatti particolari, non coinvolgendo più tutta la collettività e perdendosi quindi quel sentimento di comune appartenenza che c’era fino ad allora. A ciò si è aggiunto il fatto che lo Stato ha delegato nelle regioni buona parte dei rapporti con i connazionali all’estero, portando ad ulteriori distinguo.
Nel frattempo la crisi argentina colpiva appieno la stragrande maggioranza degli italiani, come avveniva con la stragrande maggioranza della società di accoglienza, nella quale la comunità italiana è inserita. Come è noto, alcuni sono rientrati, altri hanno vissuto un’altra volta il dramma dell’emigrazione, vedendo partire questa volta i loro figli o nipoti. Molti hanno perso i risparmi di una vita e tanti sono diventati poveri o addirittura indigenti. Inoltre quasi non ci sono più grandi imprese italiane o costruite dagli italiani.
Di fronte a questa realtà, una delle immagini che sono diventate caratteristiche della nostra comunità, negli ultimi anni, è quella della richiesta di aiuti in favore dei connazionali più bisognosi. Richiesta sacrosanta, giustissima. Ma che ha colorato sostanzialmente la percezione che di noi hanno in Italia.
La presenza di fasce di membri della nostra comunità che hanno bisogno di aiuti è una parte della nostra realtà, ma non è tutta la nostra realtà. E’ però una immagine che rischia di diventare stereotipata con la conseguenza di mettere in ombra la determinante opera fatta dalla comunità italiana in questo Paese in quasi duecento anni di presenza nel Paese.
In altre parole, l’Argentina non è più una potenza e si dibatte ancora alla ricerca del suo destino, trovandosi comunque lontanissima da qualsiasi paese centrale, anche dal vicino Brasile che invece è ormai entrato nel gotha dei Paesi che contano. E la nostra comunità, invecchiata, impoverita, non più compatta (mancano all’appello buona parte dei grandi imprenditori e degli intellettuali), rischia di essere considerata non più una risorsa per l’Italia, ma un peso. Per questo motivo è facile girare e diffondere un programma televisivo sugli italiani residenti nella prima potenza mondiale, mostrando i loro successi, mentre è più complicato fare altrettando su un paese in crisi con una comunità italiana della quale più facilmente si sottolineano le necessità, quanto chiede e non quanto può offrire.
Ci vuole allora uno stacco di coraggio, di impegno da parte dei nostri dirigenti, per tornare a pensare una strategia come comunità.
Una strategia che ci porti in primo lugo a far riscoprire e a diffondere la nostra storia, il nostro determinante contributo, le enormi possibilità che possiamo avere se riusciamo ad alzare un po’ lo sguardo dalle richieste di sempre – giustissime, sacrosante – che però non possono essere l’unico biglietto di presentazione della nostra comunità.

marcobasti@tribunaitaliana.com.ar

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