di Alessandra Mancuso
Grandi novità si annunciano per il 2008: tutto fa pensare che in Birmania sarà liberata Aung San Suu Kyi, saranno scarcerati monaci e dissidenti, si terranno libere elezioni. Mentre in Darfur la nuova missione di pace farà da deterrente ai massacri della popolazione civile e si apriranno colloqui di pace tra i ribelli e il dittatore sudanese Al Bashir . Nel 60esimo anniversario della Carta Onu sui diritti umani, il premio Nobel della Pace, naturalmente sarà assegnato all’informazione per il ruolo svolto a favore delle donne e degli uomini che combattono per la libertà o solo per la propria sopravvivenza.
A farcelo pensare sono i primi segnali registrati in questo inizio d’anno.
L’anno nuovo è cominciato in Birmania con l’aumento del canone per le parabole satellitari. Dal 2 gennaio è stato portato da 6000 Kyat a un milione di Kyat, tre volte il reddito annuale di un birmano medio. Il 166% di aumento, lo ha deciso la giunta militare.
Il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione, reclusa in casa da 11 anni, ha chiesto alla giunta militare di avere una parabola. Non è la prima volta, non sarà l’ultima.
Il 12 gennaio alla signora Aung San Suu Kyi è consentita qualche ora fuori casa per incontrare il ministro incaricato dalla giunta a tenere i rapporti con l’opposizione. Il quarto incontro, il precedente risaliva al 19 novembre. Finora nessun impegno – dice un analista birmano che vive in Thailandia all’Unità – i militari potrebbero continuare a parlare con la signora anche altri due o tre anni senza prendere impegni.
L’informazione, intanto, da mesi ha voltato pagina.
L’anno nuovo è cominciato in Darfur con un convoglio della forza di pace Onu /Unione africana (UNAMID) attaccato dall’esercito sudanese. Protesta di Ban Ki Moon, segretario dell’Onu, con il governo di Al Bashir, generale al potere con colpo di stato. Il Ministro della difesa sudanese risponde che la colpa è dei peacekeepers che non hanno comunicato il loro tragitto. Sono bastati dieci giorni dall’avvio ufficiale della missione di pace (primo gennaio) per capire che aria tira.
E infatti, contemporaneamente, l’ambasciatore sudanese all’Onu annuncia che Karthoum eccepisce sulle uniformi dei soldati (il casco blu dell’Onu al posto del berretto verde dell’Unione Africana), dopo avere vietato i voli notturni e i grandi cargo aerei dell’Onu. Naturalmente, il governo vuole conoscere i tragitti degli spostamenti dei convogli di pace e ha già detto che non sono gradite truppe non africane, dagli svedesi, ai tailandesi ai nepalesi. Che altro?
Come se non bastasse la carenza di mezzi messi a disposizione dai Paesi occidentali, e le truppe di conseguenza aumentate appena di duemila unità: ora sono 9000 contro i 26 mila previsti. Per la missione si annuncia un grande successo.
L’informazione, naturalmente si occupa d’altro.
L’anno nuovo, in Darfur, è cominciato anche con un tasso di 3 punti percentuali più alto di malnutrizione dei bambini: è ora del 16%.
In Kenia, l’anno nuovo, è iniziato invece con gli scontri nelle baraccopoli di Nairobi, un migliaio di morti, duemila stupri almeno e 250 mila sfollati dopo le elezioni presidenziali, probabilmente truccate, del 27 dicembre. Erano giorni di vacanza per i turisti occidentali in Kenya e dunque l’attenzione non è mancata. Tornati a casa i turisti, i keniani sono rimasti soli. Fallite le mediazioni, la crisi è tutta aperta e si teme il riesplodere della protesta ancora più violenta.
L’informazione è troppo presa da Hillary/Obama e Sarkozy/Carla Bruni, per occuparsene.
Anno nuovo, copione vecchio. Birmania, Darfur, Somalia, Colombia… massacri, repressioni, sofferenze invisibili. Milioni di persone inghiottite dal buio dell’informazione. Un altro anno così non lo sopportiamo. E’ nostro dovere fare qualcosa per impedirlo. Chi lotta e cerca di resistere chiede il nostro aiuto: da Ingrid Betancourt agli studenti e ai sindacalisti birmani. Chi lotta per la sopravvivenza, nei campi profughi della Somalia e della Repubblica Democratica del Congo, ha un diritto che non possiamo ignorare.
Il nuovo anno si apre con un anniversario: il 12 febbraio 2003 iniziava la guerra in Darfur. Sono passati quattro anni, centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi: vogliamo che il 2008 segni la fine dei massacri. Proviamo a dirlo a voce alta, quel giorno, unendoci alle iniziative in altre 50 città del mondo. Accendiamo i riflettori, anche in Italia, per dare speranza alla gente del Darfur. (Articolo 21)